Ombre

by Maurizio Barberis

Naum Jun Paik, Partecipation n.1, Milano, Archivio Palazzoli

Naum Jun Paik, Partecipation n.1, Milano, Archivio Palazzoli

- L'arte del celare (un luogo o una cosa nello spazio o nel tempo) si fonda sull’ambigua arte del rovesciamento, del riflesso della chiarezza nello spazio dell'oscura profondità del tempo. Perversione del senso figurale, impedisce l'orientamento a osservatori distratti.  Dalla simmetria nasce il governo delle tecniche del nascondere, che aprono al nostro sguardo lo specchio di significati dove materia e spirito, cultura e civilizzazione, possano fondersi in un'unica, perversa, sensazione. Simmetrica è la forma, per se stessa e per sua essenza, immateriale il contenuto che ne stabilisce i parametri e gli esoterici confini. La raffigurazione è simmetria di opposte figure, implica l'ombra della non-figurazione, ombra che cela allo sguardo le verità di una immagine deformata da una crittografia, da una trama di riferimenti, di segni segreti, di verità che riaffiorano solamente grazie a codici celati, (evidenze del nascondere?). Il Senso diviene Sensazione solo per chi ne riconosce i confini e può guardare all’immagine come allegoria, metamorfosi consapevole dell’artificio nel segno. L'allegoria è possibilità di costruire l'immagine, la forma e il suo significato, attraverso la rappresentazione del suo apparente segreto, sotteso e alluso come una delle tante funzionalità che la Sensazione, Stimmung, vuole porre in essere. La simmetria è qui semplice coincidenza tautologica, scienza della ripetizione e dell'uguale e il simbolo si offre allo sguardo come ciò che rappresenta solo se stesso, pura presenza.  Il segreto è viceversa eccitamento, condizione di irrealtà magnetica e rappresenta un'alterazione dello stato di quiete della coscienza eidetica. La Psiche ricava appagamento dalle strutture nascoste, dal segreto che lo sguardo porta alla luce, i cui indizi rivelano all’osservatore gli atti mancati del significato, laddove il sospetto illumina per un attimo ciò che non può essere visto, ciò che non può essere colto solo da uno sguardo superficiale. Il segreto si offre qui come una rappresentazione, messa in scena tautologica del simbolo.

Hans Holbein, Gli ambasciatori, the National Gallery, Londra

Hans Holbein, Gli ambasciatori, the National Gallery, Londra

- L'arte del nascondere è sempre intenzionale, voluta, mimesi dell'oggetto, benché all'azione cosciente, deliberata espressione della forma comunicante, corrisponda pur sempre un involontario agire, censorio e iniziatico, che 'contiene' il significato e depista qualsivoglia interpretazione. Colui che cela agisce sempre contro un osservatore, la cui presenza presume una sorta di iniziazione, un'appartenenza elitaria che si contrappone, ancor prima della consapevolezza dell'artista, alla volontà dello sguardo. Iniziazione è ammissione a un segreto, che, al di là dell'intenzionalità dell'atto, chiede la presenza di un complice, poiché ciò che è celato ha bisogno di testimoni che ne attestino l'autenticità. La complicità tra segreto e verità è un portare alla luce ciò che spesso si sostiene grazie a una tradizione.

Jan Provost, Allegorie Sacrée, Musée du Louvre, Parigi

Jan Provost, Allegorie Sacrée, Musée du Louvre, Parigi

- Tutto ciò non può essere confuso con un'economia del segno, con un minimalismo pittorico che, al contrario, punta alla massima funzionalità visiva, laddove la scrittura si propone sempre come risparmio, come economia visiva della forma che vien data alla relazione tra suono e parola nell’estrinsecarsi di un pensiero. La rarefazione condensa, ma non ne nasconde. La storia della scrittura è un continuo amicare dell'icona verso il segno, laddove nascondendo l'immagine originaria, il segno procede per una strada che rappresenta l'esatto contrario di un'ermeneutica. Il segno acquisisce una predisposizione all'affinamento del senso che l'icona, per suo statuto, non può possedere, poiché il suo valore in quanto imago, sta nell'intuizione visiva, nel suo aprirsi al significato attraverso la libera associazione di forme. Percorrendo la strada dell'astrazione, il segno acquista viceversa potere referenziale, poiché per mezzo del progressivo distacco dalla rappresentazione fonda la forma della scrittura come icona del suono.

