Minimalia
Maurizio Barberis
1. La ridefinizione della nozione di utilità, riferita alle differenze tra oggetti d'uso e opere d'arte, alla loro possibile e reciproca contaminazione all'interno di un recinto 'sacro', totem, che potrebbe essere definito con il termine generico di ambiente.
Approfondire la nozione di utilità e la sua messa in relazione con l'insieme delle arti plastiche. Inutilità dell'arte o ricerca del significato della processualità artistica. Alcune notazioni storiche: dall'art pour l'art, e quindi dal dominio assoluto di un'arte che si identifica con la rappresentazione un'idea astratta, sino alla possibilità dell'arte di 'incarnarsi' nella concretezza dell'esperienza del mondo: "La questione relativa a quale importanza abbia il contenuto o l'oggetto dell'opera d'arte per l'opera d'arte in quanto tale, esige a mio avviso una risposta che si fondi e si chiarisca attraverso la constatazione a cui siamo pervenuti. La negazione, da parte della teoria dell'art pour l'art, di ogni importanza dell'oggetto in sé - per cui un cavolo e la Madonna dipinti sarebbero a priori equivalenti come opere d'arte - era una reazione del tutto comprensibile a un'arte che si rendeva organo di comunicazione aneddotiche, storiche, sentimentali oppure traeva da idee sublimi e profonde una significatività un valor per guarnirne un quadro. Se, per contrasto, nacque lo slogan del cavolo e della madonna, la sua parziale fondatezza andava ricercata nel suo aspetto negativo: ossia che sarebbe disonesto ed erroneo attribuire all'opera d'arte un impulso e un significato semplicemente derivati da altre sfere mondane e non acquisiti autonomamente elaborando il terreno proprio dell'arte". (G.Simmel, Rembrandt, pg.204) La nascita dell'idea di un'arte diffusa che, attraverso processualità di tipo industriale, consenta un allargamento (verso il popolare) della fruizione dell’opera. Queste considerazioni rimandano senz'altro a ipotesi che si collocano storicamente all'inizio della modernità, argomenti che autori come Ruskin e Morris prima, Van de Velde dopo hanno ampiamente trattato. Ma cosa resta dell'apodittica letteratura che prometteva la fondazione di una nuova sensibilità, di una nuova dimensione estetica diffusa, mescolando spirito utopico e saggezza sociale, in una miscela che darà per tutto il novecento solo frutti bastardi? La nozione di utilità associata a quella di bellezza evoca indubbiamente fantasmi del passato, che spesso hanno portato a risultati infelici. Vale la pena di sintetizzare alcuni punti che in quest'area corrispondono o a delle vere e proprie aporie o a punti nodali ampiamente disattesi dai modelli estetici che si sono successivamente sviluppati:
a. Il problema della fondazione di un'estetica industriale come messianica promessa di una felicità diffusa, di un'arte per tutti, come premessa dell'abolizione delle differenze sociali tra le classi.
b. Il ruolo fondamentale che l'artigiano, in virtù di una forma che si richiama alle modalità estetiche del gotico, viene chiamato a svolgere, come premessa, come affermazione o come negazione di ciò che si è detto al punto precedente.
c. La nascita di un'attenzione per un'estetica dell'esperienza, per la determinazione fenomenologica dell'oggetto, che porterà da un lato verso l'intenzione, mai compiuta, di definire i fondamenti armonico-linguistici dell'operare artistico, dall'altro verso un tentativo di sintesi delle arti plastiche che tenterà di collocare le cosiddette arti maggiori in un contesto più ampio, coinvolgendo la nozione di ambiente, nel quale pittura e architettura tentano di raggiungere una nuova sintesi con le arti applicate e una nuova definizione della nozione di decorazione.
d. Un' attenzione infine verso una modalità che tende a declinare le forme di una nuova spiritualità, di cui l'artista possa essere considerato in qualche modo il nuovo sacerdote, da cui si dipartiranno alcune espressioni dell'arte contemporanea che vedono nelle procedure e nelle trasformazioni della materia una possibile strada di redenzione.
La nozione di utilità costituisce un classico concetto di soglia, poiché, nello sviluppo delle premesse con cui i 'padri' del moderno avevano lavorato, si sono riprodotte di fatto tutte le aporie e tutte le divisioni che tali premesse volevano spazzare via.
a. Nessuna reale integrazione quindi tra arte e vita quotidiana.
b. Mantenimento delle divisioni canoniche delle arti plastiche, dovuto essenzialmente a ragioni di mercato, di identità del 'prodotto' artistico.
c. Rifiuto dell'idea di anonimato che le arti applicate parevano voler introdurre, e viceversa scatenamento di un individualismo narcisistico anche nel progetto industriale, che attraverso l’individuazione di una serie di protagonisti, applicano le stesse logiche del mercato dell'arte.
d. Qualora nell'arte contemporanea l'oggetto tenda a prefigurare le premesse di un'arte 'minima', rimane ciononostante fondamentale il ruolo del singolo autore e la 'forma' dell'oggetto unica e tecnicamente irriproducibile, come oggetto da collezione e portatore delle mitologie del collezionista.
