Mimesis
Nuvole
by Maurizio Barberis
.- Parlare delle nuvole è come parlare dell'acqua, del sangue della terra, dello stato fluido della materia. Le nuvole mostrano la forma del cielo, ne plasmano l'immagine. In un contesto così mobile, la scienza delle forme configura piovaschi, nubi gonfie di pioggia, offre allo sguardo solo un’ipotesi di vento. La morfologia studia i processi di flessione, derivazione e composizione delle forme. Forme che crescono e flettono al vento dei significati, si modificano di fronte agli occhi un attimo prima di morire alla vista. Ma le nuvole non hanno forma. Nascono, crescono e muoiono come organismi viventi, nutriti da una configurazione degli elementi primari. Morfologia del vento e del fuoco. Le forme prime, i solidi platonici, rappresentano il concetto della materia a cui si ispirano. Ci parlano di una maggiore o minore potenza del simbolo, della stabilità 'ontologica' della materia e delle idee primarie a cui fanno riferimento. Ma la 'forma' delle nuvole non ha alcuna relazione visibile con un possibile significato. Se la costruzione della forma passa attraverso i gradi dell'identificazione, dell'astrazione e della rappresentazione, la nuvola può essere così interpretata come una possibile configurazione del divenire, del tempo che si mostra attraverso le materialità dell'aria.
.- La nuvola è una possibile forma del vento. La sua natura insidia la nostra coscienza dei fenomeni, attraverso segni che siamo costretti a interpretare in un insieme infinito di variazioni possibili. Testimonia della possibile riconciliazione dell'aporia tra il visibile rappresentare e l’invisibile intuire, tra l'emozione e il significato. Poiché, se è vero che la nuvola appartiene al mondo dei fenomeni, del soggetto che si oppone alla formazione geometrica del mondo, è anche vero che lo stesso infinito può essere usato come segno di una pura astrazione. La nuvola esiste negandosi, perché la sua forma è proteiforme specchio di tutte le configurazioni possibili. E’ inganno, teatro ottico, dove le ombre, le illusioni che prendono la forma dei nostri sogni, acquistano la consistenza soffice e pneumatica del vento. Un Teatro invisibile dove l'estro armonico si gioca negando la consistenza prospettica della pittura. Nell'infinita e casuale variabilità della sua forma è contenuta tutta la verosimile rappresentazione del visibile, l'indeterminatezza dei suoi bordi, dei suoi margini sfuggenti. Ma se il profilo delle nuvole è sempre sé stesso e sempre qualcos'altro, la predisposizione alle variazioni nel tempo non elimina dentro di noi l'impressione di margini precisi, di una sequenza che anima l'impressione del continuo cambiamento, che non si interrompe mai e da una piccola suggestione iniziale, dilaga nel nostro occhio come un’ eidola eraclitea. Attraverso un’improbabile tassonomia si organizzano in una classificazione razionale le probabili forme delle nuvole. Il nostro tempo ne risulta turbato. La tassonomia contiene altri margini, altre inquietudini. Classificare secondo forme diverse la stessa materia ci appare come un modello troppo povero, che ferma per un istante tutto ciò che è visibile in assenza di mutamento. E’ forse possibile annullare il movimento?