Victor Brauner, Vent-ombre, 1935, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou

Victor Brauner, Vent-ombre, 1935, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou

- Viceversa l'atto del nascondere si presenta come una manipolazione del linguaggio, del segno rivoltato in immagine, dell'affermazione di una Figura in quanto Simbolo. Ciò che si può nascondere si può svelare. Si cela una Figura, poiché solo così il segno si può aprire al significato. Manipolare il significato, o la figura che lo rappresenta, è cosa che può essere fatta solo attraverso il complesso paradigma di segni che ne in-formano la costellazione visibile, limitata dal numero delle possibili variabili che possono determinarne e concluderne la raffigurazione. Attraverso la possibilità di intervenire su un numero limitato di variabili è possibile aumentare o diminuire la chiarezza del senso, definendo un modello che nasce dall'interferenza o dalla manipolazione, dalla relazione del celare con la costellazione delle variabili visive a disposizione dell'organizzazione della forma-immagine.

Salvator Dalì, Il mercato degli schiavi con busto di voltaire, 1940, Dalì Museum, St. Petersburg, Florida

Salvator Dalì, Il mercato degli schiavi con busto di voltaire, 1940, Dalì Museum, St. Petersburg, Florida

- Una prima, virtuale, catalogazione delle possibili manipolazioni dell'immagine deriva dalle esperienze dirette che tutti noi facciamo nello spazio fenomenico, che potremmo definire come spazio ‘attivo’. Uno spazio diviene attivo, per la nostra coscienza, quando sia fenomenologicamente provato attraverso un esperire, risultato della relazione tra un numero e una qualità, intreccio sensibile di idea e concretezza. Lo spazio ‘attivo’ è il luogo della materializzazione dell’idea, dove il soggetto coglie sia il significato delle sue azioni reali, fenomenicamente fondate, che la configurazione delle sue azioni probabili e possibili. Se parliamo dalle immagini primarie, quelle che, per intenderci, si collocano all’origine della coscienza, queste vengono sottoposte paradossalmente alla verifica dalla memoria, che a sua volta si arricchisce grazie alle interazioni con lo spazio attivo e quindi con le immagini che hanno già preso forma nel nostro mondo sensibile.

Mario Giacomelli, Understanding day-light, dettaglio, 1954

Mario Giacomelli, Understanding day-light, dettaglio, 1954

La Proporzione e l’Analogia, per esempio, sono utilizzate dalla memoria per ricostruire l'orientamento e la rappresentazione, strutturando il nostro vissuto nello spazio attivo. L'analogo ricostruisce la forma dell'oggetto, il modello ideale a cui riportiamo le nostre immagini, che ci allontanano dai referenti concreti del nostro esperire. Solo attraverso l'analogia possiamo comparare entità differenti e proporzionarle, poiché solo parti comparabili tra loro si possono definire come enti relazionati analogicamente. Una parte sta proporzionalmente a un'altra. Attraverso Proporzione e Analogia si forma la relazione che ci consente di slittare i piani, di trasformare le realtà in enti astratti. La proporzione si stabilisce in quanto definisce la possibilità di confrontare, per analogia, punti o enti separati su piani di significati differenti, costruendo sistemi di relazioni inediti. All'esperienza si sostituisce la memoria, allontanandoci così dalla realtà effettuale, fondando le nostre immagini su proporzionalità analogiche che fondano realtà non più basate sull’esperienza diretta. Allo spazio dell'immagine può così sostituire lo spazio attivo dell’ insieme delle esperienze virtuali dei mondi, trasformando così l'immagine nella modalità dell'esperienza di tutte le rappresentazioni possibili, trasformando così la concretezza dello spazio attivo nell'astrazione dello spazio immaginato. Il segno si definirà allora, in quello spazio-immagine, an-iconico, e cioè non vincolato alla realtà, alla forma dell'oggetto della nostra esperienza fattuale. Il segno an-iconico acquista una referenzialità proporzionale, congruente al suo significato. Sta per. Manipolare un'immagine significa pertanto  intervenire sull'esperienza passata, e attraverso la memoria agire sul nostro orizzonte culturale, su nostri modi personali di leggere la rappresentazione. La costruzione del senso vuole il controllo delle variabili visive e delle loro concatenazioni strutturali.

