Edipo Cieco (The Witness)
“ ...Certamente nelle “Note all’Edipo” di Hoelderlin ricorre una semplice asserzione: essere Dio ‘null’altro che tempo’...” (K.Kerényi, Edipo:due saggi, in Variazioni su Edipo)
I°
“Edipo”, mi disse/ “salute a te, Edipo, che sogni sogni profondi!”/ Conosciuto! Anche qui conosciuto! Il mondo non ha/ forra che non sia colma delle mie dannazioni. Non/ posso celarmi in alcun luogo. Questa Tebe straniera, qui, è una grotta che mi conosce bene/...../ Il demone,/ lo spaventoso demone ha con me relazione! (...................) In piedi fuori dalla caverna stava la donna/ e davanti a me si chinò fino a terra, quando/ mi accostai, arretrò umilmente e giù si piegò/ fino a terra, quasi io fossi l’ospite atteso/ da cent’anni........./.........”Eccoti dunque “, in me penetrò la parola ”te ho atteso, salute/” (H.Von Hofmannsthal,Edipo e la Sfinge,)
Si potrebbe partire da una riformulazione del paradosso eleatico: non si nasce e non si muore. Il fato fissa le nostre scadenze, così come il geometra esperto sceglie un punto ideale sulla retta. Ma il punto, la data prestabilita, può essere allontanato all’infinito, interrompendo continuamente il segmento che ci è stato predestinato per mostrare le infinite variazioni, gli infiniti volti della vita, alle dee che ci inseguono per spezzarne il filo. Un labirinto del senso, tempo sospeso, che ci separa dall’attimo della morte. La biforcazione si presta a una strategia leibniziana, a un evolvere delle necessità nel possibile, all’allontanamento indefinito dell’ultimo iato. Perché anche la morte é atto di pura volontà, l’atto supremo della volontà contro la conoscenza. Tutta la tessitura del racconto di Edipo, sembra girare attorno all’idea della morte come atto di accondiscendenza, atto che la volontà impone al nostro destino. Edipo, eroe greco, è impegnato nella estrema battaglia per sfuggire la soglia finale, al cui apparire viene posta l’ultima domanda. L’azione di Edipo è la più enigmatica. Meno evidenti appaiono le motivazioni, meno espliciti gli antefatti, meno chiara la sua sorte, rispetto a ciò che ci viene detto di altri eroi greci. L’enigma di Edipo è fisicamente, spazialmente, costruito dai tagli, dalle curve, dalle deviazioni che il destino gli impone. Destino infame ma necessario, che trasforma biforcazioni in strozzature, angoli in trappole mortali. Un passaggio stretto, segnale adatto a indicare la vicenda che lo condurrà nel luogo da cui non uscirà che cieco. E’ un nodo temporale che non coinvolge solo Edipo, ma la sua intera discendenza. Il racconto delle sue avventure ci è stato riportato da molte fonti, ma la più autorevole, la più nota e citata, è quella delle tragedie sofoclee. Quattro per la precisione, che hanno come protagonista Edipo e la sua genia. Ecco una prima ideale divisione: due tragedie dedicate a Edipo, mentre le altre due sono equamente divise, tra la parte maschile e quella femminile. Una prima biforcazione nell’albero della vita. L’opera di Sofocle contiene una serie di importanti momenti speculari, che determinano veri e propri nodi temporali, impedendo la successione lineare della storia. Storia che, come è noto, conclude un ciclo più ampio, dalla storia di Cadmo, e si sviluppa lungo l’arco di sette generazioni. Un nodo temporale questo di Edipo, di primaria importanza.
Un’ulteriore biforcazione è contenuta nelle storie dei figli. Edipo non è certo tenero con la sua discendenza maschile. Maledice i figli maschi e la maledizione finisce per coinvolgere anche la parte femminile. Un raddoppio che si compie a monte del nodo temporale rappresentato dalla successione degli avvenimenti della sua stirpe: un padre ucciso, una madre concupita, morta suicida, Edipo che si colloca al centro di un fato inevitabile, Eteocle e Polinice, i figli maschi, maledetti e uccisi a loro volta, che ripetono la sorte di Laio. Antigone, occhi d’Edipo, suicida, e infine Ismene che attraverso la sua scomparsa doppia il destino di Giocasta. Ma poiché il ciclo del tempo non può essere chiuso, Ismene, unica, sfugge alla sua sorte per una necessità superiore, biologica. Lo schema non può essere interrotto, pena l’estinzione. Ismene rappresenta, nel nostro gioco, quello che Serres definirebbe un pozzo, un punto di passaggio oscuro, un condotto di cui non conosciamo la fine. Anche per Edipo, come per Atteone, l’atto del vedere, la visione, introduce l’elemento determinante e risolutivo di tutta la vicenda. Ecco l’altro nodo, che nel senso fisico e, perché no, metafisico del verbo, è premessa alla chiara visione. Antigone è, nell’Edipo a Colono, la vista del padre, il prolungamento protetico della sua possibilità di continuare a vedere e quindi ad esistere. Antigone rappresenta la vista, gli occhi, di un cieco veggente. Occhi divenuti ciechi per aver visto troppo.