.- Lo spazio stesso infine potrebbe esser ridotto ad una semplice denotazione, ad un elementare supporto dell’icona nuvola. Ma qui le questioni morfologiche vengono chiamate in causa per altro scopo, ovvero una configurazione che ci possa aiutare a definire l'indefinibile. Emerge un contrasto, non solo terminologico, tra necessità denotativa di classificare attraverso le regole della morfologia, e la nuvola, pura connotazione, forma e figura allo stesso tempo. Definizioni, codici, sistemi numerici, valgono soprattutto nella messa in scena delle quantità. Pare invece la nuvola unicamente fenomeno, forma senza misura. La nuvola, metafora del visibile, è soggettività della visione che si contrappone alla rigida geometrizzazione dello spazio prospettico prevista dalle regole geomorfologiche dello spazio. La nuvola, chimera della visione, si oppone all'ordine dello spazio razionale. Forma barocca vs spazio neoclassico. La sua icona sta nello spazio intermedio, tra ciò che è possibile e ciò che non è possibile vedere, tra quello che è possibile vedere ma non è possibile definire con certezza. Per la sua posizione fisica è posta tra quanto di più conoscibile possiamo concepire, la terra, e quanto di più volatile e privo di limiti conosciamo, il cielo. Giace nel solco di una doppia identità, tra la determinatezza materiale e l'indeterminatezza ontologica, come coincidentia oppositorum di materia e spirito. Guardare le nuvole può diventare un'arte, arte che trasforma la contemplazione passiva in attiva azione tassonomica. Guardare le nuvole significa interpretare, codificandole in un continuo perenne, le forme che vanno cambiando contro lo schermo neutro del cielo. Ci guida lo sguardo, che scopre sereno l’orizzonte che divide la terra dal cielo, sguardo che si sofferma sullo spazio che non c'è, cercando di scoprire quale sia il loro segreto. Forma ambigua che evoca, all'incontro con il metereologico, un simbolo della limitazione del tempo cronologico.
.- Finito e infinito. La finitezza del tempo viene retta con polso fermo dalla mano divina, il cielo. Il segreto è ben custodito, nel ventre ombroso e umido del tempo metereologico. La nuvola ci comunica al tempo stesso l'idea dell'infinitezza, dell'indeterminato, di ciò che non è possibile e non lo sarà mai, pena la morte della rappresentazione. E’ una messa in scena di un'infinito borghese, che come l'abisso di Pascal ci aiuta ad avvicinare l'atto al desiderio e il pensiero alla parola: "…Je veux lui faire voir là‑dedans un abîme nouveau. Je lui veux peindre non seulement l’univers visible, mais l’immensité qu’on peut concevoir de la nature dans l’enceinte de ce raccourci d’atome ; qu’il y voie une infinité d’univers, dont chacun a son firmament, ses planètes, sa terre…" (Pascal, Pensieri). E' un infinito inquieto e erratico, che nega la precisione della geometria, più amico dell'occhio e dei sensi. Come simbolo la nube è unità dogmatica di terra e cielo, indissolubile legame della materia con lo spirito. Ariel e Calibano in eterno conflitto lacerano l'anima di un Prospero smarrito. La Nube annuncia Tempesta. Luogo di mezzo, ospita acqua e fuoco, è mossa dall'aria ma è indispensabile alla terra. Indica l'unità nel cielo, l'unità di comunione escatologica, l'unità della morbidezza sensuale ché la nuvola amoreggia con il cielo nouminoso dell'intelligenza divina, perfetta fusione di tempo astratto e tempo concreto. La nuvola è segno che individua, sia pure in modo perverso, l'insolita idea di una terra di mezzo. Lo spazio che la nuvola nasconde è spazio infinito, misteriosamente senza tempo. Metereologico, come l'hortus deliciarum, hortus conclusus, hortus passionis, che contrappone al paradiso terrestre, come uno specchio, la Gerusalemme promessa, luogo divino che il cielo riflette. La nuvola è questo specchio, questa metonimia che mostra nascondendo e che nasconde mostrando. Le bianche nuvole, cariche di pioggia e di sogni, non sono così innocenti come sembrano. La 'mise en abime' del segno e del sogno comporta il tentativo di ridurne la fenomenologia alle sole qualità sensibili.