Paulosee Kunlliusee, Cosmologie Inuit, 1982, Déesse, 5 hommes, 4 animaux

Paulosee Kunlliusee, Cosmologie Inuit, 1982, Déesse, 5 hommes, 4 animaux

- L'arte del nascondere gioca dunque sulle nostre aspettative culturali. L'oscuramento di un significato è dominato dalla rete di relazioni, analogiche e proporzionali, che si crea tra spazio ideale, spazio immaginale e spazio attivo, tra il luogo delle immagini primarie, il luogo del loro svelamento-oscuramento, e il luogo della loro concretezza fenomenica. Così spesso ci troviamo a fronteggiare le ambiguità di un sistema che utilizza forme per rappresentare qualcosa di molto diverso da ciò che pensiamo di vedere, icone che vivono in uno spazio parallelo, nascosto allo sguardo. L'immagine attiva uno sdoppiamento dei significati e ciò che si pone davanti ai nostri occhi, è, al medesimo tempo, l'immagine e il suo doppio celato.  Tutto ciò che ne evidenzia il senso, può al medesimo tempo concorrere a nasconderlo: colore, texture, dimensione etc... sono strumenti indispensabili per la costruzione della chiarezza come per il gioco dell’oscurità.

Arnulf Rainer, Rückenbild, 1976 Olio e pastello all’olio su carta fotografica e legno

Arnulf Rainer, Rückenbild, 1976 Olio e pastello all’olio su carta fotografica e legno

L'ellissi della perfetta rappresentazione è costruita attorno ai due fuochi della forma e del suo contenuto, dell'idea e della materia che la compone, che la rende chiara e distinta.  L'atto del celare non è quindi lo sviluppo di un rumore, di un disturbo nella corretta ricezione dell'immagine primaria, ma l'accatastarsi di molte icone e il sovrapporsi di molti significati. Un ridondanza che è il risultato della sovrapposizione di più immagini nella stessa area visiva. Intervenendo sugli elementi che ne costituiscono la trama semiologica, indipendentemente dal grado di iconicità e muovendo dalla possibilità di rielaborare i sistemi di segni che ne costituiscono l'ossatura, si trasforma l'insieme che ne forma il particolare ambiente, laddove la trama materiale della configurazione possieda comunque un a-priori in grado di delimitare l'unità di una forma che presieda ad una particolare esperienza (Erlebnis) dell'immagine. Giocando con gli elementi strutturali della figura, con ciò che configura l'unità sostanziale dell’esperienza estetica, l'atto del nascondere si sottomette alle stesse leggi che ne governano la fenomenologia complessa. L'immagine è dunque quel particolare ambiente fenomenico dove le intenzionalità del celare divengono manifeste. Le medesime strutture semantiche che utilizziamo per enfatizzarne il significato, vengono qui utilizzate per demolirne la chiarezza. Nascondere non comporta comunque l'adozione di un codice specifico, poiché l'immagine, in entrambe i casi, utilizza lo stesso regime di segni. L'analogia è evidente: lo spazio della rappresentazione è il luogo virtuale la cui pregnanza, la cui forma coerente, è determinata dal maggior o minor grado di vicinanza semantica al modello di riferimento. E qui ritroviamo il luogo del cosiddetto Immaginale (Corbin), di un immagine prodromo di un altrove qualificante. Grazie alla virtualizzazione dello spazio, attraverso la concretezza delle sue infinite possibili rappresentazioni, laddove infinito è sinonimo di continuo, possiamo individuare l'insieme di tutte le configurazioni grazie a cui l'immagine diviene aleph, la prima lettera  che tutte le contiene, luogo delle configurazioni la cui messa in atto annulla la  chiarezza esplicita del doppio, per moltiplicarne le forme in uno scorrere perpetuamente in movimento. La parte visibile dell'immagine include, de iure e de facto, una parte invisibile, forma esoterica di tutti gli insiemi possibili, di tutte le biforcazioni del tempo nello spazio, il cui svelamento annulla lo sforzo dell’episteme fenomenica, azzerando la consapevolezza dell’essere nel mondo.

