Contemporanee prospettive
di Luca Violo
L’arte contemporanea corre a una velocità impensabile per tutti gli altri comparti del mercato governato da una parte dalle regole ‘irrazionali’ del piacere del possesso, dall’altra da un rapporto con il mondo dell’economia e della finanza che, nella volatilità del valore, vede lo specchio di una fragilità nel determinare una valutazione nel medio-lungo termine capace di rimanere come principio condiviso. La crescita del 1.370% dall’inizio del XXI secolo è un dato che oltre al subitaneo stupore ha dei precisi fattori che lo determinano: la facilità d’accesso alle informazioni e la dematerializzazione delle aste di opere d’arte, entrambi fenomeni legati alla straordinaria evoluzione della rete delle comunicazioni, con il 95% degli attori collegati principalmente con piattaforme mobili. Contemporaneamente, un colossale aumento della popolazione di art-consumer (da circa 500.000 nel periodo del dopoguerra a 70 milioni nel 2015), l’abbassamento della loro età e l’espansione in Asia, Asia-Pacifico, India, Sud Africa, Medio Oriente e Sud America. Infine, il proliferare dell’industria museale (con 700 nuovi musei creati ogni anno), diventata ormai, in questo inizio di secolo, una realtà economica consolidata su scala planetaria. Tra il 2000 e il 2014 sono sorti più musei che negli ultimi due secoli. Questa industria affamata di opere museali è tra i principali fattori che hanno sostenuto la massiccia crescita di un mercato che appare tanto onnivoro quanto fragile nel determinare dei valori consolidati. Venti anni fa l’arte contemporanea valeva sul mercato 100 milioni di dollari, nel 2019 quasi 2 miliardi. Sul lungo termine, la domanda si mantiene forte, internazionale ed esigente, rafforzata da collezionisti sempre connessi, costantemente informati e aggiornati sulle ultime tendenze. Il segmento del contemporaneo genera un peso innegabile e in gran parte attribuibile a un gruppo di firme di punta. Mostra un rendimento annuo pari al 4,9% per gli ultimi 16 anni, mentre il fatturato delle vendite è aumentato, come dicevamo all’inizio, del 1.370%, e il numero delle opere vendute si è visto quadruplicato nello stesso periodo su scala mondiale. Stati Uniti e Regno Unito rappresentano il 65% dei ricavi mondiali. La loro forza si fonda su un’offerta intensa (un quarto delle opere transitano da Londra e New York), un quasi-monopolio del mercato di fascia molto alta e, infine, sulla loro capacità unica di riunire il meglio della domanda internazionale. La leadership mondiale degli scambi spetta agli Stati Uniti con la piazza di New York, mentre il Regno Unito riunisce oltre un quarto dei ricavi mondiali. Un discorso a parte riguarda la Cina, che nell’ultimo decennio si è imposta come protagonista di uno sviluppo tanto prodigioso quanto difficile da inquadrare con i normali indici di valutazione, con una ascesa nei due decenni stabile al 470% e un 24% dei ricavi mondiali. Il mercato dell’arte è in continua evoluzione ed è strettamente legato alle fluttuazioni economiche–finanziarie da almeno venticinque anni. Ovvero, dal momento in cui l’arte contemporanea è divenuta protagonista attiva di una diversificazione d’investimento di patrimoni sconfinati nella misura ma ansiosi di conferme nel tempo lungo della storia, che scevra da fluttuazioni e speculazioni temporanee, stabilizza e ridefinisce i valori. Capace di superare ogni instabilità politica con rinnovato slancio, il segmento Post War & Contemporary Art rappresenterà tra non molto la metà del mercato, e sarà un sensore attendibile ed immediato per cogliere la ragione e il sentimento del collezionismo, una passione tanto effimera quanto necessaria. Brexit e Covid-19 permettendo…