Una stanza tutta per sé
di Donatella Borghesi
Chissà come l’aveva pensata Virginia Woolf la “stanza tutta per sé”. Quel concetto apparentemente semplice che è diventato per tutte le donne del Novecento un sogno e una conquista. Un gesto “necessario” per delimitare lo spazio della libertà e della creatività individuale sottratte al potere maschile. Forse Virginia non ce l’aveva ancora ai tempi del circolo di Blumsbury, il gruppo letterario di cui era stata grande animatrice con il marito Leo. Probabilmente la stanza tutta per sé era diventata una conquista anche per lei.
Maison Georges Sand, Nohant, ph by Henry Thoreau
Come poteva essere ai primi del Novecento? Piccola, collocata fuori dal chiacchiericcio mondano dei salotti (erano sempre più di uno), spartana: una scrivania e una poltroncina, e ovviamente una libreria, anche se minima rispetto alla grande biblioteca della casa che troneggiava in una delle sale o in uno studio padronale. Con Virginia e la sua “stanza tutta per sé” dal grande valore simbolico inizia la figura della scrittrice moderna. Ma proviamo a immaginare com’era nel passato, dove Jane Austen abbia scritto i suoi sei romanzi perfetti: probabilmente al piccolo secretaire in un angolo della sua camera, per sfuggire all’inevitabile rumore di sottofondo della famiglia, servitù compresa. E così anche Louise Alcott: nel suo Piccole donne, romanzo in gran parte autobiografico, domina un ciarliero gineceo. Jo infatti, quella delle quattro sorelle che tutte avremmo voluto essere, scriveva in soffitta per essere lasciata in pace.
Maison Georges Sand, Nohant, ph by Henry Thoreau
Andando indietro nei secoli, le uniche che avevano diritto a una privacy creativa erano state le mistiche nelle loro cellette. Chi non aveva case importanti, scriveva sul tavolo di cucina, sgombrato dalle verdure e dalle stoviglie, nei tempi morti lasciati dalle cure domestiche. Tradizione non certo esaurita in tempi moderni, se Sylvia Plath diceva che le sue poesie nascevano appunto nella sua cucina di New York. Spesso anche le nobildonne finivano a restringere i loro spazi. Era successo a George Sand, nata ai primi dell’Ottocento, che rivoluzionò i costumi prendendo un nome maschile e vestendosi da uomo. Nata Amantine Lucille Aurore Dupin, dopo la morte del padre sposò a 18 anni un barone, uomo violento, ma lei si difese e ottenne la separazione dopo tre anni di battaglie legali. Finalmente libera, fuggì a Parigi, dove conobbe un giovane scrittore, Jules Sandeu, con cui andò a vivere in una soffitta sulla Senna (nota romantica: si ispirò per il suo nome de plume a quello di lui). Ma la maggior parte dei suoi settanta romanzi e quarantamila lettere sono stati scritti nella casa della nonna a Nohant, dove si rifugiava fin da piccola, e dove ritornava dopo i viaggi con gli uomini amati, da Alfred de Musset a Chopin.
Maison Georges Sand, Nohant, ph by Henry Thoreau
Nella sua stanza si murò in prigionia volontaria la grandissima Emily Dickinson: le sue 1775 poesie sono nate così, magari alla fine delle sue solitarie passeggiate nei campi, osservando i fiori e le api. E la sociale, mondana Colette, scrittrice precoce derubata del suo nome dal marito Willy, attrice di varietà, felicemente bisessuale e dalla sessualità sfrontata? A lei si deve una delle prime e più alte espressioni della letteratura erotica al femminile. Da vecchia, si faceva sempre fotografare alla sua immensa scrivania, ricoperta di carte e dai colorati fermacarte in vetro soffiato.
Maison Georges Sand, Nohant, ph by Henry Thoreau
È stato appena ripubblicato Le signore della scrittura, La Tartaruga, un bel libro di Sandra Petrignani, dove l’autrice allora giornalista alle prime armi era andata a intervistare le scrittrici italiane considerate all’altezza della letteratura, da Elsa Morante a Lalla Romano, da Maria Bellonci a Anna Maria Ortese. Ebbene, nei suoi incontri Petrignani esprime il suo riserbo e stupore davanti alle case d’epoca, agli arredi imponenti, alle scrivanie intimorenti. Ha l’impressione di essere in un tempo ormai esaurito. Lei è già una ragazza di metà Novecento, la sua Lettera 22 o il suo registratore se li porta dietro ovunque va, non ha bisogno della scrivania, basta anche un tavolino di caffè.
Maison Georges Sand, Nohant, ph by Henry Thoreau
Ecco, la stanza tutta per sé sta cambiando fisionomia e collocazione nello spazio… E oggi? Il portatile nello zainetto sulle spalle, gli appunti fermati sul cellulare, il post che assurge al ruolo di scrittura. Così la stanza tutta per sé riesce a sopravvivere al tempo della tecnologia, anzi, a dilatarsi e diventare universale, a giudicare da quanto le donne del XXI secolo scrivono, producono pensiero e comunicazione. L’anonimità di un non luogo come l’aeroporto o il metrò, con tutto il loro rumore assordante, diventano luoghi di concentrazione. Silenzio imperfetto all’ennesima potenza. Ma chi l’ha detto che la giovane scrittrice non rifinisca il suo pezzo, con un bicchiere di vino o una tisana in mano, proprio al tavolo di cucina.