Maurizio Barberis, Elegia profonda n2,( Ἔλεγος. ὁ θρῆνος παρὰ τὸ εὖ λέγειν τοὺς θανόντας), Milano 2020

Maurizio Barberis, Elegia profonda n2,( Ἔλεγος. ὁ θρῆνος παρὰ τὸ εὖ λέγειν τοὺς θανόντας), Milano 2020

Una sorta di accecamento segue all'emergere di una pluralità di altri significati, esotericamente nascosti tra le pieghe di ciò che a noi si manifesta. L'immagine perde il suo guscio d'apparenza, trasformando l'immaginario in immaginale, l'illusione della forma grafica nella verità di un possibile senso celato. La coscienza intenzionale della forma segue sempre l'immagine possibile, per aprire al suo significato, laddove l'apparenza dell'immagine implichi la possibilità della sua assenza, della sua distruzione, del suo oscuramento. E, allo stesso modo, il rapporto tra le due componenti fondamentali dell'apparire , la figura e lo sfondo, può essere facilmente modificato deformando le categorie gestaltiche usate come griglia interpretativa (piccolo grande, orientamento, topologia dei margini), e la possibilità di uno svelamento, dell’illuminazione di un senso nascosto, appare ora dove una configurazione può essere divisa, dove il senso generale dell'immagine sia determinato da una Gestalt più forte, in virtù di una legge che vuole che una e una sola parte di ciò che vediamo possa essere letta come figura. Solo spezzando continuamente l'attitudine interpretativa, la ricerca di definizioni chiare e distinte, si giunge a capire la vera natura della relazione tra la figura e lo sfondo. Nessun segno può essere letto a tempo indeterminato come una porzione immodificabile dell'immagine, trasformata continuamente, sollecitata dalle circostanze 'ambientali'. L'atto del nascondere si colloca quindi sul bordo del manifestarsi di un significato, nel punto di passaggio da un sistema di certezze a una forma presagita ma non del tutto manifesta, che apre a nuovi orizzonti di aggregazione semantica. In questo luogo, definito dall'intuizione più che dall’imitazione, si forma l'idea di una scrittura segreta, che dia ragione di uno spazio immaginario.

Rembrandt, Il doctor Faust, dettaglio della ruota di fuoco, 1652, Rijksmuseum, Amsterdam

Rembrandt, Il doctor Faust, dettaglio della ruota di fuoco, 1652, Rijksmuseum, Amsterdam

- Possiamo cercare altre vie per nascondere, altre possibilità consentite dalla semplice manipolazione delle variabili visive. Una tra queste è la deformazione. De-formare significa portar fuori dalla forma originaria, senza necessariamente costruire un nuovo ambiente ospite. Questo slittamento, tra configurazione e forma, tra significato e apparenza, è uno shock sensoriale, una soglia che deve essere superata per ridare senso al valore dell'immagine. L'indeterminatezza della configurazione provoca disagio all'esperienza e all'impressione. La forma diviene come un oscuro recetto, dove all'ambiguità si accompagna l’indeterminatezza dell’intelligere. Deforme, informe, non-conforme, sono categorie che si oppongono allo sguardo come non-intellegibili, prive di confini, non codificabili. La forma si presenta allora come soggetto di un cattivo infinito, che non consente allo sguardo di determinare le certezze fenomeniche della figura. Ma è proprio all'interno di queste incertezze che opera lo spiazzamento semantico, che agisce la sorpresa di ciò che non appare.