.- E' la vecchia storia del pennello e dell'inchiostro (Hubert Damisch, ‘Teoria della nuvola, per una teoria della pittura’ 1984). Pennello e l'inchiostro sono per la Cina le due sole possibili componenti della pittura. Ciò che l'uno o l'altro rappresentano separatamente non conta, perché entrambi, pennello e inchiostro, sono parti indivisibili di un tutto. L'uno può stare al posto dell'altro e l'altro al posto dell'uno. Quest'azione apre all'unità corpo e spirito, percezione e segno, esprit de finesse ed esprit de geometrie. La ratio tecnica (ma quale dei due la rappresenta?) è indivisibile dalla forma, poiché il braccio sostiene nel gesto il pennello, lo scorrere silenzioso della traccia d'inchiostro sulla carta. Dalla forma percepita, dall'azione comune, ecco apparire sulla carta il segno/pittura. E' la forma spirituale della fisicità del segno come metafisica del soggetto percipiente, di colui che, al medesimo tempo, né è anche l'estensore. Così il pennello e l'inchiostro diventano le forme simboliche della maestria dei pittori cinesi. Trasferiscono connotazioni e denotazioni dall'oggetto al segno, per riempire la sottile materialità della carta. Questo ci porta ad intendere una possibile classificazione, che dia un indice alle qualità numeriche e all'azione connotativa. Si può dedurre una tassonomia metereologica, un principio morfologico, che attenga alla chiarezza e alla distinzione. Dalle scienze della natura possiamo dedurre il criterio della riproduzione, secondo assi cartesiani che individuino le possibili funzioni, piovasche o temporalesche, nella loro riduzione a pure corrispondenze di segni.
.- A tale segno, tale funzione: nuvole a pecorelle, acqua a catinelle. Ruskin individuava un certo numero di varianti, attraverso cui si può dar forma alla nuvola, poiché nel passaggio dalla funzione metereologica a quella rappresentativa si possono elencare un gran numero di segni e di icone. Le nuvole di Ruskin sono nuvole didattiche. Ci illustrano una tecnica pittorica che consiste nella messa in prospettiva del cielo. Siamo certo distanti dagli abissi beaudleriani, dai riflessi abbaglianti degli aforismi di Pascal. Ruskin sembra intuire i rischi del passare dal tempo meteorologico a quello cronologico. L'infinito di Ruskin è un infinito di pura quantità, un infinito geometrico. La nostra nuvola rappresenta egregiamente questo infinito indivisibile. La rappresentazione eccelle il suo oggetto, poiché lo illustra senza indicarcelo. Contraddizione dei termini: parlare della morfologia delle nuvole significa organizzare un discorso razionale attorno a ciò che per definizione rende visibile la forma dell'aria, del vento, del nulla di cui è fatto. Come è possibile dar forma a un discorso intorno a ciò che non ha struttura, che non possiede tempo? Ciò che non possiede tempo non si dà e non si può dare neppure nello spazio, che del tempo è la forma che noi comprendiamo. Eppure vediamo le nuvole, ne distinguiamo le grandezze e all'occasione, come i pittori cinesi, possiamo disegnarne i contorni. La sua forma, che muta come l'acqua o la fiamma del fuoco, e come queste non occupa il luogo da cui è esclusa per l'improbabilità aristotelica della sua massa. L'imprevedibilità della figura ne impedisce la figurazione, poiché non siamo in grado di dire un istante prima quale forma la nube assumerà un instante dopo. Così la nuvola non ha tempo, non ha ordine o successione, viene esclusa dalla causalità degli eventi atmosferici dal capriccio di uno scirocco o di monsone estivo. Possiamo prevedere la forma di un torrente, di un fiume, di una pozza d'acqua stagnante, riprodurre la tipologia delle sue forme interne. Nessuna predizione può accompagnare la forma delle nuvole e il loro disporsi contro la volta del cielo.
.- Le nuvole ci indicano l'azione sempre diversa di una forma nello spazio. L'insieme che ne risulta non può che affrancarsi da un paradigma troppo preciso, e si avvicina a un'idea impressionistica della realtà, dove lo spazio acquista la consistenza di un'ombra. Per disegnare le nuvole bisogna guardare al cielo, che come le nuvole e più di esse, non possiede forma. Per disegnare il cielo dividiamo un foglio di carta con una linea, in due parti. La parte che sta sopra rappresenta il cielo, quella in basso la terra. La nuvola rappresenta l'ornamento celeste, e come ogni ornamento ha molta importanza nel connettere i mondi: il cielo e la terra, nel ritmo dei segni del cosmo. Correggio, dipingendo la cupola del duomo di Parma dà al movimento un andamento a spirale, che fa somigliare le nuvole al fumo, e contrasta l'idea della nube disposta parallela alla linea di terra. " Se il Correggio, come sostiene Riegl, é stato il più vicino ai moderni e il primo dei barocchi, è perché i "contorni troppo scarni e serrati dei suoi predecessori non potevano bastare al suo spirito celeste.” La modernità del Correggio sta appunto nell’affrontare il tema delle nuvole non più come topos aristotelico, linea di confine e di solidità immaginale tra cielo e terra, punto d'appoggio di schiere celesti, bensì come fragile annuncio di manifestazioni epifaniche, di apparizioni che diventano messaggio di salvezza e liberazione. Le due cupole di Parma si contrappongono tra loro come cieli diversi. Per l'ascesa le nuvole sono elemento attivo di trasformazione. La contemplazione evoca la nube, l'imbarazzante spazio delle cupole parmensi, dove la pittura divora lo spazio architettonico, lo distrugge rendendolo magicamente privo di solidità.
