Alla luce del Bargello
By Luca Violo
Solo. Inaspettatamente solo dentro il Bargello. Un senso di panico ed eccitazione rende più intense le percezioni, come se il corpo e la mente fossero consapevoli di un evento irripetibile nella sua casualità.
Silenzio ed ombra invadono il piano terra, scandito da un ampio colonnato, il chiostro medioevale e la sala di Michelangelo, apogeo e deriva della classicità rinascimentale, titanico eroe della forma che dalle dolcezze della sublime finitezza ascende alle asprezze dell’incompiuta materia, ostacolo insormontabile al realizzarsi dell’idea platonica e cristiana di elevarsi dal caos dei sensi.
Solo, inaspettatamente solo, davanti ad un talento che genera ammirato sgomento e profonda commozione, eguale e sempre diverso nel rappresentare il tormento di una vocazione che nella bellezza trova espiazione e catarsi. Le spesse pareti dilatano l’emozione di un confronto con opere che oltrepassando il giudizio sono paradigma dell’arte, senso e rivelazione della perfezione, sommo equilibrio fra immagine e modello.
Appagato esco e mi incammino verso il primo piano, dove sono avvinto dalla soave corporeità donatelliana, logos fiero di un rinascimento etico, culturale e sociale che azzera tempo e spazio nella vitale e contemporanea aderenza ai perpetui e audaci valori dell’antico, che trova nel imberbe David bronzeo del 1440 il superbo emblema, ma mi perdo poi nell’ammirare le opere del Verrocchio e dei maestri del ‘400, del Cellini e del Pollaiolo, le incantevoli ceramiche invetriate dei Della Robbia e le flessuose figure bronzee del Giambologna, fino alla Costanza Bonarelli del Bernini, amante e musa dello scultore, di cui cerco, senza riuscirci, di cogliere l’incanto di una turgidezza plastica ed espressiva di rara intensità, quasi che il marmo possa respirare delle umane passioni, e mi rendo conto che la sua scultura è l'essenza stessa della Roma trionfante e barocca, teatro del mondo e spettacolo della vita.
L'artificio diviene passione travolgente che spinge oltre il limite il verosimile, per restituire un attimo intimo e assoluto che diviene eterno.
Vengo travolto, infine, dalla bellezza intima delle arti applicate, dai celeberrimi avori, unici nel loro genere, come il “Flabellum” di Carlo il Calvo, o il “Dittico di San Paolo”, del V secolo dopo Cristo, della longobarda “Lamina di re Agilulfo” della fine del VI secolo, alla trecentesca Lampada da Moschea, tra le pochissime intatte; dei vasi ageminati della collezione d’arte islamica, già nel ‘500 in collezione medicea, agli smalti lomosini dell’Alto Medioevo; dai pezzi sontuosi di maiolica “alla raffaellesca”, del servito “da pompa” di Vittoria della Rovere alle armi istoriate e ageminate, e potrei continuare all’infinito, tanto è ricco di meraviglie da scoprire.
Il Bargello appartiene a quella categoria di musei, come il Victoria and Albert Museum, nati nella concezione ottocentesca della rivoluzione industriale, convita che questi luoghi fossero capaci di diffondere il “buon gusto”, divenendo il “museo dei modelli” a cui attingere, e dove è impossibile una lettura “filologica”, perché questa si sostanzia solo per stratificazioni sentimentali, letterarie, a metà tra curiosità, immaginazione e il ricordo struggente di un’atmosfera intima e accogliente, dove riparare per sfuggire ai quotidiani affanni.