Daniel spoerri Le dieu cachè ( tableau piége homage a Lucien Goldman, Assemblages d'òbjets sur tapie Collection Arman Paris

Daniel spoerri Le dieu cachè ( tableau piége homage a Lucien Goldman, Assemblages d'òbjets sur tapie Collection Arman Paris

E’ attraverso la deformazione della figura che si costruiscono significati a-razionali, al di là della razionalità dell’esperienza. Come il mito e  il sogno, la figura intenzionalmente deformata si presenta come un’unità di significato priva di fondamento logico, manifestazione primaria dell'Erlebnis interna del soggetto. La deformazione si presenta come un vuoto spalancatosi sull'indefinitezza della perdita di senso e, in quanto segno significante, è vittoria della negazione di un’esperienza esteticamente compiuta.  Il significato ultimo della deformazione pertanto è la negazione di ogni sua possibile determinatezza nel cosmo dei significati.  Un cosmo dove ciò che è familiare cessa di essere tale, per trasformarsi nell'oscura rappresentazione dell'estraneità allo sguardo, fondamento di una realtà altra che sfugge alle semplici categorie della percezione dei fenomeni che si offrono ai sensi e alla mente. La deformazione non è qui balbettio dell'idiota, grado zero dell'anima, ma diviene il suo esatto contrario, il gesto sapiente che modifica le nostre percezioni attraverso l'arte del nascondere.  Ma la deformazione, come atto del nascondimento, può anche essere oggetto di una volontà inconscia, a cui si adegua la parte oscura che diviene dominante e inghiotte il senso come una malattia dell'essere. L'azione diviene quindi patologica espressione di un'angoscia, che devia lo sguardo dalla chiarezza dell’Io. Nascondere è dunque espressione di un Sé incompleto, dove mondo e essere-nel-mondo vengono appunto celati da un'azione del sé-contro-di-Sé, dove la deformazione diviene portatrice dell'idea negativa e demonica della separatezza, dell'annichilimento auto-distruttivo della coscienza.

Howard Hodgkin, Small Henry Moore at the Bottom of Garden, 1975-1977, Private Collection, New York

Howard Hodgkin, Small Henry Moore at the Bottom of Garden, 1975-1977, Private Collection, New York

- Modificare è celare ciò che si modifica: ecco le azioni che accompagnano le metamorfosi dell'anima. E la deformazione resta comunque vincolata alla messa in scena del segreto, sull'asse immaginario-immaginale, in una trasformazione verticale del segno dove la modificazione del percetto è trasformata in pura attività intellettiva. Dal simbolo all'allegoria, dall'allegoria al simbolo, la trasformazione della concretezza fenomenica in theorein, intendendo la teoria come meditazione sull'oggetto, dà un'idea della rappresentazione come distacco dell'osservatore dall'azione dell’essere nel mondo attraverso un processo di imitazione che postula la forma come alternativa alla cosa. Lo sguardo stabilisce quindi una prima differenza tra prassi, intesa come essere presenti all'azione, e teoria, intesa come meditazione-distacco nella comprensione-osservazione della forma. E' lo sguardo che si trova nella condizione privilegiata di determinare l’impressum della conoscenza, grazie a una specializzazione che è ancora speculazione, tensione verso il puro intellegibile. E' lo sguardo che esprime la teoria come concreta esperienza dell'estetico, che attraversa la coscienza estetica delimitando il territorio dell'Immaginale. La manifestazione cui la teoria apre, comporta una passività totale dell'azione, un distacco che rappresenta l'unica condizione possibile per oltrepassare la soglia metafisica del senso, per ridefinire le soglie dell'esperienza. Uno sguardo che annulla sé stesso. La deformazione dei significanti è inoltre assunzione della forma nella sua possibile determinazione teleologica, nella tensione verso un senso che non può rappresentare altro che la propria vocazione a esistere portando il significato verso il suo telos , per una perfetta adesione della materia alla forma e della forma alla materia.

Odillion Redon, L’oeil au pavot, Musée du Louvre, fonds du Musèe d’Orsay, donation de Claude Roger-Marx

Odillion Redon, L’oeil au pavot, Musée du Louvre, fonds du Musèe d’Orsay, donation de Claude Roger-Marx

Attraverso la deformazione  viene costruito il primo segno nella scrittura alfabetica. La consuetudine e la ripetizione ne rappresentano le premesse. La prima forma della scrittura tende a rappresentare 'solo' l'oggetto diretto del discorso, divenendo pertanto immagine.  Il potere di seduzione del segno alfabetico è da ascrivere perciò all'immagine in quanto rappresentazione, che in questo elemento se ne stabilisce il senso proprio. L'al-di-là del significato è contenuto nella forma pittografica della scrittura, che attraverso la deformazione progressiva dell'icona costruisce il proprio senso, adattandosi con sempre maggior precisione al suono della parola.

