La Casa che Amo

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‘La casa che amo’, la 'belle maison', è vissuta e pensata come un progetto individuale, figlio del desiderio di un habitat costruito ‘su misura’, un mondo immaginario di cui solo l'autore ha la chiave d’ingresso e che si oppone al mondo reale come un’isola si oppone a un continente.

L’orizzonte dei suoi riferimenti culturali ed estetici spazia dalla moda al design, dalle arti applicate all’architettura, dalla letteratura alla poesia, e ciascuna di queste proietta la propria ombra all’interno di un mondo familiare, rendendo lo spazio della casa un luogo di magnifica bellezza.

Qual'è l 'identikit della 'belle maison' e dei suoi arredi, e fino a che punto i mondi domestici di Gabriele d'Annunzio, Salvator Dalì e Ludovico di Baviera gli corrispondono?

Innanzitutto il tendenziale abbattimento delle gerarchie della dimora classica, una democratizzazione degli spazi e una netta predilezione per quello che potremmo definire un ‘existenz maximum', ovvero un deciso rifiuto per il rigore calvinista e una predilezione per gli eccessi di un arredo opulento, più vicino agli interni di una chiesa barocca che alla nude semplicità del tempio greco.

Inoltre una sorta di extra-temporalità, il rifiuto dello stile di un'epoca, una predilezione per il vintage e per l' antiquario, per il metissage e per l'iperdecorativo, l'inutile e il blasfemo, ordinati secondo una logica che risponde solo al desiderio di bellezza e di armonia.

Infine l'introduzione della teatralità, la ricerca della mise-en-scène, del 'coup de théâtre', dello spiazzamento allusivo, dello spostamento continuo del piano di percezione, per creare una sorta di euforia estetica nello spettatore

 


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