.- La nube è veicolo di ascesa immateriale, e punto focale di una visione che rovescia le regole prospettiche dell'architettura. Il cielo si scioglie, fatalmente, oltre le nubi, e appaiono le schiere angeliche a supportare l'ascensione della Vergine. La pittura del Correggio sta tutta qui, nell'avvento di una piccola catastrofe, che si produce nello stesso organismo dall'incontro tra pittura e architettura. Le sue nuvole sono in apparente simbiosi con l'architettura, ma di fatto nessuna delle sue pennellate punta nella direzione della costruzione architettonica. La pittura si separa dall'ambiente e il pittore diviene protagonista di un luogo che non gli appartiene più. L'autonomia dello sguardo, privato dalla dipendenza del tatto, viene liberata da questo scorcio audace, che annulla e vanifica la fatica del costruttore. Si spacca prospetticamente la cupola, non nel suo centro geometrico, bensì crescendo secondo modalità anisotropiche col movimento delle nubi fuori dal centro simmetrico dell'architettura. La cupola si deforma, scoppia sotto lo sguardo impotente, arbitro unico dell'interpretazione, e trasforma il cerchio in ellisse, dissolvendone le qualità geometriche dall’interno. Il corpo si riappropria miracolosamente delle sue ragioni attraverso le superfici. Attraverso lo sguardo aggira l'astuzia dei costruttori di cattedrali, per tradurre con questo l' idea del pittore. Tutto sembra messo lì apposta per disturbare l'occhio, per scandalizzare lo sguardo. Le gambe tozze dell'angelo a calciare nel vuoto, dando l'impressione di essere sul punto di cadere, piuttosto che di accompagnarci nell'ascesa di cieli perfetti. Il visibile appare finalmente come manifestazione dell’invisibile, come nube gonfia d'abisso.
.- Ma torniamo al segno. Le 'nuvole barocche' rimettono in discussione il silenzio di Dio, riaprono i cieli all'immagine. Lo schema narrativo, nel quale la nube è indefinitamente sospesa, vien superato dal segno che introduce il movimento. Ed ecco apparire la modernità. Una volta entrati nella nuvola è difficile uscirne. Avere la testa fra le nuvole, ecco cosa si rischia. La follia, l'errore, la condizione patologica della melanconia, ma infine anche la piena realizzazione del sé. Con il tipico movimento dell'arte, si trasforma il patologico nel segno del proprio operare, della modernità, che troppo ha lavorato sullo sguardo ammalato, sulla deriva del vuoto. Patologico, come la visione imperfetta che rappresenta la norma. L'imprecisione lascia sempre e comunque una via di fuga. L'abisso, viceversa, è perfetto, come qualsiasi infinito. Si tratta però di cavar fuori la nuvola da sé stessa, restituendole il cielo 'celeste', privo di ambiguità cosmologiche. Cielo che, limpido o oscuro, si offra alle impurità di uno spirito parziale. Nelle nuvole domina un segno che non è definito, che sembra non aver referente. Non sempre si trova chiarezza nell'oscura latrina, nel profumo di sterco, nello sguardo che nega qualsiasi bellezza. Leonardo ci mostra macchie di muffa, incrostazioni e ditate unte sul bianco del muro, che possono trasformarsi a nostro piacere in scene di battaglie, paesaggi, boschi e profili di fanciulle. Così le nuvole hanno una realtà 'sporca', percettiva, fatta di 'illusioni', che nell'assenza o meglio, nel mutamento cinematografico della rappresentazione, ci abituano a perdere i referenti per strada. Un'arte, questa che ci insegna attraverso, una sublime metonimia, che tutto è senza referente, che l'arte è sola. Il suo oggetto, diventato invisibile, ha la stessa consistenza delle idee, la stessa sostanza della Repubblica di Platone.
