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Imago o ‘del mobile d’invenzione’ ©
Un progetto di Maurizio Barberis
Dodici immaginarie composizioni d’arte applicata falsamente architettoniche, forse inutili, se non dannose, circolarmente in-sostenibili, provviste di commento ma non di spiegazione. Oggetti impossibili, macchine celibi, più simili alla macchina infernale della kafkiana Colonia Penale che non ai domestici prodotti del design contemporaneo.
Imago è la proiezione fantastica di un oggetto che si pone al di là delle sue qualità specifiche, al di là del principio di realtà, ma viene caricato di un inconsapevole immaginario da chi lo osserva. O da chi lo produce. Imago è inoltre una figura della memoria, poiché, in quanto immateriale prodotto dell’immaginazione, è esente dalle relazioni di spazio e di tempo. Imago è dunque la mise-en-scene di una serie di oggetti, in apparenza d’uso, ma di fatto immateriali. Poiché uno dei grandi temi è rappresentato dal ”peso delle cose" (che parrebbe abbiano superato il peso specifico del globo), ritornare a lavorare sull'immaginario, sulla sua leggerezza, può essere una buona strada da percorrere per rendere sostenibile la sostenibilità.
Lavorare sulla bellezza implicita nelle cose, nella loro Imago, può aiutare a rendere sostenibile la vita degli uomini su questo pianeta.
‘Imago’
“ Termine introdotto da C.G.Jung (Wandlungen und Symbole der Libido, 1911), con riferimento a un’i. ‘materna’, ‘paterna’, ‘fraterna’ e divenuto di uso comune in psicanalisi. Caratterizzata come ‘rappresentazione o immagine inconscia’, l’i. è piuttosto uno schema immaginario, un prototipo inconscio che orienta in maniera specifica il modo in cui il soggetto percepisce l’altro, ne orienta cioè le proiezioni. Formatasi sulla base delle prime relazioni del bambino con l’ambiente familiare, l’i. non va peraltro considerata come correlato di figure reali, ma presenta carattere fantasmatico; così a un’i. genitoriale minacciosa e terribile possono corrispondere genitori reali estremamente miti.” Dal dizionario Treccani.
Mobile d’invenzione
N.1
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Trumeau/studiolo Detto ‘delle ore felici’
Contenitore per gentiluomini svagati
Osservando il ‘San Gerolamo nello studio ’ dell’Antonello messinese, si vien colti da una qual certa invidia per un tempo raffermato, che par non debba scorrere ma solo occupare la mente del monaco, o di chi, immortale come lui, occupa lo scranno nella lettura prolifica. Così appare, questa condizione di intensa spiritualità, così perfetta appare, che il corpo del Santo man mano svanisce e si fa largo un’altra idea, bizzarra, che lo studiolo, nella sua verticalità ascetica, libera da pensieri e occupazioni materiali, possa condurre, di sua immacolata volontà dritti dritti in quella casa perfetta che i buddhisti chiamano Dharmakaya, ovvero il corpo del Buddha.
Certo il passaggio è brusco e non sempre ben accetto alle menti operose di chi s’industria alla pagnotta quotidiana, e non solo a quella, che pagnotta ha ben altre assonanze. Piace pensare però che l’ozio operoso di chi, libero d’affanni si concentri solo sull’amena lettura e sullo studio profondo, possa produrre, nel cuore e nella mente di questo fortunato gentiluomo, un’inversione trascendente la materia delle cose, per più alti orizzonti spirituali.
Mobile d’invenzione
n.2
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Pendola con capacità predittive Vanitas, detta ‘della miglior sorte’
Le Vanitas sono delle straordinarie macchine predittive, infallibili. Come in uno specchio vediamo riflesso il nostro inevitabile destino, ma non quello che ci attende alla fine del viaggio, poiché solo pochi eletti sono in grado di predire questo genere di futuro. Assolutamente inutili per la vita quotidiana, le Vanitas, come un orologio che scandisce il tempo, il nostro tempo, rispondono ad una logica difficilmente accettabile, se non si considera tutta la stringa, ovvero il prima e il dopo dell’intera esistenza.
L’eternità, insomma. La più famosa, tra le Vanitas, ancorché mascherata da viaggio nell’ineffabile, è quell’ Et in Arcadia Ego del Guercino, vittima dell’attenzione ansiosa del buon Panowskiy.
