Era una notte buia e tempestosa… ( dieci variazioni sul tema della ‘maison du lepréux’)
di Maurizio Barberis
Era un grigio e piovoso mattino d’inverno e per un qualche strano caso mi trovavo a passare per un piccolo paese della riviera del Garda. Il paesaggio era assai malinconico e la collina era dominata da un bizzarro edificio dall’aspetto alquanto lugubre. Guardando verso l’alto vidi, alle finestre di quella grande casa all’apparenza disabitata, una luce fioca che s’alzava e s’abbassava, spostandosi continuamente. Incuriosito e armato dalla mia fedele Linhof 10x12 , mi avvicinai lentamente all’uscio della casa, tenendo al tempo stesso sotto controllo gli spostamenti di quel lume che sembravano assecondarmi. Giunto che fui di fronte al portone mi attaccai al campanello sperando di ricevere un qualche segnale di risposta. Il suono echeggiò cupo nella casa, ma nessuno rispose. Scoraggiato stavo per allontanarmi, quando notai che il portone non era chiuso ma solo appoggiato. Così, mosso da una discutibile e incosciente curiosità, mi spinsi all’interno della casa, inoltrandomi nello scuro androne, per dirigere i miei passi verso quella medesima luce che vedevo brillare attraverso le pesanti vetrate che ne separavano l’ingresso dagli appartamenti. Viziato dalla consuetudine, iniziai a rubare qualche immagine, ma un’ombra attrasse rapidamente la mia attenzione verso la stanza successiva, dove ripresi a scattare. La scena si ripeté più e più volte, costringendomi ad una strana danza, fino a quando giunsi nella grande biblioteca, dove preziosi volumi ricoprivano le pareti della stanza. Decisi per una sosta e mi misi in posa per un autoritratto. Ma l’ombra non mi dava tregua. Aveva certamente l’obiettivo di attrarre la mia attenzione verso un luogo preciso. Alla fine del percorso mi trovai in una grande camera da letto, una vera camera mortuaria, dominata da un san Sebastiano ligneo e da un piccolo dipinto, posato proprio sopra il minuscolo giaciglio e che raffigurava l’immagine di un lebbroso. Dunque, pensai, era questo che l’ombra voleva farmi vedere, la realizzazione del ‘simbolo’, una messa in scena che il Poeta offriva agli occhi del mondo, laddove la morte e la sconfitta rendevano piena testimonianza di una ‘ricongiunzione’.
“ …then this ebony bird beguiling my sad fancy into smiling, by the grave and stern decorum of the countenance it wore, ‘ Though thy crest be shorn and shaven, thou,’ I said ‘art sure no craven, Ghastly grim and ancient Raven wandering from the Nightly shore- Tell me what thy lordly name is on the Night’s Plutonian shore! Quoth the Raven ‘ Nevenmore’ ..”
E.A. Poe from ‘the Raven’,