Inoltre non si vede ancora una soluzione di quel problema per il quale o si parla di un'utilità complessiva delle arti plastiche, di ordine etico, indipendentemente dalla funzione contingente del singolo artefatto, oppure non ha senso, poiché ripropone invertito lo stesso problema, né moraleggiare sull'inutilità delle arti maggiori, né snobbare l'utilitarismo delle arti minori. Si pone quindi la questione della necessità o meno di individuare un'utilità di ordine superiore, all'interno della quale collocare l'insieme delle espressioni artistiche. L'utilità di cui si vuole discutere non può consistere semplicemente nel fatto che un cucchiaio serva per portare alla bocca il cibo, come l'inutilità non può essere determinata da un'assenza di funzioni rappresentative o narrative dell'opera. Il problema consiste nella possibilità o meno di definire di un orizzonte generale all'interno del quale le categorie di oggetti si possono collocare, perdendo di fatto un po’ della loro rigidità di partenza. Così il cucchiaio potrà forse essere un poco meno utile e intelligente, così come l'Arte, seguendo la sua vocazione ambientale potrà forse essere considerata più utile: “Perciò tutte le espressioni che si usano per definire l'essenza dell'arte, che la indicano come superamento, redenzione, distanziamento, auto illusione consapevole, non colgono la sua più intima essenza. Tale essenza sarebbe infatti ancora una volta ridotta alla sua relazione con la realtà, per quanto in senso negativo. Questa relazione serve di fatto all'arte per acquisire il contenuto che essa, dopo averlo strappato alla forma della realtà struttura in una figura radicata anch'essa autonomamente, come la realtà stessa. Che poi l'arte serva per sfuggire alla realtà, è una cosa tanto secondaria quanto il fatto che la sua genesi psicologica richiede di contemplare la realtà (G. Simmel idem pg. 209)”. Rimane infine il sospetto che questa distinzione tra due possibili posizioni contrapposte, la necessità dell'utile come fine supremo e rifondativo dell'arte, e l'affermazione della superiore necessità dell'inutilità dell'opera, come negazione della possibilità che questa possa assurgere a fondamento ontologico del vivere, nasconda l'antica aporia tra rappresentazione oggettiva e visione soggettiva, tra affermazione di un assoluto estetico e negazione di qualsiasi possibile dimensione dell'essere. Che l'idea base del razionalismo sia stata quella di ricondurre le discipline artistiche, tramite la nozione di utile, ad un'ipotesi fondativa 'forte', dogmatica, mi sembra documentato dai vari tentativi, che a partire da Van De Velde, hanno segnato l'evolversi di queste discipline: " Ruskin e Morris credevano di poter combattere la Bruttezza con la Bellezza. Noi abbiamo insistito sull'applicazione rigorosa e immediata di un'igiene che, distruggendo il virus della malattia della Bruttezza avrebbe potuto preparare il ritorno della Bellezza e della Perfezione molto più efficacemente che il clamore provocato da uno sfrenato desiderio della bellezza o da una produzione eccezionale, realizzata al di fuori del tempo e delle condizioni economiche esistenti (H. Van De Velde, Sgombero d'arte, pg. 158)”. Che di fatto inoltre si sia formato, in contrapposizione all'estetica razionalista, un modello artistico che, attraverso l'aristocratica presa di posizione a favore di un'arte inutile, tendeva a negare qualsiasi possibilità di fondamento, mi sembra altrettanto ben rappresentato dallo sviluppo e dall'influenza che surrealismo e dada hanno avuto nell'estetica contemporanea.
Mi parrebbe interessante, a questo punto, provare a postulare una terza via, che derivando dalla tradizione orientale, rimetta in discussione queste due polarità, laddove la nozione di utile possa essere considerata priva di senso se non come declinazione della nozione di bello, così come viceversa non possa esistere nulla di utile che non sia al medesimo tempo bello (dove la nozione di bello deve essere intesa nell'accezione contemporanea di questo termine, ovvero nel senso originario di estetico, noema versus aisthema : il concetto si oppone alla sensazione, così come la sensazione al concetto). Vedi a questo proposito Kuki Shuzo, La struttura dell'iki, Milano 1992, dove si parla di un giardino giapponese che racchiude 'un trattato di filosofia buddhista e taoista'. Il giardino rappresenta un'ambiente perfetto, inessenziale e essenziale al tempo stesso, in cui nulla permane e in cui tutto è contemporaneamente definitivo.