Simboli ricorrenti il teschio e l’orologio, qualche volta la falce e le aeree bolle di sapone.
‘Vanitas vanitatum et omnia vanitas’.
Mobile d’invenzione
n.3
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Chinese Case detta ‘delle impossibili soluzioni’
Charlie Chan e la pseudologia fantastica. L’imago costruisce di fatto una mitologia assai poco corrispondente alla realtà, un caravanserraglio fantasmagorico, una sorta di bugia che ha come unico scopo quello di rafforzare la messa in scena del suo contrario, ovvero di quell’oggetto ‘accidentale’ che occupa abusivamente le nostre case sotto forma d’estetica piacevolezza.
Allo stesso modo Charlie Chan, detective fantastico dalla numerosa prole, insegue soluzioni improbabili di delitti improbabili, espressione di una mitomania che pone l’altro, il diverso, su un piano proiettivo, dove l’imago del soggetto si fonde con quella dell’oggetto proiettato.
Così la Chinese Case mette in chiaro un modello immaginario, privo di realtà, ma dotato di innumerevoli scomparti segreti, di luci misteriose, di giardini nascosti, di affannosi personaggi mitomaniaci all’inseguimento di improbabili soluzioni di problemi complessi.
“ Per pseudologia fantastica (o mitomania o bugia patologica) si intende un'elaborazione intenzionale e dimostrativa di esperienze o eventi molto poco probabili e facilmente confutabili.. bugie facilmente smascherabili che non vengono utilizzate per ottenere un tornaconto materiale o qualsivoglia vantaggio sociale, quanto per accrescere la propria autostima o proteggersi dal giudizio altrui”
Mobile d’invenzione
N.4
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Consolle/studiolo detto ‘della conoscenza della luce’
Vari e molteplici vogliono essere i modi per delineare la 'concretizzazione' di ciò che potrebbe definirsi come una metafisica della luce. Ricercare concretezza laddove si percepiscono solo evanescenti epifanie luminose? La luce vive, fenomenicamente, metissandosi con certe qualità materiali. Potremmo dire che la luce è una delle qualità della materia, quella che ne aggettiva le relazioni formali. La materia trattiene la luce tra le sue scaglie, rendendo visibile il giuoco umbratile delle superfici.
Ma ancora: potrebbe sembrare un non-senso, in questo caso, parlare di metafisica o meglio di teofanie luminose? Già, poiché la luce diviene visibile, in quanto luce, solo dove cessa l'altra materialità delle cose. La luce occupa un vuoto, un'intercapedine silenziosa, nello spazio che separa le densità, una trasparenza leggera che appartiene a un solo senso: la vista.
Così questa linea di confine, questa soglia, diviene forma simbolica, rappresentazione dell’incontro tra cielo e terra, spazio delle trasformazioni e dei passaggi, della Via sempre mutante (forma fluens, fluxus formae) e mai raggiungibile, ma al tempo stesso segno del radicamento nello spirito, nel sentimento e nell’emozione, che dello Studiolo sono parte imprescindibile, riflesso spontaneo di ciò che dentro la linea di confine continuamente appare e dispare. La conoscenza della luce.
Mobile d’invenzione
N.5
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Chantarus Domesticus detto ‘turris philosophorum’o dello scorrere del tempo
Il Chantarus, era una fonte purificatrice collocata nel peristili e nei chiostri delle primitive chiese cristiane, una probabile derivazione dai culti mandaici, laddove la sorgente d’acqua pura e corrente, garantiva, per converso, quasi un ossimoro, l’eliminazione delle impurità che il tempo inevitabilmente incrostava sulle superfici delle anime dei fedeli. Dal Chantarus un’ascesi quindi, inevitabile, nei luoghi dove il tempo cessa di scorrere.
Fissazione. In psicologia indica una nevrosi del comportamento, una ripetizione ossessiva di comportamenti e idee non piacevole da subire. Viceversa la Fissazione alchemica indica la fase finale del processo di sublimazione alchemico, quello che avviene appunto nella Turris Philosophorum, una metafora fisicamente ben strutturata, per rappresentare una certa condizione dell’uomo. La fissazione indica dunque il raggiungimento di una fase spiritualmente perfetta, in cui corpo anima e spirito, come pianeti armoniosi, risultano perfettamente allineati tra loro.
