Labirinti d’invenzione
di Giovanni Socol
L’immagine del labirinto solitamente si identifica con la rappresentazione della sua pianta in proiezione ortogonale o, prospetticamente, a “volo d’uccello”, ed ambedue permettono di individuarne chiaramente il percorso, ma questi dati sono ben lungi dall’esprimere l’emozione che si prova nel vivere quello spazio.
La costruzione del labirinto si basa essenzialmente sulla creazione di un percorso che sia il più lungo possibile per raggiungere una meta vicinissima. Chi entra nel labirinto, superata la prima curva, è inghiottito in uno spazio modellato su di lui ma non per lui, di una totale anonimità architettonica che annulla ogni possibilità di riferimento, un riflettersi di situazioni spaziali simmetriche o asimmetricamente contrapposte, ove ombre proprie e ombre portate giocano un ruolo fondamentale di smarrimento, creando una architettura mobile all’interno dell’architettura stessa.
La presenza inoltre di biforcazioni, bivi, o confluenze di più vie, nodi, impone una scelta. Ma la via da seguire è affidata al caso perché il disorientamento ad un certo punto è totale: ora si è in preda all’azzardo, alla necessità di una scelta priva di riferimenti, nel dubbio se si stia ritornando sui propri passi o se si avanzi. Siamo in un luogo ben circoscritto che nel suo finito è metafora dell’infinito, un moltiplicarsi di prospettive convergenti verso punti di fuga contrapposti.
Come è possibile rappresentare tutto ciò attraverso un’immagine che ci trasmetta l’occulto messaggio di questa macchina architettonica, metafora di un mistero racchiuso in un perimetro, ove finito ed infinito giocano tra loro ed il tempo e lo spazio si ingannano a vicenda? La lettura di Jorge Luis Borges mi accompagna da molti anni. Certe sue meditazioni sul rapporto spazio-tempo, l’uso del simbolo, il potere della sintesi, l’assenza di inutili descrittivismi, “la trasformazione della realtà tangibile del mondo in realtà interiore ed emotiva”, tutto questo ed altro sono stati lezione e stimolo per il mio lavoro.
Un piccolo quadro di Cima da Conegliano, Teseo uccide il Minotauro, mi ha rivelato uno spazio che, tradotto, ripreso, ricomposto, distrutto e ricostruito, reinventato nelle sue componenti, mi ha fatto meditare sulle possibilità di rappresentare il labirinto come è vissuto da colui che si avventura nel suo interno. Quest’opera di Cima è un dialogo tra concavo-convesso, rivelato-celato, attrazione-repulsione. La concavità del muro a sinistra, elegantemente sbrecciato, avvolge la convessità del corpo centrale, introducendoci in uno stretto percorso curvilineo.
Da quest’ultimo emergono altri tre corpi cilindrici a sottolineare e suggerire la dinamica concentrica del percorso. Ombre proprie, ombre portate, luci e riflessi conducono lo spettatore nell’atmosfera di uno spazio progettato per disorientare colui che vi si inoltra.
Giovanni Soccol LABIRINTI D’INVENZIONE
A cura di Giandomenico Romanelli
Venezia, Magazzino Gallery Palazzo Contarini-Polignac
Dorsoduro 878 29 ottobre 2020 - 6 gennaio 2021