2. Il tentativo di identificare e riconnettere lo specifico dell'arte, ovvero quell'area della conoscenza determinata dal fare artistico, con le sue grandi antagoniste storiche, scienza e religione.
Apparentemente dominata dalla sfera della sensibilità e dell'emozione, l'arte ha mal sopportato nell'ultimo mezzo secolo il confronto con discipline che si combattevano tra loro per il dominio della verità. Più votate alla connotazione che alla denotazione dei caratteri della conoscenza, le discipline estetiche sono state o malamente cooptate da scienza e religione, o combattute rispettivamente e per l'eccessiva sfrontatezza libertaria (o meglio sarebbe dire, per un eccesso di interesse fenomenologico) e per il timore che l'arte si costituisse come un'alternativa spirituale . Si tratta viceversa di capire, e quindi di restituire, all'arte il proprio dominio specifico, in simbiosi o in conflitto con tutte o alcune delle discipline che fanno capo agli altri due principali domini della conoscenza del mondo. Se negli anni cinquanta e sessanta la questione principale affondava le sue radici nell'idea protetica e proteica delle possibili analogie etico/comportamentali tra macchine cibernetiche e essere umano, problemi legati alle relazioni macchina/uomo, il dibattito più recente sembra voler tener conto delle possibili sovrapposizioni 'ideologiche', delle interconnessioni linguistiche e dei domini di afferenza degli enunciati teorici. La relazione pare quindi orientata alle motivazioni dei conflitti, che al di là delle apparenti buone maniere, hanno comunque caratterizzato il dibattito.
Arte, scienza e religione: analisi dei conflitti al di là delle apparenti funzioni amicali. Il tutto sembra ruotare attorno all'idea delle convergenze simbolico-linguistiche (denotazione versus espressione e rappresentazione) per la determinazione della verità degli enunciati. Ovvero nell'arte si attivano essenzialmente momenti connotativi, mentre scienza e religione attivano essenzialmente enunciati denotativi, entrando in conflitto tra loro. Sin troppo facile dimostrare, come fa Israel Sheffler in "Art, science et religion", Cahiers du Museé National d'Art Moderne, n.41, che anche l'arte utilizza forme analoghe a quelle della ricerca scientifica (nelle definizione degli strumenti dell'operare artistico) e a quella dell'escatologia religiosa (nella definizione delle ragioni ultime del suo operare), entrando quindi in confitto sotterraneo con le discipline scientifiche (sul problema delle metodologie) e con la religione (sul problema escatologico). Il concetto di verità: Sheffler analizza come su tale nozione si scateni il conflitto tra scienza e religione, mentre l'arte, per la quale la nozione di verità occupa una posizione apparentemente periferica, rimane estranea al conflitto. Sarebbe da approfondire in che cosa consista la ricerca di verità nell'arte, e come, se tale ricerca fosse condotta con chiarezza, il tentativo di individuazione di una verità oggettiva, ontologica, sociologica o storica, nell'opera, determini di fatto una contraddizione (o una convergenza) con altre discipline. Infine il concetto di autorità. Autorità di un consesso (la comunità scientifica) autorità di un singolo (il capo carismatico di una religione) e l'autorità diffusa nel mondo dell'arte, come essenza di un'autorità centralizzata. l'autorità, il carisma, è dono del singolo autore, e del tutto indipendente da fattori politici e religiosi contingenti. Anche se storicamente il principe conferisce autorità all'accademia. Nella comunità degli artisti, quelli perlomeno che aderiscono al principio di verità di cui sopra, l'autorità non è neppure conferita ad un singolo artista, bensì ad un periodo, ad un'opera. Lo spirito si incarna nell'opera, e da tale punto di vista il singolo autore viene illuminato.
3. L’assunzione di un rapporto forte con l'habitat, nelle sue declinazioni virtuali e immaginali, nelle possibili proiezioni all'interno dell'universo domestico.
Nel passare dalla nozione generica di ambiente a quella più precisa di habitat si compie un salto di specificazione che attiva una serie di referenti, consentendo di trovare un terreno comune alle varie discipline. Se di fatto l'arte, per sua vocazione, ha sempre avuto come obiettivo intrinseco una sorta di sacralizzazione dello spazio, in rapporto con un ambiente preciso e affine al luogo di culto (tempio, chiesa e quant'altro), la laicizzazione del sistema, che il rinascimento ha provocato e realizzato, ha prodotto di fatto uno slittamento operativo verso la 'domus', residenza del principe, che col tempo si è trasformata nelle varie e non sempre felici, forme dell'abitare delle società democratiche. In questo percorso laicizzante (basti pensare a come frammenti d'arti visive siano presenti, attraverso la diffusione della stampa, anche nelle più modeste e umili dimore) si è avuto da un lato un processo degenerativo del sistema nel suo complesso, che non è più stato in grado di produrre le grandi sintesi del gotico o del primo rinascimento, dall'altro si è avuto un riavvicinamento della dimora alle sue origini sciamaniche, attraverso il bric-a-brac feticistico degli oggetti, apparentemente inutili, o peggio, consumistici, che ne compongono l'attuale e variegato panorama. Se la rinuncia alla sacralità del tempio ha portato l'arte a confrontarsi con i luoghi laici del culto della conoscenza (i musei), ha poi consentito lo sviluppo di forme di intervento diffuso sul territorio che, soprattutto negli ultimi anni, hanno sviluppato una poetica di antagonismo contro l'eccesso accademico dei luoghi deputati (street art).