Cantaro ha anche un altro significato, derivato per estensione dai vasi unità di misura, che le navi veneziane riportavano dai loro viaggi commerciali. I veneziani, popolo pratico e poco incline a forme di pensiero mistico, li usarono per ben altro scopo. Pissoir. Vedi alla voce ‘Duchamp’.
La commistione tra le attività sporche, (defecare, orinare,etc) e le attività di pulizia e di purificazione ( lavacro corporale, cure del corpo, lavaggio di oggetti, di capi di vestiario etc...) avviene laddove nello stesso luogo due estremi si toccano, in virtù del medesimo slogan. Sporco e pulito possono essere indifferentemente collocati nel medesimo spazio solo a condizione di rinunciare alle loro implicazioni simboliche e psicanalitiche. " Per un'esprit moderno la differenza tra un'acqua pura ed un'acqua impura è interamente razionalizzata. I chimici e gli igienisti passano di qua: una scrittura sopra un rubinetto designa un'acqua come potabile." (G.Bachelard,L'eau et les reves)
Nella casa simbiotica: ricordi di viaggio. Una casa in India, ricavata a ridosso di un tempio induista, affacciata sul lago di Jaipur. Nella notte il ritmo ossessivo della preghiera a Ganesha, dio dalla testa d'elefante, custode dell'inconscio. Alla mattina ecco il lago, l'acqua del lago, sufficientemente sporca, benché pulita per il rituale, immenso bacino da cui si ricava la materia prima per l'aspersione mattutina, oltre a quella necessaria per lavare la casa, i panni, per cucinare. Basta un secchio gettato dalla terrazza. Viceversa l'abluzione del mattino è un rito, da compiere a digiuno, come se si dovesse andare dal medico. Il lavacro vero e proprio avviene più tardi, nel pomeriggio, per ripulirsi dalla polvere. Con la stessa acqua, scaldata e versata in un catino di rame, come mille anni fa.
Poi il recinto impuro, esterno alla casa, lontano, per disperdere le feci senza rischi. Secco, senza l'uso dell'acqua, materia troppo sacra per entrare in contatto con escrementi. Una palafitta sospesa nel vuoto, un buco nel pavimento e l'inconscia preghiera che questo non ceda:
" Le bain pour surprise, est un varieté du sport de l'auto-humiliation."
Mobile d’Invenzione
n.6
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Trumeau Paranoico Oggetto per celibi mal-maritati
Paranoia: psicosi caratterizzata dallo sviluppo di un delirio cronico, coerente, che evolve lentamente lasciando integre le restanti funzioni psichiche.
"La scienza (e a quanto pare anche la filosofia) ha scelto di ignorare in larga misura ciò che potrebbe trovarsi in questo entre-deux o via di mezzo" (Francisco Varela)
‘ …Appunti per Mandala: il materiale di Varela potrebbe essere utilizzato insieme a quello di Tucci. E' molto interessante il discorso di precisazione sul sé e la particolare declinazione che Varela dà del cognitivismo, in relazione alla possibilità di costruire una via di mezzo che escluda sia l'interpretazione che vuole che il sé, la coscienza, non abbia alcun rapporto con la definizione dei comportamenti, sia quella che vuole che l'unica determinazione sia data dal sé che governa come un tiranno le azioni dell'uomo. Comunque sembra interessante, leggendo la prefazione scritta da Tucci e al tempo stesso il libro di Varela, cercare di verificare le convergenze tra le basi dottrinali e teoriche del Mandala e le posizione di ricerca del cognitivismo sul sé…’
“Varela era principalmente un biologo, ed è stato profondamente influenzato dal suo insegnante e collega cileno Humberto Maturana , anch'esso biologo con un forte orientamento filosofico. Il concetto di autopoiesi da loro utilizzato per indicare che la caratteristica fondamentale dei sistemi viventi è una struttura organizzata al fine di mantenere e rigenerare nel tempo la propria unità e la propria autonomia rispetto alle variazioni dell'ambiente, tramite propri processi costituenti che contribuiscono alla ri-generazione e al mantenimento del sistema.”
