L’oggetto Analogo,
by Maurizio Barberis
Analogo, simile, uguale. Eppure diverso. Così nasce la rappresentazione, così la rappresentazione sostituisce l’oggetto rappresentato. Analogico è un termine che appartiene alla geometria proiettiva: due punti nello spazio, su due piani differenti, sono legati tra loro da una relazione biunivoca, ovvero l’uno è la proiezione dell’altro.
Così se riduciamo il mondo ad un unico piano di rappresentazione otteniamo una superficie ‘proiettabile’, punto a punto, su un'altra superficie.
E questo piano, che potremmo definire piano delle rappresentazioni simboliche, altro non è che il piano dell’arte. Una superficie complessa, che attraverso un gioco di spostamenti analogici costruisce il nostro immaginario percettivo, quel piano su cui proiettiamo le nostre aspettative culturali.
Così nasce la pittura, e soprattutto la pittura di paesaggio, attraverso le macchine ottiche, quelle superfici di vetro su cui si proiettava punto a punto l’immagine da rappresentare.
Così nasce la fotografia, grazie alla possibilità di rendere chimicamente sensibile alla luce quella superficie di vetro.
La pellicola, per intenderci. Ma ecco apparire un sostituto della visione, che potenzia e differenzia la macchina ottica, trasformando la realtà in un gioco fenomenico. Alludo a quel pezzo di vetro ottico, l’obiettivo, che si inserisce tra la realtà e la sua rappresentazione.
Un sostituto del cervello e in fondo anche un surrogato del nostro immaginario. La realtà si potenzia a spese della verità, deformandola.
Ma giocando su questi principi, relazione analogica tra due oggetti collocati in spazi concettuali diversi, ecco nascere l’esprit contemporaneo dell’arte, da Duchamp e Magritte e sino ai giorni nostri, passando per Kosuth, per l’arte concettuale, approdando al pop di Andy Wharol, Roy Lichtenstein e Claes Oldenburg.
Grazie a questo principio ‘proiettivo’ l’arte diviene dominio del reale, di quella realtà modificata che pone l’accento su fluttuanti associazioni, e, come un serpente che si mangia la coda, riporta la natura dell’oggetto al suo principio oggettivo, assertivo, moltiplicativo.
La fotografia, p. es., grazie alla sua implicita chimicità analogica, moltiplica all’infinito, come in un gioco di specchi, la materia del mondo, generando un continuum vagamente osceno che infine ne impedisce la libera e limpida visione.
L’oggetto diviene così ‘Analogo’, ovvero simile, uguale, attraverso una rappresentazione di se stesso che annulla la distanza, reale, tra due piani differenti, ponendo le cose del mondo sullo stesso piano concettuale, spaziale e temporale della loro rappresentazione. Analogica, appunto.