Esiste nella storia un primo istante significativo, che indica il passaggio tra l’Edipo della Sfinge la sua ‘riduzione’ a cieco nomade, a sapiente senza territorio. E’ il nodo del ri-conoscimento, dell’eroe che finalmente ritrova il centro della sua esperienza, divenendo per questo cieco al mondo. E’ lo svelamento del sé, che avviene, dialetticamente attraverso la sua negazione. Vedere e non-vedere, appunto. E’ il nodo principale, il momento di maggior luminosità di tutto l’intreccio. Qui il destino sta per compiersi e al medesimo tempo é già compiuto. Passato e futuro risplendono in quest’attimo sospeso, in cui il presente è nodo di tutte le possibili determinazioni. Il destino si compie, non perché si è compiuto o si compirà, ma perché l’accadere riguarda ciò che è stato e ciò che sarà. Si compie perché è riconosciuto, visto, portato alla luce e fatalmente svelato. E’ dunque questo il passaggio attraverso la ‘porta stretta’, che l’oracolo aveva predetto a Edipo, il luogo dove finalmente incontrerà il padre vero. Ed é questo il luogo dell’incontro, che segna la seconda nascita, la condizione di non-vedente, di cieco-al-mondo. Nello stesso luogo si producono simultaneamente due azioni di forza e intensità eguale e contraria: la prima, l’incontro con il padre, la seconda la ‘messa in eguaglianza’ della madre e della sposa. Dall’apparenza all’essere? “..Ma che cosa è subentrato al posto dell’incesto, la cui semplice idea è bandita da questo dramma? Un comune ma appassionato amore giovanile(...)Nella storia moderna del tema il motivo del parricidio si è rivelato sempre più secondario, mentre è venuto sempre più in primo piano il sacrum nel congiungimento con la madre(...)Ma l’idea nell’opera creata dal poeta è questa: l’incesto può essere sostituito dal pieno soddisfacimento della passione amorosa....”
Nel suo recente passato Edipo è preceduto dal suo destino, una vista particolarmente potente che gli consente di sfuggire ai pericoli che gli dei hanno seminato sul suo cammino. Così vede con chiarezza la Sfinge e con lei l’enigma che gli viene posto di fronte. Poiché la Sfinge e l’enigma sono il senso stesso del tempo e della morte. Ancora passato e futuro, il nodo deve essere sciolto e in quell’attimo il presente, come una goccia d’acqua, contiene tutto, ciò che è stato ciò che è e ciò che sarà. La Sfinge e Edipo si sono già incontrati, la loro sorte li ha già destinati allo scorrere delle medesime storie: “ ...Mi ha chiamato per nome! “Edipo”, mi disse/ “salute a te, Edipo, che sogni sogni profondi!”/ Conosciuto! Anche qui conosciuto! Il mondo non ha/ forra che non sia colma delle mie dannazioni. Non/ posso celarmi in alcun luogo. Questa Tebe straniera, qui, è una grotta che mi conosce bene/.../ Il demone,/ lo spaventoso demone ha con me relazione! (...) In piedi fuori dalla caverna stava la donna/ e davanti a me si chinò fino a terra, quando/ mi accostai, arretrò umilmente e giù si piegò/ fino a terra, quasi io fossi l’ospite atteso/da cent’anni.../...”Eccoti dunque “, in me penetrò la parola” te ho atteso, salute/” ...” L’albero genealogico della Sfinge e quello della stirpe di Giocasta, madre di Edipo si intrecciano. Entrambe, Giocasta e la Sfinge, hanno tra i loro antenati la stessa potenza ctonia. La Sfinge è figlia di Echidna , mezza donna e mezzo serpente, generatrice di molti mostri, alcuni dei quali, come il leone di Nemea o l’idra di Lerna, vengono sconfitti e uccisi da Ercole. La Sfinge è generata dalle nozze sacre di Echidna con il cane Ortro, tricefalo figlio della stessa dea. Giocasta appartiene invece alla stirpe di Echione, mezzo uomo e mezzo serpente, figlio dei denti del drago, seme dall’elmo d’oro, che Cadmo generò dalla terra. Le tre teste di Ortro son certo un’icona del tempo, come il serpente o lo stesso indovinello che sfacciatamente il mostro propone giorno e notte alla stirpe tebana. La Sfinge è generata da ciò che sta per generare. L’incontro non può certo sfuggire alle ferree leggi del fato:” ...quando conobbe la musica sapiente della sfinge feroce, ardua a comprendere, e uccise il corpo di colei che cantava.....” Ma continuiamo: Ortro, il cane tricefalo, viene ucciso da Ercole in una delle sue molte imprese, mentre Echidna, madre della creatura enigmatica che toglie donando, viene uccisa, pensate un po’, da Argo, il pastore di armenti divini, il cui corpo è cosparso di mille occhi. L’onniveggente Argo. Sembra proprio che il destino di Edipo venga da un passato lontano, che, in una spirale del tempo e dell’azione, come uno specchio, rimbalza all’infinito sembrando a volte molto vicino e a volte remotissimo. I mille occhi di Argo sono dunque un segno della sorte di Edipo? Ma, mentre Argo uccide la madre, Edipo uccide la sua propria discendenza, sé stesso, sotto le forme ambigue della Sfinge e di Giocasta, sotto le sembianze mutanti che pongono sempre lo stesso enigma. Come Argo viene ucciso da Ermes, così Edipo verrà traghettato dallo stesso dio oltre la soglia, oltre lo stretto corridoio che lo conduce in un luogo definitivo. Così si conclude l’Edipo a Colono. Teseo, presente alla scena, si copre gli occhi con la mano: impossibile guardare, impossibile conoscere. La ricomposizione dell’elemento angelico con l’elemento titanico impone una separazione, una morte rituale, che costituisce il climax attraverso cui lo svelamento, la luminosità accecante, diviene finalmente attivo, sguardo creatore.
