Resilienza. Quando l’architettura diventa praticabile?

By Patrizia Catalano

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Progettare nell’emergenza e per l’emergenza può essere adrenalinico se  lo paragoniamo alla differenza che ci può essere tra scrivere un libro o un pezzo giornalistico. Come per l’articolo di un quotidiano, l’architettura si deve far carico di raccogliere dati oggettivi, di verificare le fonti attendibili e di ‘registrare’ in breve tempo risposte utili e soddisfacenti. Può, e deve succedere, che l’elemento che scatena l’accelerazione progettuale possa dare risultati sorprendenti, consentendo di verificare sul campo inedite soluzioni costruttive e riportando in auge valori sopiti come, per esempio, l’idea di ‘modello’ in ambito stilistico e compositivo.

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All’architetto-reporter il compito di indagare sui ‘sensori’ del contemporaneo, di farsi carico di intercettare le ragioni di essere di un canone compositivo fuori dalle maglie dell’ovvio e del déjà-vu, di affiancarsi a compagni di ventura con cui condividere la messa a punto di un nuovo paradigma progettuale. Operazioni che, omeopaticamente e con meno coscienza critica, si sono avute anche in passato, dove più che di resilienza si può parlare di soluzioni empatiche e contestuali. Quando Bruno Taut tra il 1921 e il 1924 iniziò la sua esperienza a Magdeburgo rivestendo  il ruolo di assessore all’edilizia per la città, optò per un intervento efficace ma inusuale per la Germania di quel periodo.

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La Renovatio Urbis di Magdeburgo più che attraverso un ridisegno dei volumi passò attraverso un sapiente e strategico piano del colore. Taut scelse così una strada semplice e immediata per rispondere alle necessità di un nuovo comfort sociale e umano in una città che viveva un difficile periodo postbellico, trasformando Magdeburgo in un raro esempio di qualità urbana.

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Ma venendo a periodi più recenti, un interessante esempio di esperienza partecipata è quello legato all'esondazione del fiume Turia a Valencia. Il 14 ottobre del 1957 il fiume, che attraversava in senso longitudinale l’intera città fino al  mare, straripò provocando una disastrosa alluvione, con oltre un centinaio di morti, feriti e danni ingenti. Il governo franchista di Spagna e il Consiglio Comunale stabilirono di deviare il fiume nel cosiddetto Plan Sur trasformando il letto in un’autostrada urbana.

 

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Ma non avevano fatto i conti con i cittadini di Valencia. Lo spazio dell’alveo venne infatti rivendicato come spazio urbano, e così, grazie all’intervento dei migliori team di urbanisti e designer del momento, vi si poterono realizzare una serie di importanti spazi verdi dedicati alla città. Strade a scorrimento veloce vennero invece costruite ai lati della vasta area verde, punteggiata di gallerie per ridurre al minimo l’impatto ambientale delle grandi carreggiate. Fra gli architetti c’era allora giovane progettista catalano, Ricardo Bofill, che ideò per il letto del fiume un progetto ispirato alla tradizione arabo andalusa, con vasche d’acqua, fontane, giardini mediterranei.

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Oggi il giardino-fiume è l’arteria verde della città: lungo oltre gli otto chilometri si arriva fino al mare passando per un altro importante episodio architettonico urbanistico, La Città delle Arti e delle Scienze, il complesso culturale edificato da Santiago Calatrava con Félix Candela. Ma questa è un'altra storia.

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Negli anni Settanta Milano era lontana anni luce dal possedere un minimo di coscienza ecologica, ma Vico Magistretti e Luigi Caccia Dominioni, autori del villaggio residenziale Milano San Felice, misero a punto un progetto che se  preso come esempio, avrebbe di gran lunga anticipato le operazioni di piantumazione urbana di cui oggi si parla. Tra le varie e innovative soluzioni progettuali portate avanti dai due maestri vi era anche un  piano paesaggistico, che includeva la copertura delle facciate degli edifici con edera Ampelopsis. Semplice ma efficace.

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Il rampicante crescendo avvolgeva gli edifici, proteggendoli dal freddo nelle stagioni più rigide e dando frescura nelle calde estati padane.  Essendo a foglia caduca creava naturalmente un mutamento