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- L'accecamento si presenta come l'intervallo necessario per riconoscere, per far propria la forma al suo apparire. L'accecamento diviene il momento essenziale in cui il nuovo può finalmente essere guardato, il tempo in cui l'opera può finalmente essere vista. La forma (del nascondere) determina la configurazione (dell'opera). Se il significato è prodotto dello sguardo, l'accecamento diviene il momento essenziale che precede l'intuizione, intesa come al-di-là della configurazione. Nell'accecamento ritroviamo la possibilità di riconoscere l'istante dell'apparire del nuovo, che diviene visibile assieme alla sequenza di tutte le opere che a quella sono collegate come passaggi successivi del senso originario. In ogni successivo passaggio dell'intuizione estetica, si produce un nuovo accecamento, una nuova deformazione del percetto originario. Il nuovo appare, tra le pieghe del nascondimento, come il vero oggetto della formail cui essere, celato allo sguardo dalla deformazione, mette al centro della rappresentazione l'accecamento.  

Antoine Coypel, Etude d’aveugle, Muséee du Louvre

Antoine Coypel, Etude d’aveugle, Muséee du Louvre

- Lo sguardo cieco è il nuovo attore sulla scena dell'immaginario, che si presenta come il vero significato del disvelamento. La deformazione, sottrazione della consistenza dell'esperienza, diviene una delle mosse possibili per un altrove del senso, che, grazie alle tenebre del nascondere, possa implicare finalmente la luce del nuovo. All'azione esoterica del barocco  si contrappone l'azione essoterica del cubismo. All'oscurità del senso corrisponde la ricerca del nuovo, che si pone come accecamento dello sguardo nell'atto di svelare l'oggetto. L'uno, l'esoterico, procede dall'esterno verso l'interno, dal luogo dell'azione al luogo del segreto. L'altro, essoterico, dall'interno verso l'esterno, costituendo l'esperienza estetica fondamentale, l'irruzione del nuovo, l'accecamento temporaneo del riconoscibile e del noto. L'esoterico muove verso il centro di un segreto che non può essere svelato e neppure conosciuto. Va alla ricerca di un oggetto che sfugge continuamente alla possibilità di essere compreso. L'essoterico agisce per portare alla luce il nuovo, fondando la propria chiarezza nell'accecamento dello sguardo. La deformazione funziona in entrambe i casi come elemento di progettata confusione,  segno rosso che indica  la presenza del segreto. Confonde per portare alla luce, illumina per rendere oscuro. La deformazione implica quindi due vie. Una, essoterica, che apre, e indica la possibilità dell'interpretazione. L’altra, esoterica, che chiude, che manifesta la non-disponibilità dell'oggetto ad essere interpretato.

Ugo Carrega, Sul nero dalla luce, 1970

Ugo Carrega, Sul nero dalla luce, 1970

- E' opportuno a questo punto distinguere tra l'analisi del concetto di deformazione, inteso come espressione e come rappresentazione, e la sua possibile collocazione nell'ambito di una teoria che possa configurarne il lessico. E' necessario distinguere tra l'atto che deforma, in quanto parte di un racconto, e il suo specifico narrante, che presiede al discorso, ovvero all'insieme retorico dell'esposizione. Il luogo della deformazione è la narrazione, determinata dalla trasformazione della forma originaria e archetipa dell'esperienza. Luogo del logos razionale è la retorica espositiva, che ha come conseguenza la chiarezza e la seduzione. Entrambe sono risultato di una memoria, evocata vuoi per la ricerca del vero, vuoi per la ricerca delle strutture discorsive, che stabiliscono la propria presenza nell'autorità di un discorso razionale. Autorità che trova conferma nelle categorie a-priori della forma significante. Spazio e tempo, appunto. Se utilizziamo la nozione di Figura con doppia valenza referenziale, riferendoci a entrambe le modalità della deformazione, razionale e discorsiva, stabiliamo una relazione tra lo spazio dell'opera, inteso come universale, e il luogo che lo materializza, che gli consente di divenire spazio attivo. La Figura diventa una forma reale, in quanto rappresentazione di un logos determinato da un corpo di regole precise, e una forma immaginaria , in quanto produzione spirituale di un io narrante.

