Andrew Moore

Whiskey point and other tales

Yancey Richardson Gallery, NYC, November 16-2023/Jannuary 6 2024

La Yancey Richardson Gallery riproporrà nelle prossime settimane il lavoro del fotografo-regista americano Andrew Lambdin Moore, classe 1956. Passato alla storia soprattutto per la fase intermedia del suo lavoro artistico, quando si concentrava sulle architetture della rovina, quelle che la critica americana meno benevola definirà ‘ruin porn’, i grandi cicli fotografici dedicati alle architetture di transizione a Cuba e in Russia, alle rovine ambientali di Detroit, alle fabbriche dismesse e devastate dal rapporto con una natura aggressiva e onnivora, nonché ai teatri fatiscenti tra la Settima e l’Ottava.

Moore, attraverso questo lavoro, intendeva mostrare "come la storia contemporanea, e in particolare le culture in transizione, si esprimano attraverso l'architettura”. Corre qui, attraverso l’idea di rovina come forma determinante dell’estetica contemporanea, la nozione di sublime, che. applicata all’architettura di transizione (per usare un eufemismo) ci riporta ad una temperie di chiara matrice romantica. L’architettura come oggetto dimenticato subisce il degrado e l’uscita dalla storia, trasformandosi, attraverso l’ipostasi della rovina, in pura immagine di memoria, colta nell’atto trasformativo del tempo.

Non è un caso che l’esperienza artistica di Moore inizi negli anni ottanta con un gruppo di artisti di Buffalo, che utilizzavano tecniche meccaniche e chimiche complesse per arrivare ad immagini integrate che uniscono sincreticamente negativi multipli, disegni e dipinti, fotocopie, bypassando l’idea di una fotografia documentaria, per esprimersi all’interno di forme visive complesse, stratificate da shock estetici e mnemonici. Anticipando le possibilità offerte alle generazioni successive da Photoshop e dall’elaborazione digitale dell’immagine, componeva così forme convulse, prive di una solida razionalità spazio-temporale, che verranno poi esposte alla Lieberman and Saul Gallery nel 1985, nella sua prima mostra personale.

Il passaggio successivo, nel 1995, coerentemente a queste premesse più espressionistiche, avviene attraverso la rifondazione di un immaginario post-romantico che pone al centro la transizione temporale di un oggetto architettonico, la sua dissoluzione funzionale, trasformato appunto in una forma-rovina, priva di un possibile utilizzo pratico che non sia quello di pura apprensione percettiva ed estetica. Un ritorno quindi solo apparente a forme di fotografia documentaria, in realtà direttamente derivate dalle esperienze artistiche degli anni precedenti.

Uno strano paradosso temporale, un à rebours concettuale che pone il prima, la sensibilità tardo romantica, dopo l’esperienza più espressionistica. Questo percorso al contrario continua con l’ultima fase del suo lavoro, concentrata sul paesaggismo americano della scuola della valle dell’Hudson, che produsse una serie di discutibili dipinti old fashion, old america, dove la nozione di sublime si scontra con una certa zuccherosità delle forme atmosferiche.

Viceversa Moore, forte dell’esperienza maturata in quel di Cuba, di Detroit e, perché no, della Russia, si concede una visione del paesaggio americano tutt’altro che idilliaca. Utilizza infatti, per fotografare la waste land del deserto americano, un piccolo aereo da diporto, guidato da un amico, con cui fa riprese del paesaggio a raso terra, per suggerire l’impressione di una perfetta integrazione tra immagine e visione.

Moore presenta un approccio stratificato alla fotografia e alla narrazione, intrecciando la narrazione con il documentario e le esperienze personali con gli eventi storici e generazionali. Il mito della valle dell’Hudson si intreccia con i nativi Delaware, quelli di Pocahontas, e con le altre mitologie storiche presenti sul territorio.

"Dall'alto, la terra è come un'idea infinita e senza punti di contatto - sabbia, erba di campo, tacchino, stelo di grappolo, bufalo, prato, mucca, pascolo, fieno, ruscello, girasole, sabbia - e solo raramente una casa, un mulino a vento o un fienile apparivano all'improvviso per sospendere il senso di illimitatezza. "