II°
“ Lord Claverton, ultimo Edipo, non sospettabile di incesto alcuno, é “passato attraverso una porta che noi non vediamo”: Dall’apparenza all’essere. Ma che cosa é subentrato al posto dell’incesto, la cui semplice idea é bandita da questo dramma? Un comune ma appassionato amore giovanile(........) Nella storia moderna del tema il motivo del parricidio si é rivelato sempre più secondario, mentre é venuto sempre più in primo piano il sacrum nel congiungimento con la madre(..........) Ma l’idea nell’opera creata dal poeta é questa: l’incesto può essere sostituito dal pieno soddisfacimento della passione amorosa....” (Karl Kerenyi, Edipo:due saggi, in Variazioni su Edipo,)
L’atto della separazione del naturale, il titanico, dall’essenziale, il femminile, implica lo sguardo supremo, che ci riporta al riconoscimento, allo svelamento dell’enigma. Ne portano testimonianza certe curiose statuette rinvenute a Obeid, in un minuscolo tell poco distante da Ur. I piccoli idoli raffigurano donne, che reggono in braccio un bimbo dal volto di serpente, chiuso in una cuffia di bitume. O le mitiche Nagi, donne serpenti, del tutto simili a sirene, che popolavano il pantheon greco-buddhista del Gandara. La Nagi rappresenta una parte della polarità solare-lunare, la luna, mentre l’aquila che la rapisce in cielo ne rappresenta l’altra, il sole. La trasmutazione avviene attraverso la morte, dell’uno nell’altro, della Sfinge in Edipo e di Edipo nella Sfinge, nella raggiunta umiltà dell’enigma. Così la madre diviene sposa. Separare come riconoscere, che si oppone come una parte al tutto. L’enigma libera la parte, restituendogli purezza. La risposta di Edipo é atto purificatore che libera la città da una pestilenza, provocando di rimando un’altra sciagura di eguale grandezza: “... Ma il mostrarsi della freccia della sapienza si accompagna anche a ferite sanguinanti: così opera la crudeltà di Apollo. Ristretta la sfera della parola, la sapienza si manifesta come sfida del dio: ciò che Apollo suggerisce non è coscienza luminosa, ma un tenebroso intreccio di parole. Lì si annida la sapienza, ma l’uomo che si fa avanti allungando la mano deve districare il groviglio, a costo della vita. In tal modo Apollo esercita la sua potenza, e irretisce gli uomini meglio dotati per conoscere...” Il sé, restituito alla sua legittimità temporale, celato dall’enigma, può finalmente manifestarsi, scorrere liberamente, grazie alla parte ofidica, che la cattiva madre, la Sfinge enigmatica, tiene bloccata nella strozzatura del flusso lineare. Quest’atto purificatorio trasfigura infine la Sfinge, e la trasforma nella ‘sposa vestita di sole’, nella Giocasta di cui Edipo diviene consorte. La forma della Sfinge appare qui nella dimensione che la y di Serres individua, nel suo aspetto topologico, incrocio, o meglio biforcazione di una linearità. Le ali dell’angelo si innestano sul corpo del serpente. La morte-rinascita, inizia Edipo alla vera vista. Edipo si appresta, dopo aver districato il groviglio della parola enigmatica, a divenire come l’onniveggente Argo, precorrendo il destino che gli dei gli hanno messo di fronte, e che ancora non vede. Argo è custode di Io, la vacca lunare, che assume, nel mito, il ruolo di doppio luminoso dell’ofidia Echidna. Cadmo si serve di Io per individuare, seguendo la profezia, il luogo esatto dove Tebe potrà sorgere. Da Io e Zeno discende dunque la stirpe dei tebani. La storia è assai complessa, ma quello che ci sembra interessante è, ancora una volta, la specularità, la coincidenza dell’inizio e della fine: di Argo onniveggente dai mille occhi, custode di Io, che inizia il ciclo di Edipo che, cieco e senz’occhi, lo conclude. L’inizio, una complicata genealogia, segnata da nozze taurine e da uccisioni di mitici mostri. La fine, attraverso la morte della Sfinge, la morte del tempo, del suo inflessibile scorrere, che l’enigma svelato vuol rappresentare, racconta sempre la stessa storia. Come il mulinello di un fiume, il tempo ci riporta sempre al medesimo punto.
Elea si riconcilia con Eraclito, tutto scorre pur rimanendo immobile. Come lo zucchero nel bicchiere di Bergson, il tempo si mescola al mondo, rendendo inutile l’azione del separare, del comprendere superando la soglia del senso, per accedere al proprio destino. Argo con occhi disseminati in tutte la parti del corpo, parla di un tempo infinito, senza storia. Lo stesso tempo cui ha accesso Edipo, nell’istante in cui rimuove le cause del male e Tebe, città dalle sette porte, rinasce.