Mario Giacomelli, Abstract Effect made with e Burned Negative, 1955

Mario Giacomelli, Abstract Effect made with e Burned Negative, 1955

La relazione tra spazio e luogo, nei termini indicati dalla deformazione, può essere esemplificata dalla relazione tra un cerchio, in quanto forma che appartiene allo spazio e la rotondità, come uno dei luoghi possibili in cui il cerchio può essere inscritto.  E' il rapporto tra una quantità, il cerchio, e una particolare  qualità, in cui questa si trova agita, ovvero la rotondità. La rotondità è il luogo cui il cerchio può essere indotto, così come il cerchio è l'universale da cui deduciamo la qualità che si caratterizza attraverso la rotondità. Il cerchio occupa un luogo rotondo, cosicché la rotondità rappresenta il luogo del cerchio. La rotondità ha come Forma di riferimento il cerchio, che rappresenta lo spazio della rotondità. Tutto ciò che è rotondo ha come forma referenziale il cerchio che ne costituisce l'orizzonte ideale. Esiste un rapporto di esclusività, che lega il cerchio alla rotondità, ovvero l’oggetto a quella particolare qualità? Può essere dato invece un corpo rotondo che non venga riferito necessariamente al cerchio? La condizione di esistenza della rotondità presuppone uno spazio circolare, a cui la rotondità deve essere ascritta, pena l'inesistenza del concetto di rotondità. Se tale spazio non fosse circolare, l'identità del rotondo non potrebbe essere percepita neppure come fenomeno. Ovvero una circolarità che si ponga come unica circolarità possibile, poiché, se così non fosse, la qualità coinciderebbe con la quantità, e il luogo con lo spazio. Il cerchio è dunque l'immagine reale della rotondità, grazie a una relazione di  biunivocità. Ciononostante, se tutte le rotondità appartengono al cerchio, non tutti i cerchi si danno all'esperienza come rotondi. Una linea retta può essere la rappresentazione di un cerchio sul piano delle proiezioni. Il cerchio si trova quindi all'interno di un orizzonte di riferimento che potremmo definire polimorfo . Rovesciando il ragionamento possiamo sostenere che esistono una serie di relazioni possibili tra cerchio e rotondità di tipo polimorfo, e la rotondità è uno dei casi possibili della manifestazione del cerchio. Un relazione biunivoca, se consideriamo il rotondo come luogo di tutti i cerchi possibili. Il cerchio appare, nella relazione polimorfa, come un livello possibile della formalizzazione del percetto rotondo, mentre la rotondità appare come l'insieme fenomenico di tutte le qualità inscritte in quest'ordine.

 - Le qualità dello spazio sono pertanto il luogo del percetto. L'ellissi può essere letta come una deformazione del cerchio. In virtù del rapporto con la sua Forma Originaria possiamo chiarire e  interpretare  l'intero spazio fenomenico. La chiarezza del percetto, che l'elisse rappresenta non in quanto forma, ma in quanto configurazione, come cerchio deformato e non come curva equidistante da due fuochi,  è resa possibile dal suo appartenere al luogo della rotondità, concretizzazione dello spazio circolare in quanto manifestazione della rotondità. Insieme di luoghi, in quanto rappresentazione di tutti i cerchi possibili contenuti nella rotondità. L'ellissi è una configurazione delle implicazioni della figura della rotondità, in quanto immagine deformata del percetto originario. L'ellisse rappresenta quindi un luogo autonomo della rotondità. La deformazione può essere sperimentata sia come luogo apparente, sia come luogo reale, in cui si posiziona il significato ultimo, grazie allo svelamento e alla rappresentazione. Il cerchio è un luogo svelato, l'ellissi è un luogo apparente, la retta infine è il luogo del segreto, poiché nella rotazione della circonferenza occupa il posto della sparizione della rotondità, condizione al medesimo tempo fenomenica e immaginale, poiché della rotondità non rimane che il percetto sublimato dall'intuizione.  La retta rappresenta il limite della deformazione possibile, che ne contiene il segreto stesso, segreto che può essere solo intuito, non percepito ne tantomeno svelato.