Mobile d’invenzione
N.7
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Floor lamp detta ‘pandora’s sketchs’
La questione cui ci troviamo di fronte ora è quindi data dalla relazione che sussiste tra canone, tessuto metafisico/evidenza teofanica e materializzazione della luce. Il canone individua un modello formale cui ci si attiene nella composizione La luce è quindi un messaggero, che porta da molto lontano segnali di vita e di comprensione dell'intera macchina cosmica, dimostrando attraverso l'esistenza di leggi fisiche universali, la necessità di leggi particolari, che mettano in simbiosi armonica la parte con il tutto, dell'insieme dello spazio, del luogo dove l'epifania luminosa si materializza. L’oggetto dotato di sacralità epifanica fonda, attraverso la sua relazione con la luce, un'unità spazio-temporale, che accorda, integrandole, le qualità dello spazio 'interne' all'oggetto con il tempo 'esterno' del mondo, trasferendo queste qualità attraverso l'imago, intesa come appartenenza e identità, al piano del 'tempo dell'anima' di agostiniana memoria.
Mobile d’invenzione
N.8
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Consolle/studiolo. detto ‘della delle ipercromie fotodistopiche’
Vorrei introdurre a questo punto un piccolo glossario, che ci permetta di raggiungere una maggior precisione grazie ad alcune definizioni derivate dalla lingua tedesca, utili per approfondire la descrizione del significato dell’immagine.
Il primo termine è Gestalt, che possiamo tradurre con forma, figura, prendere o dare forma, costruire, organizzare. Il secondo termine è Form, forma, tipo, modello, stampo, matrice (Urform). Il terzo termine è Inhalt, contenuto, area, volume, limite. Il quarto termine è Figur che si può tradurre con contorno, figura, forma. Infine Darstellung, che indica più precisamente l’idea di raffigurazione/rappresentazione.
Forma-configurazione: possiamo aver chiara la 'forma' delle nuvole, mentre non esiste alcuna possibilità di chiarire in modo univoco la loro 'configurazione'. Quest'ultima determina, dal punto di vista dell'immagine, una condizione di assoluta ambiguità, poiché, per abitudine, noi riteniamo di poter considerare immagine tutto quello che ci permette di definire con chiarezza i contorni di un'oggetto. Così è il colore.
Una prima serie di considerazioni che possiamo fare nascono dalla sovrapposizione delle nozioni di rappresentazione e di immagine. L'immagine, in quanto rappresentazione, è qualcosa che permette di contrastare l'indefinitezza del visivo attraverso configurazioni che fissano la realtà fenomenica ad una forma, consentendone una lettura priva di ambiguità e contraddizioni. Le immagini si formano nella memoria attraverso il flusso temporale, ma il tempo si caratterizza nella ritenzione mnemonica innanzitutto come perdita, perdita di informazioni, di segni, di forme. La memoria ha una cattiva ritenzione della datità fenomenica. Distopica. Ci troviamo così di fronte a due questioni: da un lato la perdita di configurazione che il flusso temporale comporta, la necessità di trattenere la forma al di là delle modificazioni che questa subisce, dall'altro il problema della funzione della memoria, che a causa dei suoi meccanismi inibitori e deformatori, trasformano questo supporto del pensiero in una condizione imprecisa e parziale.
Così è il Colore: Gestalt, Form, Urform, Inhalt, Figur e Darstellung al medesimo tempo.
Mobile d’invenzione
N.9
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Consolle elegiaca detta ‘del numero nove’
Ἔλεγος. ὁ θρῆνος παρὰ τὸ εὖ λέγειν τοὺς θανόντας “
L'immagine, in quanto insieme di segni, simboli o icone, è sempre indizio di una quiddità aliena. Vive per quell'oggetto che, a distanza, ne configura il senso. Immaginiamo infatti che l'oggetto sia parte di una realtà che l'immagine rappresenta, e, attraverso questa, si manifesti un'altra forma del reale, invisibile, ma tuttavia presente. Una caratteristica fondamentale dell'immagine è quindi di rappresentare una realtà nascosta, dando testimonianza di una realtà apparente, divenendo in tal modo parte integrante della realtà stessa. L'immagine ci consente così di individuare l'oggetto, di renderlo unicum, individuo separato dal flusso generale che costituisce il nostro permanere fenomenico nel mondo in quanto ne realizza l’essenza, ovvero ciò che è dato ai sensi e ciò che dai sensi trascende.