Prima la Sfinge poi lui stesso. Quindi l’onniveggente cieco si trasformerà nel cieco onniveggente. Argo indica, in rapporto a Edipo, un altro nodo vitale, una soglia, un accesso a un livello di conoscenza diverso, che Edipo oltrepassa nel momento del riconoscimento, in cui la verità del suo destino, appare, immagine terribile, di fronte ai suoi occhi. Teseo non vuole guardare, Edipo è costretto a guardare. Così, reso cieco al mondo, è padrone di un sapere che lo rende simile a Tiresia. E’ una condizione della trascendenza, conquista dello spirito e della luce della conoscenza, dove il passaggio è sognato, esperito attraverso il piano fenomenico della buona vista. Tradotto nella realtà assoluta, brahmanica, immutabile. Principio non-nato di ogni cosa, il cui corrispondente è l’Adamo-Purusa,il sé in quanto essenza, il non-manifestato uomo essenziale. Insomma la cecità fisica corrisponde alla vista di Indra, di ‘colui che ha mille occhi’: “Quanto poi a Satana, é più dubbio se sia proprio Satana come tale e non invece Lucifero nel significato proprio di questo nome che il Talmud babilonese intende con “Angelo della Morte”: “Morte” è infatti uno dei nomi più elevati del Dio che dà la vita e uccide, separa e unifica, e che nella tradizione vedica si trova sempre identificato al Sole e allo Spirito” Mille significa tutto. La condizione nella quale Edipo si trova corrisponde a quella dell’iniziato, di colui al quale la vista ha donato un sapere che non è più tecné, che oltrepassa la dimensione fisica della conoscenza, rendendo inutili tutti gli altri saperi. Certo la storia di Edipo, da questo momento in poi, viene vista come un groviglio di sofferenze inenarrabili, come un percorso buio, privo di speranza. Straniero in terre lontane e sconosciute, eppure i suoi passi venerati e rispettati, la sua fama veloce, dovunque arrivi è circondato da onori, compianto per le sue disgrazie. Edipo a Colono è un uomo tormentato dai ricordi, dal desiderio di vendetta, ossessionato da un passato che la presenza delle amate figlie non riesce a cancellare. Oppresso dai dubbi, che il futuro gli pone continuamente di fronte grazie al figlio Polinice, il maledetto. E alla morte del figlio anche Antigone morirà, sacrificata per aver osato sfidare il divieto regale. Il corpo di Polinice viene esposto allo stesso modo in cui il corpo di Edipo neonato viene lasciato sul monte Citerone: ” ...Se davvero profeta io sono/e sapiente il mio pensiero/non ignorando l’olimpo, tu,o Citerone,/al plenilunio di domani/sarai esaltato come patria/ e nutrice e madre di Edipo...“
E’ la parte più oscura della storia di Edipo, che continua a essere presente nell’aldiquà (citer), come Angelo della Morte. L’atto del separare, l’enigma della Sfinge, l’azione di morte che alla fine dell’opera, compiuto il suo destino, svela e congiunge Edipo al suo destino. L’azione interpreta, coglie e distingue il Sé, suggerisce l’idea di contenere il senso svelato, condotto luciferinamente alla luce del sole, privo ormai d’ombra e assente di Io. L’opera comporta lo svelamento di un significato, che assicuri, che garantisca la luminosità delle intenzioni. L’Edipo che svela, vede e corrompe attraverso lo sguardo, è corrotto dalla cecità, dalla percezione dello svelare ciò che, nella sua oscurità, non deve essere visto. Giocasta raddoppia l’enigma, madre e sposa, doppio segreto della Sfinge. L’atto che costruisce, insieme alla morte di Laio, la morte di Edipo, è una forzatura giocata contro il tempo, una ripetizione. Più che un vero inizio, un non-senso temporale. La ri-congiunzione con la madre, oltrepassata la porta stretta dell’enigma, è azione contro la linearità del tempo.
Poiché nel tempo, geometrico e lineare, nessuna ricongiunzione é possibile. Edipo sconfigge la Sfinge, ‘la strangolatrice’ dell’Uomo, e con questo riconnette ciò che non può essere riconnesso. Ritornando nel ventre della madre Edipo si congiunge al suo inizio, annullando, all’interno di un processo circolare, il flusso temporale: “Così da ultimo, di notte e in segreto, Edipo fu sepolto a Eteone, sul Citerone. Nessuno sapeva che il posto si trovava in uno spazio sacro a Demetra, la grande dea della Terra, la dea madre. Era il ritornoa casa, e fu approvato dall’oracolo delfico. Il luogo fu chiamato anche “sacrario di Edipo”.” E’ una discesa agli inferi, questa di Edipo, che comporta una condizione di ‘morte vivente’, di colui che vedendo perde la vista. L’annullamento del tempo, l’istante trasformato in eternità, lo scorrere casuale e caotico della materia, trasformano l’atto edipico nella rottura della forma lineare del tempo. Che imparenta l’eroe con l’immortalità della condizione celeste: “ ...Certamente nelle “Note all’Edipo” di Hoelderlin ricorre una semplice asserzione: essere Dio ‘null’altro che tempo’...” Ritroviamo frammenti del destino di Edipo, la madre sposa, colei che dà vita ed evoca la Morte, quella stessa Morte che, per sua intrinseca natura, porrà la vittima sul piano della divinità. L’elemento efestino, fabbrile, che nella natura dell’eroe sofocleo ne rivela la misteriosa discendenza dai Dattili. Proprio ai fabbri efestini venne Orione, condotto alla presenza del sole sorgente per guarirne la cecità, l’ira, la furia dionisiaca, l’ebrezza senza contenimento, l’accecamento. Il tempo dispone gli avvenimenti come mulinelli di un fiume, piccoli gorghi che riconducono sempre all’inizio la nostra vicenda. Il passato è presente, il presente passato, il futuro non esiste. Le sue nozze ci forniscono ulteriori dettagli. Edipo re giace con Giocasta, madre e sposa in divina unità, stirpe di Echione, uomo e serpente, titano lunare: “ ...tutti dicono che in questa torre abiti lo spirito di un serpente a nove teste, Signore di tutta la terra, e che ogni notte vi appaia sotto forma di donna. E’ con lui che il re dorme e convive prima.....Se lo spirito del Serpente non appare, è giunto per il re il momento di morire; se il re trascura di venire, ne segue una qualche calamità..” E’ possibile che vi sia un po’ di confusione in questa versione cinese, nella quale occorre intendere che la signora della terra è figlia di un serpente o di un drago a nove teste, e però appare al re sotto forma di una bellissima donna...” Come il re giace con la donna-serpente, così Edipo giace con la madre-sposa, e attraverso di lei un soffio pestilenziale avvelena l’intera città. Pestilenza che trasforma l’intervento di Tiresia in atto d’accusa, in atto di ‘chiarificazione’ e di salvezza per Edipo. A questo punto i piani della narrazione si confondono: il mito, dove il giudizio morale è sospeso, dove i rapporti di parentela diventano rappresentazioni simboliche e, come tutte le relazioni di sangue, configurano qualcosa d’altro. La narrazione ‘reale’, dove pesa il giudizio etico, e tutto assume contemporaneamente il tono emblematico dell’esemplificazione e dell’allegoria.