Seven Twists V 1979, printed 2011 Gelatin silver print on paper 20.5 × 20.5 cm Tate © Dóra Maurer

Seven Twists V 1979, printed 2011 Gelatin silver print on paper 20.5 × 20.5 cm Tate
© Dóra Maurer

Porbus, onnivedente pittore de " Le chef-d'oeuvre inconnu', celebre racconto balzacchiano, scopre, alla lettera, le forme nascoste del suo capolavoro segreto. Coperto da un tessuto, il dipinto si presenta ad un giovane e allibito Poussin, come un'indecifrabile composizione, trama di segni dalla semantica incomunicabile. Il gesto di Porbus ha un duplice significato: nelle sue intenzioni il segreto dell'oggetto porta alla luce le qualità materiche del dipinto, la tassonomia quantitativa dei materiali di cui è composto il quadro. L'artista si sente 'moralmente' soddisfatto. Ha aperto una falla nelle virtù dell'opera. Lo spettatore diventa, contro la propria volontà, complice dell'azione, mentre questi siede, appagato, soddisfatto per la complicità strappata ai suoi ospiti.

Ma c'è un altro segreto nell'opera, che il gesto di Porbus può solo anticipare, e questo secondo significato, che non possiamo decifrare a causa del fraintendimento allegorico che apre sul nulla, su ciò che, per essere capito, vuole una totale adesione all'immagine. L'opera si presenta come un’inestricabile trama, che nessuno sguardo, nessuna memoria e nessuna fantasia pregressa è in grado di governare. L'immagine non assomiglia a nulla, nessuna forma nota emerge dalla raffigurazione impressa sulla tela dipinta. Il senso immateriale del quadro, il suo significato nascosto, sempre che ce ne sia uno, non può essere svelato. Forse intuito, e in ogni caso chiuso allo sguardo. Lo spettatore, complice solo della metà dell'opera, finge di ignorare l'altra metà, che il genio dell'artista faceva solo intuire. Rimane oscura, nascosta nel buio di significati non rivelati, impossibile afferrarla. Oscuro il senso, chiaro il gesto. L'evidenza dell'opera si palesa nell'essenza stessa della non-comunicabilità. Solo in virtù di quest'unica condizione l'indicibile può essere detto. L'immagine, possente e immanifesta, viene indicata come possibile unicamente  per sé stessa. Porbus si eccita all'evidenza della figura. L'immagine è per lui chiara, evidente, nient'affatto nascosta. Il segreto non è tale  per lui . Continua a esserlo per il mondo, lo spazio col quale il significato dell'opera deve infine dialogare. Il segreto involontario non è più segreto, ma solo atto mancato.  L’impossibilità di comprendere, di leggere qualsivoglia relazione palese o occulta del quadro dipende dalla distanza, morale, tra osservatore e osservato, tra artista e pubblico. Gli spettatori non sono all'altezza.  La contemporaneità avanza, mentre l'opera, destinata a rimanere nascosta per l'intenzione di chi, come l'autore, continua a vederne una forma possibile, non ci aiuta a compiere il salto interpretativo, a espugnarne l'assoluto fenomenico. L'opera, eccessiva, pericolosamente vicina ai bordi dell'assoluto, non lascia margine all' interpretazione, non consente letture. Lo 'spirito' manca al suo appuntamento, lo sguardo si perde senza trovare appiglio. Nulla a cui tenersi, mentre si attraversa lo spazio che divide dall'opera. L’immagine è così annullata dalla scelta autoreferenziale, che ne impone il significato al fuori di ogni possibile descrizione, nella dimensione delle differenze che non giovano al senso dell'arte. La coscienza estetica si separa dal mondo, e il segno, liberato da ogni sponda referenziale, penalizza Porbus, costretto a un'involontaria uscita di scena.  A un assoluto che appare ambiguamente come vuoto, privo di senso, corrisponde  un assoluto concepito come totalità dello sguardo, come totalità dei sensi.

Nel nulla che l'assenza di un significato visibile rappresenta, si compie la piena realizzazione della Forma, fluida e priva di luogo. Il rogo, con cui si conclude il racconto compensa e pacifica, perché rappresenta la vendetta di chi guarda senza poter comprendere. Libera e redime l'ansia, lasciando l'opera nascosta per sempre.