Lo trasforma così, in modo duraturo, vuoi in un referente, vuoi al tempo stesso in un simbolo. La riproducibilità infinita inoltre rappresenta l’illusoria possibilità di eludere la morte, la morte dell'immagine e la morte di ciò che l'immagine rappresenta, in un processo che dall'invenzione della stampa porta dritto agli ipertesti e alle immagini virtuali, transitando per il cinema e per la fotografia.
La Rete si presenta quindi come un grande cimitero virtuale, un pantheon ‘ab aeterna memoriam’ dell’illusione di eternità. L'immagine non muore, ma può essere continuamente riprodotta. In ciò sta la sua forza- non muore -e la sua debolezza- la condizione di eterna riproducibilità che ne diminuisce il valore auratico, l'effetto di nostalgia e lontananza.
L'imago infine è superiore alla realtà perché ne trascende la finitezza materiale, la caducità del fenomeno senza annunci noumenici. E per questo motivo, l’improbabile neutralità fenomenica, che l'immagine diviene memoria, e al tempo stesso diversa dal ricordo: perché è parte del reale, astratto o concreto, soprattutto quando conserva piena relazione con il proprio referente, in assenza di esso, senza deformazione o inibizione del percetto.
Mobile d’invenzione
N.10
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Mobile contenitore detto ‘del Vaso e della Luna’
“...nel ricordo che ne conserva Epimeteo, che l’ha vista ritornare in cielo dopo una fugace unione, è un dono di suprema poesia quello che Pandora gli ha recato. Il vaso non contiene.....mali sconosciuti, ma lascia sfuggire, in una nube, uno sciame di immagini divine che gli umani non sono stati in grado di cogliere...” ( Jan Starobinski, Larghezza,)
Mobile d’invenzione
n.11
dai cataloghi perduti del professor Marcelino Del Campo
Chinese Case n.2 detta ‘della Ricerca del Fiore d’Oro’
“..Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, ...”
Mobile d’invenzione
n.12
dai cataloghi perduti del professor Marcelino De O’ Campo
Unnamed detto ‘del Mobile Sfinito (Evaporato)’
„...e a questo punto non ho proprio più nulla da aggiungere, disse Marlowe...“
Imago o ‘dell’invenzione del mobile’
Speculare ma contraddittoria rispetto alle potenzialità immaginative del mobile d’invenzione, un oggetto definibile tale soltanto attraverso un transfer immaginale, l’invenzione del mobile sta a quest’ultimo come la realtà, il quotidiano domestico, alla sua imago. Tanto iperbolicamente inutile la seconda quanto concretamente attiva nell’uso la prima.
La nozione di utilità costituisce una nozione chiave, un classico concetto di soglia, poiché, nello sviluppo delle premesse 'utilitaristiche' con cui i 'padri' del moderno avevano lavorato, si sono riprodotte di fatto tutte le aporie che tali premesse volevano spazzare via: così non vi è mai stata alcuna reale integrazione tra arte e vita quotidiana, essendo tali domini mantenuti artificialmente separati dalla conservazione delle divisioni canoniche delle arti plastiche, dovute essenzialmente a ragioni di mercato e di identità del 'prodotto' artistico. A questo si è aggiunto il rifiuto dell'idea di produttore anonimo, che le arti applicate volevano introdurre, mentre si è imposto al contrario una sorta di individualismo narcisistico, con il risultato di affermare protagonismi che applicavano le stesse logiche del mercato dell'arte alla produzione di oggetti industriali.
Così, anche nel caso che nell'arte contemporanea l'oggetto tenda a configurare le premesse di un'estetica 'minimalista', rimane fondamentale il ruolo del singolo autore e la 'forma' dell'oggetto unica e tecnicamente irriproducibile, oggetto da collezione e portatrice delle mitologie del collezionismo.
Non si vede ancora una soluzione possibile per la quale si possa parlare di un'utilità complessiva delle arti plastiche, di ordine etico, indipendentemente dalla funzione contingente del singolo artefatto. Così non ha senso, poiché ripropone invertito lo stesso problema, moraleggiare sull'inutilità delle arti visive, o al contrario snobbare l'utilitarismo delle arti applicate.
Si pone quindi il problema della necessità o meno di individuare un'utilità di ordine superiore, all'interno della quale collocare l'insieme delle espressioni artistiche