La manifestazione della dimensione tragica del racconto, trova qui il suo momento più parossistico. Siamo chiamati ad assistere, impotenti, al compiersi del destino di Edipo, di ciò che l’oracolo aveva provocato con la sua ambigua risposta. Verrebbe voglia di tirare Edipo per l’angolo della giacca, di distrarlo, di portarlo altrove, di gridare “non farlo”, tornatene a Corinto, lascia in pace la Sfinge.
III°
“... diventando così martirio, dunque testimonianza, l’accecamento è spesso il prezzo da pagare per chi deve finalmente aprire gli occhi, i suoi o quelli di un altro, allo scopo di recuperare una via naturale o l’accesso a una luce naturale. Il paradosso sta nel fatto che il cieco diventa in questo modo il miglior testimone, un testimone eletto...” ( Jacques Derrida, Mémoires d’Aveugle)
La storia ‘reale’ è teatro del nostro destino . Rappresenta, di fronte ai nostri occhi spettatori, l’affanno di Edipo, e distrae dal paradigma metafisico che i risvolti oscuri del racconto fanno intuire. Una lettura fatta solo di sangue e passione, per quanto ci possano condurre i sentimenti, risulterebbe comunque parziale, incomprensibile nel suo orizzonte più ampio. La storia di Edipo non parla di un uomo, ma di un eroe classico, colui che compie un percorso antagonistico alla Morte. E’ forse parte di una storia più ampia, di un piano più vasto, di cui vediamo solo un frammento, emerso casualmente. La seconda parte della sua storia si svolge a Colono, nel luogo dell’esilio e della morte. E’ la descrizione di un secondo ritorno, di cui Teseo, signore di Colono ed eroe del labirinto, è unico testimone. Edipo nasce due volte, la prima dal ventre di sua madre, a cui è destinato a tornare grazie all’incontro con la Sfinge, e una seconda sul monte Citerone, cui tornerà grazie a Demetra. Edipo ha quindi due madri, Giocasta e Merope, la madre adottiva: la moglie di Polibio, re di Corinto e padre adottivo di Edipo, Peribea, veniva chiamata anche Merope, come la genitrice del selvaggio Orione: “...Questo nome, come quello di Merope, si addiceva alla regina degli inferi. dietro questi nomi si celava la madre sposa con cui Orione commise la colpa che doveva scontare con la cecità...” Ed ecco sbucare, a testimonianza delle radici infere del nome, un’altra sposa, questa volta di Sisifo, l’uomo che si diceva aver sconfitto due volte la Morte. Per averla incatenata, fu condotto al regno di Persefone, dal quale riuscì a uscire solo grazie alla buona condotta della moglie, Merope appunto, che rifiutando il sacrificio alla coppia regale, causò la liberazione di Sisifo. Il racconto della deposizione di Edipo ci fornisce un altro dettaglio, che aiuta a comprendere meglio l’origine del mito. Prima di esporlo sul Citerone gli vengono forati i piedi: “ Nunzio: possono attestarlo le giunture dei tuoi piedi. Edipo: Ahimè, perché ricordi quest’antico male? Nunzio: Io ti sciolsi le caviglie perforate. Edipo: Orribile oltraggio ricevetti, ancora in fasce. Nunzio: tanto che da questa sorte avesti nome....” . I piedi forati impediscono di camminare, di muoversi, di essere troppo nocivo, spostandosi rapidamente da un punto all’altro della storia. I piedi gonfi, le caviglie forate, il nome stesso, lo imparentano a una strana razza, i Dattili, i nati dalla terra. Come Echione nasce dai denti di drago, così questi dalle dita di Era, affondate nel suolo mentre la dea partoriva Zeus. A questo va aggiunto che i dattili avevano funzioni incantatorie, una parte per legare assieme, congiungere, un’altra parte per sciogliere l’incantesimo, slegare, separare. Edipo è dunque un dattilo, un’irascibile nano della terra, generato dalle dita di Era: “ ...questi gruppi di metallurghi mitici hanno dimestichezza con la magia, (Dattili, Telchini) con la danza (Coribanti e Cureti), con i misteri (Cabiri) e con l’iniziazione dei ragazzi (Cureti). Disponiamo, quindi, di tracce mitologiche di una situazione arcaica, in cui le confraternite di fabbri assolvevano un loro ruolo preciso nei misteri e nelle iniziazioni.” Le confraternite maschili, le Maennerbunde, sono il luogo di iniziazione degli spiriti fabbrili. Le menomazioni fisiche, compresa la cecità e la claudicanza, simboli di elezione. La doppia forma del fuoco, espressione divina e demonica al medesimo tempo. La cecità e la debolezza di piede sono una caratteristica manifestazione dell’eroe/fabbro, cui allude la favola di Edipo. Tutto si manifesta nella forma dell’ira funesta, del furor religiosus. Hofmannsthal accentua questo aspetto del carattere di Edipo.Il sogno dice chiaramente che Edipo soddisferà il proprio ‘furor’ iniziatico uccidendo il padre, e finalmente può appagare i suoi sensi giacendo nel letto della madre. E’ l’ira che lo spinge verso l’oracolo delfico, è l’ira che lo spinge ad alzare la mano contro il padre, è l’ira che lo muove a levare la mano contro sé stesso, accecandosi. E’ l’ira infine che gli farà maledire la sua stessa stirpe.
