Una casa a Firenze
di Maurizio Barberis
Diversi anni fa mi recai a Firenze per fotografare la casa di un illustre etnologo, fotografo e poeta italiano, Fosco Maraini. Nonostante l’invito, molto cortese, e la gentilissima disponibilità dei padroni di casa, mi resi subito conto di essere un ospite inopportuno. Maraini era molto malato e di lì a poco sarebbe mancato. Ciononostante, con uno straordinario senso di ospitalità mi volle invitare a bere un tè con lui. Naturalmente accettai di buon grado, così prese a raccontarmi di come aveva deciso di smettere di scattare fotografie. Molto semplice, essendo stato derubato di tutte la sue preziose Leica aveva interpretato questo come un segno, un destino. Mi ritirai in punta di piedi, feci qualche scatto degli spazi interni e mi concentrai, per ovvie ragioni, soprattutto sul giardino, dove gli antichi dei degli Ainu parevano attenderlo per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio verso il corpo del Dharma.
“…Rikyu, il maestro che istituì la cerimonia del tè della scuola Chanoyu, un giorno ricevette in dono dei magnifici fiori. Fu un giovane monaco a portarli. Ma proprio dinnanzi alla stanza del tè i fiori gli caddero dalle mani. Tutti i petali si staccarono d’un colpo, e rimasero solo gli steli. Il giovane monaco, confuso, si scusò con Rikyu che rispose: “ Entra nella stanza del tè”. Davanti alla nicchia, il tokonoma, Rikyu depose semplicemente un vaso da ikebana vuoto. Vi immerse gli steli dei fiori e in terra, sul tatami, dispose armoniosamente i petali. Tutto era bello, naturale, semplice. Disse allora Rikyu al giovane monaco: “ Quando mi hai portato questi fiori, erano Shiki: Shiki soku ze shiki, il fenomeno è fenomeno. Cadendo sono divenuti Ku, non c’erano più i fiori. Shiki soku ze ku: il fenomeno è Ku, è Nulla. Secondo il senso comune, avrebbero potuto restare quali erano. Ku Soku ze ku, Ku è Ku, il Nulla è Nulla. Ma ora abbelliscono la stanza: Ku soku ze shiki, Ku, Nulla è il fenomeno”….”