Chiarissimo Chiarismo

di Andrea Schubert

 

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In un mondo di "ismi" strutturati e teorizzati il "Chiarismo lombardo" è un po' l'ospite fuori luogo a una serata di gala in quanto l'unico che non indossi uno smoking. Non che non possa essere dignitosamente inserito nel novero degli "ismi" che hanno caratterizzato il secolo scorso, ma perché non nasce come "ismo" né come “scuola” né come corrente. Tutte cose rifiutate da quei giovani artisti che ne fecero parte: Del Bon, De Rocchi, Deamicis, Lilloni e Spilimbergo. Fu solo un’etichetta coniata, e anche qui la paternità del termine è poco certa, rimbalzando da Piovene a Persico, per definire la pittura di un gruppo di amici che condividevano lo studio, le idee e anche la tavolozza dei colori. Squattrinati quanto basta da dover dividere la pigione di un locale posto al quinto piano di via Solferino e alle volte anche i pasti che le ristrettezze economiche rendevano poco lauti. Il secolo scorso quindi fu il periodo in cui si formarono. Un secolo connotato da molte rivoluzioni e cambiamenti epocali che anche in Italia lasciarono segni profondi e duraturi. Tralasciando l'iniziale cambio di secolo, dove i protagonisti si affacciavano solo allo studio dei rudimenti dell'arte, si arriva al primo Dopoguerra. Negli anni Venti, quando maturi iniziarono veramente la professione, le arti visive ebbero una sorta di irrigidimento, come del resto molte altre cose nella società civile, su canoni estetici che presero il via dalle poetiche del ‘Novecento’ e questo sì che fu un vero movimento nato  da un manifesto ben preciso, e soprattutto dalla sua versione allargata e teorizzata da Margherita Sarfatti.

Cristoforo De Amicis, Il ritratto del figlio, 1936

Cristoforo De Amicis, Il ritratto del figlio, 1936

Lilloni, da sempre esuberante e irruento, presto iniziò ad abbandonare le ombre cupe di questa corrente un po' troppo di regime. La sua natura contestataria non poteva far altro che manifestarsi prepotentemente. Fin da piccolo infatti fu scapestrato e avventuroso. Uno spirito libero che lo portò persino in carcere per le sue idee socialiste da sindacalista corridoniano, interventista prima e tra gli arditi nella prima guerra mondiale poi. Per sua natura non avrebbe mai potuto seguire opportunisticamente un facile percorso. Presto si scostò dalle ombre e dai colori bituminosi di quel Novecento che non era il suo personale spirito. Non fu uno stacco repentino ma graduale, quasi naturale. Fu la scoperta della luce e dell'acqua che lo guidarono prevalentemente. Quell'acqua che avrebbe voluto solcare quando da giovane decise di intraprendere studi di ingegneria navale opponendosi al padre che lo voleva con sé nella ditta d'ebanisteria  a Milano. Studi che comunque non fece mai, frequentando l'Umanitaria, dove scoprì il disegno e, conseguentemente, l'arte.

Angelo Del Bon, Lo schermitore, 1934

Angelo Del Bon, Lo schermitore, 1934

Chiarito quindi che il Chiarismo non è un “ismo”, dobbiamo dire che comunque è qualcosa. Qualcosa accomunante cinque giovanotti  che si ritrovavano al Caffè Mokador a chiacchierare con un altro giovane proveniente da Torino, anche lui dissidente rispetto alla cultura dominante: Edoardo Persico, uno scrittore e sognatore che li condusse a saltare quel fosso allontanandoli definitivamente dal Novecento. La prima mostra fu il loro inconsapevole matrimonio. Nel 1930 i chiaristi si unirono tra loro presso la Galleria Bardi con una esposizione di gruppo che li portò per quasi cinquant'anni a seguire, ognuno con il proprio personale percorso, quella forma di pittura a fondo chiaro che li contraddistingue ancora oggi dai loro coevi colleghi.

 

Umberto Lilloni, Ritratto di Sofia Gervasoni,                            Lombardia, Beni Culturali

Umberto Lilloni, Ritratto di Sofia Gervasoni, Lombardia, Beni Culturali