E a voler ben guardare anche Laio, padre di Edipo e stirpe cadmea, qualche lato oscuro lo presenta. Viene ritenuto infatti uno dei primi sostenitori dell’amor virile, dell’amore tra maschi. Il giovane Laio, ospite del marito di Ippodamia, Pelope, gli rapisce il figlio Crisippe, portandolo seco in patria. Lo segue la maledizione di Pelope, il re dalla faccia oscura, che gli augura di essere ucciso dallo stesso figlio che avrebbe generato. Al rapimento compiuto da Laio, corrisponde, speculare e simmetrica, la morte del re per mano di suo figlio. L’omosessualità di Laio ci riporta ancora all’importanza arcaica delle società guerriere, cui sembra alludere tutta la storia. L’ostilità verso la parte femminile, Sfinge e Giocasta, si coniuga con il divieto di procreare. Questo tabù si estende di fatto anche a Edipo, la cui ‘vis procreandi’ produrrà molti lutti. Laio sposa Giocasta, seme di drago, e insieme generano il dattilo Edipo, il furente, che ucciderà il padre e giacerà con la madre. Gli oracoli predicono il suo futuro, e Laio rifiuta di congiungersi con Giocasta. E’ solo grazie all’ebrezza del vino, alla beffa di Dionisio, che Giocasta riceverà il seme maritale, provocando l’estinzione della sua stirpe. Tiresia, l’indovino cieco, svela il secondo enigma della storia, allontanando definitivamente il pericolo da Tebe. Tiresia rappresenta un altro nodo che viene posto sulla strada di Edipo. Un doppio, un’ antagonista speculare, un deuteragonista nella sorte come nel futuro dominio del mondo oscuro. Il destino si tramuta in ananké. Adrasta, la dea solitaria fa risuonare i cimbali di fronte all’ingresso del sentiero dei morti. Tiresia riconosce in Edipo il fanciullo esposto, risolutore d’enigmi, lui stesso enigma vivente. Tiresia inizia Edipo al suo destino. Il simile col simile, cieco col cieco. Tiresia non è sempre stato cieco. Anche lui ha conosciuto il passaggio, l’iniziazione al mondo dei morti. Due sono le storie che su di lui ci sono state tramandate. Nel primo racconto Tiresia si trova nella stessa condizione di Atteone. Vede ciò che non avrebbe dovuto vedere, scoprendo la vergine Atena intenta a bagnarsi nelle acque di una fonte. Ma, a differenza del figlio di Aristeo, gli viene tolta la vista e risparmiata la vita. Per questo avrà l’infelice destino della veggenza. La seconda storia ci inizia a un universo di simmetrie spettacolari. Ancora il Citerone, il misterioso colle di Edipo, funge da scenario per la nostra storia. In quel luogo Tiresia uccide la parte femminile del caduceo di Ermes. Viene perciò condannato ad essere donna per sette anni. Riottiene infine la sua natura di uomo uccidendo la parte maschile della verga ermetica. Diviene così esperto d’amore, esperto di congiungimenti carnali, del ricongiungimento e della separazione del maschile e del femminile. Diviene cieco per aver osato dire che il piacere dela donna é superiore a quello dell’uomo, ‘poiché essa gode anche con l’anima’. In Tiresia il maschile si ricongiunge al femminile, le due qualità si ricompongono, le due storie sono un’unica storia. Narrano dell’illuminarsi di un cieco, del suo vedere ‘le cose celesti’ , le forme universali, partecipi dell’intellegibile divino. Acqua e cecità, il maschile con il femminile, potenti in Tiresia per diretta esperienza, eccitano la curiosità di Era, che indaga su quale delle due parti tragga più piacere da Eros. Infine la sua risposta che tira in ballo l’anima, la sua essenza femminile, acquatica e avvolgente.