.- Non di mimesis quindi, ma di anamnesis si tratta. Ricordi, nostalgie, sguardi angelici rivolti al passato, ecco il Novecento, che distruggendo afferma l'inutilità del tutto, soprattutto della storia. Non si tratta di un ricordo qualsiasi, di un gesto artefatto e un po’ dandy, bensì del ricordo che attiva la via del ritorno. Un suono, un colore, una sfumatura, valgono forse di più della precisione del rimando, dell'oggetto ben teso e disteso sul foglio. Ciò che conta, infine, è la nostra capacità di ricondurre al gioco infinito (infinito senza abisso) delle forme che emergono dalla memoria. E quand'anche finalmente la nuvola non assomigliasse a nient'altro che a sé stessa, solo questo è sufficiente: che la nuvola non assomigli ad altro che a sé, per renderla ancora più immagine e ancora meno ricordo. E allora la memoria si farà perfetta, arte senza referente, pittura senza icone. Immagini che non portino il ricordo nell'isola mortifera della conoscenza:" Che isola è mai questa, così triste e nera? E', qualcuno risponde, Citera. Celebrata nelle canzoni, banale eldorado per scapoli. Ed è, vedete, un povero paese." (C.Beaudlaire, Un voyage a Cytera,) Così ci ricordiamo il sogno di Cezanne: spezzare il dominio della figura per imporre quello dell'immagine, della sua volubile comprensibilità, della sua frammentaria leggibilità: “Frenhofer c'est moi”. La nuvola, incomprensibile intrico di segni, balbettio incosciente e primitivo, diviene annuncio del moderno, del capolavoro inconoscibile e sconosciuto. .- Sembra essere caratteristica delle nubi l'imprendibilità delle forme e l’impossibile anticipo dei confini. E' dunque il caso l'elemento che evoca la ‘tyche’ platonica? L' unico senso che ci sentiamo di darle, per non soccombere al caos, è quella lieve abilità di leggere continuamente forme, laddove non sono, ma appaiono, come proiezioni di immagini interne. La necessità del caso si trasforma in una performance tecnica, in un'abilità a disquisire sul nulla per non soccombere al nulla: “…Che è dio che governa tutte le cose e assieme a lui il caso e l’occasione favorevole. Attenuando un po’si può concedere che a questi fattori debba seguire al terzo posto l’arte (technè). Nel caso infatti di una tempesta ritengo che aver l’aiuto dell’arte di un pilota sarebbe cosa molto superiore a non averlo…” (Platone, Leggi, IV, 709-710). L'accordo tra caso e destino sembra fondarsi sulla nostra abilità di sentire all'unisono con la Fortuna stessa. L'impossibile previsione dev'essere piegata, o usata, dalla nostra capacità di tradurre forma casuale in forma significante, di trasformare le macchie di muffa in battaglie avvincenti, di tradurre la sorte in icona. Le leggi della fortuna, l'intrecciarsi casuale di abilità e previsione, gettano le basi di quest’arte difficile. La nuvola, la sua imprendibile morfogenesi, si decide quindi sul piano delle necessità.
Caso e techné ci possono aiutare a costruire e a distruggere qualsiasi modello visivo. E’ imprescindibile l’unità delle due condizioni per 'scoprire', trovare 'euristicamente', muoverci nella incerta forma del mondo, nella forma che si colloca prima del suo divenire linguaggio, dentro la quale dobbiamo vedere, attraverso la quale dobbiamo imparare. La nuvola ci guida, grazie alla sua imprevedibilità, attraverso i frammenti di forme che rendono conoscibili i continui movimenti dei suoi contorni e della sua luminosità, e che, infine, rappresentano lo specchio della nostra infinita capacità di tradurre il caso in techné, nella difficile arte del vedere, del conoscere e del riconoscere.