L'insieme delle discipline artistiche hanno quindi ritrovato in qualche modo un terreno di confronto proprio sulle ipotesi di rifondazione dello spazio domestico come luogo di sacralità individuale. Così l'architettura e il disegno industriale hanno potuto in alcuni casi ritrovare il senso di un operare legato alla qualità senza funzioni di uno spazio ritornato disponibile ad essere tale, l'architettura, in altri casi hanno potuto ritrovare la disponibilità di forme e oggetti che dall'industria deducevano solo in parte minima le loro componenti, avvalendosi di un rinnovato interesse per le forma dell'artigianato (il disegno industriale). Allo stesso modo le arti visive, che paiono negli ultimi anni essersi liberate dal complesso del museo, sembrano aver ripreso interesse per un ambiente diffuso (spazi comuni di aree residenziali) nonché per l'espressione architettonica dell'habitat domestico, Vedi a questo proposito il libro di J. Rykwert, l'architettura e le altre arti, Milano 1993, interesse che peraltro sposta repentinamente il discorso sull'artefatto, da un piano meramente funzionalista o arts and craft, verso forme più attente alle connotazioni 'immaginali' dell'oggetto. Come si è già accennato precedentemente, questo comporta da un lato una rinuncia ad alcune rigidità disciplinari, dall'altro un arricchimento che solo il confronto aperto e senza pregiudizi con aree confinanti può comportare. Si delinea così, sul terreno della ridefinizione delle qualità dell'habitat, inteso vuoi nel senso stretto del termine, la casa, vuoi nell'accezione più ampia di luogo urbano, un possibile terreno di sintesi delle arti, che in qualche modo riapra la vecchia questione dell'opera totale/ opera aperta.
4. La messa in crisi delle modalità dell'arte, rispetto alle scelte dell'asse "elitario-popolare", che hanno viceversa contraddistinto le tematiche della cultura artistica di questo ultimo ventennio.
Gli ultimi anni del secolo XX sono stati caratterizzati da una forte volgarizzazione delle tematiche legate all'arte e al progetto, con un movimento che muoveva dall'elitario verso il popolare. Viceversa sembra che il nuovo millennio, se pur faticosamente, stia rimettendo in gioco un'inversione di tendenza, muovendo contro le tematiche pop-decorative a favore di una ripresa dei temi cari alla modernità, che vedono nell'asse espressionismo/razionalismo il tentativo abortito della fondazione delle radici della spiritualità contemporanea. Vedi a questo proposito l’opera di Francesco di Giorgio, dove emerge una figura di non grandissimo rilievo artistico, come potevano essere figure più rappresentative per la fondazione della sensibilità rinascimentale, quanto piuttosto un modo di concepire l'arte attraverso una professione a tutto tondo, tale per cui dalla sua 'bottega' non uscivano solo i disegni per il palazzo del duca di Montefeltro, ma anche formelle decorative per cassettoni, progetti di macchine idrauliche, i cui disegni vengono pubblicati in Cina, progetti di stanze da bagno, ricche di dettagli architettonici e tecnici, straordinari porta torce per un palazzo mediceo, la cui ricchezza decorativa è seconda solo alla ricchezza dei rimandi iconografici. Tutto questo oltre naturalmente a pale d'altare, sculture policrome lignee per il duomo di Siena, e ovviamente un bel po’ di architettura civile e militare. Tutto questo viene reso possibile da un orizzonte di riferimento estremamente concreto, da una cosmografia universale che invano i pionieri del movimento moderno (Ruskin, Morris, Semper, Van de Velde) cercheranno di far rivivere. Unico tentativo, parzialmente riuscito, quello di Le Corbusier, che non a caso adotta una griglia 'decorativa' in senso alto (il Modulor) come orizzonte di riferimento per un insieme di artefatti estremamente vario. Tutto questo infine rimanda a una forma di pensiero-azione che trova il suo alveo specifico nell'artigianato industriale, e una pratica nella trasversalità che la modernità ha tradito a favore di un ritorno alla specializzazione.