La cecità giunge come una punizione per la verità contenuta nella sua risposta, poiché dicendo il vero, nominandolo, lo introduce nella luminosa oscurità delle cose dello spirito. Così i genitori di Edipo, quelli veri. La fluidità serpentina di Giocasta, la sua origine ofidica, imparentata col tempo e con la morte, con la domanda che continuamente viene posta e risposta. La rigidità statuaria di Laio, il guerriero, i suoi amori omossessuali, e il terrore del congiungimento carnale con Giocasta. Testimoniano l’immobilità dell’essere, la sua narcisistica impotenza a generare. L’anima è dunque sensibile ai tormenti di Eros, tanto quanto lo spirito ne appare indifferente. Nella tradizione orfica l’uovo, simbolo del caos, e la sfera platonica coincidono. Immagine dei due estremi, caos e perfezione, su cui svolazza felice Eros, dalle ali d’oro.
L’enigma rappresenta per Tiresia la potenza del vedere. Contro l’atto del separare il maschile dal femminile, contro l’impedimento dei significati senso. E’ quindi un Laio fallico, solare, inamovibile, il padre contro cui Edipo scaglia il bastone. Un accidente del continuo, del movimento contro la crasi, che lo spazio accenna nell’infinitezza della porta stretta, che, come bocca spalancata, inghiottirà Edipo nella notte folle del destino. Nella conquista della madre/tempo, l’enigma, e della madre/donna laida, che comporta l’integrazione, il possesso del vissuto, dell’esperienza in tutta la sua fenomenica bellezza. Il poter finalmente essere, come Tiresia, donna. E guardare nell’abisso scuro, oltre il quale, dentro il quale, sorride il dio dalle ali d’oro. Così l’anima, libera, fecondata dallo spirito, diviene cieca, priva di corpo, privata del rapporto coi sensi. L’anima, chiusa al mondo dei fenomeni, può finalmente giungere in quei territori dove la vista nulla può, e solo occhi ciechi possono davvero vedere. Il passaggio, l’enigma svelato, la dama laida, la cecità, segnano la regalità di Edipo. Poiché Edipo è re. Grazie all’operazione, doppia, del congiungere e del separare. Simboli che indicano il percorso ‘mahyico’ della vista, che porterà a Colono, nella terra di Teseo, al tempio delle Erinni/Eumenidi, finalmente pacificate dal destino dell’uomo. Dell’eroe-re, sfuggito alla tenaglia dello spazio/tempo, che l’enigma, calato nel mito, gli ha riproposto per bocca della Sfinge. Come le Simpleiadi si richiudono implacabili, sull’incauto che ha osato sfidare la profondità dell’abisso, così lo spazio/tempo, Scilla e Cariddi, si richiudono sugli occhi del nostro eroe. Così Edipo muore al mondo, rinchiuso e prigioniero nel suo stesso palazzo, ostaggio dei suoi stessi parentes. Ma i figli proiettano e duplicano il suo destino. La simmetria attraversa un corpo ideale, quello di Edipo, ché la caduta consente di trovare la via del ritorno. Lo specchio divide Edipo, nello spazio e nel tempo, re e cieco, tra Tebe e Colono. Costringe a una sintesi, tra Edipo e la sua storia.
Enantiomorfismo: le due parti si guardano, si corrispondono, ma non sono la stessa parte, sono parti diverse, posizioni diverse. Identica la struttura, la forma e la logica, ciò che consente la corrispondenza. Ma solo in assenza di movimento. Questo separa, come il tempo, ciò che era stato creato per corrispondersi, per essere analogo. Il movimento induce la necessità dell’interpretazione, di ricondurre ciò che sembra eguale e ora diverso, all’apparire dell’eguale. L’esegesi ricompone le differenze, restituisce alle parti l’altro come analogo e come simmetrico. Abbiamo affrontato dunque un territorio dai vasti topoi, dalla geografia continua e labirintica. Un albero complesso, che si ramifica in un infinito temporale, la cui circolarità è solo una delle possibili forme immaginabili del percorso e della ripetizione. Il Citerone, in primo luogo, il monte dove Edipo viene esposto. Topos sacro a Demetra e ai riti eleusini, ci indica la sua condizione di nato due volte. Corinto, città sacra ad Apollo il legatore e ad Asclepio, il mistagogo curatore, da dove fugge per non compiere ciò che compirà. Delfi, l’oracolo, dalla cui voce, udita nel sonno, verrà spinto incontro a Laio. L’enigma e la Sfinge, Tebe e Giocasta, Tiresia. Infine il punto di svolta, dove la cecità diviene vista e la vista cecità, dove s’incrina il movimento continuo del tempo.
La spirale si riavvolge, con doppio movimento, su sé stessa. Inizia al centro e finisce al centro. Edipo è a Colono. Da lì non si muoverà più. Molti invece si muovono attorno a lui, per cacciarlo dal tempio delle Erinni, cui finalmente è approdato, per accompagnarlo nelle acque profonde, da cui giunto e a cui verrà ricondotto. Il compimento avviene in perfetto stato di quiete. All’immobilità di Edipo corrisponde il movimento, quasi una danza, di coloro che lo conducono.
Persino la libagione sacrificale è affidata alla figlia, all’amata Antigone, che con l’acqua purifica Edipo, in assenza di Edipo. Esiste nell’ultima parte della tragedia una fissità, un’unica dimensione geometrica del luogo, che inverte il ritmo della prima parte del dramma. Un unico luogo, fondativo, che si trasforma in spazio fecondato dalla presenza del re. Edipo è al centro, annulla il tempo e si fa spazio, deve coincidere col luogo in cui si trova. Il paradosso di Antigone, che purifica Edipo in sua assenza, indica l’impossibilità del movimento di Edipo. Sembra che assieme all’uso della vista, Edipo abbia perso anche quello del movimento. Tutto porta alla svolta finale, che condurrà Edipo definitivamente fuori dalla scena del dramma: “ Così la storia, tanto se comincia con Laio, quanto con Edipo, ci conduce a uno stretto passo, in qualunque luogo si trovi.” La sfinge strangola le sue vittime, tranne colui che viene riconosciuto per i sogni profondi. Ci troviamo sulla soglia, sul bordo estremo della storia, nel suo spazio enantiomorfo, specchio di Tebe. A Colono ‘ soglia di Atene e degli inferi’, dove oltre a Teseo, incontra il compimento del suo destino. Edipo giunge supplice alla dea:” Ed ora giungo supplice presso Persefone, perché benigna mi mandi alle sedi dei puri” Ancora Core, Choré, Chorein, il profondo, l’oscuro, l’abisso che si accoppia col serpente. Dionisio e Giocasta, madre e sposa del re. Dionisio è parte di questa storia, la sua nascita si intreccia con la stirpe cadmea, in un’altra storia, in un altro mito. Eracle, l’eroe invincibile, appartiene come Edipo alla stirpe dei dattili, venerato come protettore delle nozze. Ma di quali nozze è pronubo Eracle? Nozze che vogliono sconfiggere le tenebre dell’Ade, nozze che solo l’eroe può celebrare. La storia del re termina (o inizia) nel sacro recinto di Demetra, dopo la ierogamia, la congiunzione con la dea, cui Edipo giunge supplice. Immobile, testimonia l’avvenuta ricomposizione, mentre attorno si scatena la danza. I coribanti e la figlia Antigone, Ismene e Polinice, suo figlio , giunto supplice, scacciato e maledetto. Poi Teseo e l’infame Creonte, che invano tenta di allontanarlo da quel luogo. Infine Ermes, che lo conduce nel ventre della terra, verso la sua meta finale. Teseo ha un amico, doppio e sodale, con cui compie molte imprese. Per sconfiggere l’Angelo della Morte, Lucifero, per trionfare sull’enigma del tempo. Con l’amico Piritoo (dal greco pyrites, pietra focaia), Teseo si reca nell’Ade, per rapire Coré, l’abisso, per portarla alla luce del sole. Teseo viene trasformato in pietra, e, assieme all’amico, collocato all’ingresso dell’Ade. Nessuna pietà per l’eroe, monito per chiunque volesse ritentare l’impresa. Teseo è un eroe celibe, come Laio discende da una dinastia di re serpenti, Cerrope e Eretteo. Teseo protegge Edipo, lo riconosce, si dichiara suo simile: “( ...) ricordo bene d’essere stato allevato anch’io come te, fuggiasco: e di avere affrontato in terra straniera, più che ogni altro, innumerevoli pericoli per la mia vita; si che non saprei mai rifiutare aiuto a un’ospite, quale ora tu sei, per salvarsi.” Teseo, rapitore di fanciulle, incontra Eracle agli inferi, incatenato al trono di pietra della Lethé, dell’oblio, mentre il figlio di Anfitrione lo strapperà da quel luogo. Eracle è quindi puerpera dell’anima di Teseo, lo riporta alla luce, riconsegnandolo alla superficie terrestre. Allo stesso modo Teseo conduce per mano Edipo sino alla soglia sacra. Edipo, trasfigurato, il suo corpo reso sacro e portatore di buona sorte. Edipo il dattilo, viene interrato da Teseo, condotto da Ermes nel luogo sacro a Poseidone, di cui Teseo è figlio spirituale. E’ qui l’unico movimento, verso il basso, condotto senza muovere Edipo. Racchiudendolo, come il figlio nel ventre della madre. La ierogamia si compie , per l’iniziato, per il cieco Edipo, nel segreto del tempio, in un luogo e in un modo di cui nessuno può essere testimone.
IV°
“ ...Come ci fummo allontanati, poco dopo ci voltammo e vedemmo che lui non c’era più, da nessuna parte, e che il re, solo, teneva una mano davanti al volto, coprendosi gli occhi, come se fosse apparso qualche terribile spettacolo insostenibile a vedersi(...) E in che modo sia morto, non potrebbe dirlo nessuno dei mortali, tranne Teseo; poiché non lo finì un fiammeggiante fulmine del Dio, né una procella levatasi dal mare in quel momento, ma una guida venuta da parte degli dei, oppure l’abisso sotterraneo senza luce, a lui spalancatosi benigno...”
“... Per arrivare dove siete, per andar via da dove non siete, per arrivare là/ dovete fare una strada nella quale non c’è estasi/ Per arrivare a ciò che non sapete/ dovete fare una strada che è quella dell’ignoranza/ Per possedere ciò che non possedete/ dovete fare la strada della privazione/ Per arrivare a quello che non siete/ dovete andare per la strada nella quale non siete/ E quello che non sapete è la sola cosa che sapete/ e ciò che avete è ciò che non avete/
E dove siete è là dove non siete...” ( Thomas S. Eliot, Quatro Quartetti, East Cocker, III, versi 36-47)