Victor Burgin

Ça

Jeu de Paume

Place(s) 

Centre Photographique d’Île-de-France

 by M.B.

Victor Burgin ha praticato e usato la fotografia come forma d’arte arte sin dagli anni ’70, imponendosi come teorico della relazione tra immagine fotografica e movimento. Un percorso legato ai temi cari al filosofo francese Henry Bergson, in particolare la relazione tra la formazione di un’immagine e la sua contaminazione attraverso la memoria, che agisce come un substrato inconscio, indipendente dall’esperienza fenomenica provocata dall’oggetto percepito. Bergson ci ricorda che la memoria agisce come un elemento estraneo ai processi bio-fisici, e, in qualche modo, indipendentemente dalla struttura percettiva-sensoriale dell’essere vivente.

Il museo Jeu de Paume dedica in questi giorni un’importante retrospettiva al lavoro di Victor Burgin, che comprende sia le opere giovanili che le opere foto-testuali realizzate tra il 1970 e il 1980, così come la serie dei video realizzati tra il 2006 e il 2023.

Parallelamente il Centre Photographique d’Île-de-France ha dedicato allo stesso autore un’importante esposizione, Place’s, che mette in scena una serie di opere particolarmente emblematiche del suo lavoro, realizzate tra il 1976 e il 1984.

“... il mio lavoro fa appello ad una logica del sogno, piuttosto che al senso comune. Non destinata al consumo...poiché deve essere prodotta all’interno del processo attivo del vedere, leggere, comparare, interpretare...” ( V.B.)

Così dichiara Burgin, inserendosi in maniera attiva nella grande corrente dell’arte concettuale di quegli anni, che prevedeva, nella definizione dell’opera e dell’operare, una dimensione non passiva della fruizione, facendo appello cioè alle risorse culturali ed ambientali di colui che si trova di fronte all’immagine, correndo anche l’eventuale rischio che i significati ne vengano opportunamente stravolti e ridefiniti. L’esposizione del jeu de Paume, proprio per questo, coerentemente a queste premesse, esclude qualsivoglia contributo testuale o di descrizione delle opere, nonché possibili itinerari cronologici e ideologici della mostra.

Una voluta de-costruzione della rappresentazione cui corrisponde una riuscita de-costruzione della percezione del mondo fenomenico. Dal visibile all’invisibile, parafrasando Merleau Ponty, per far apparire le realtà prodotte dall’inconscio visivo, qui ricondotte ad una fenomenologia della memoria come realtà virtuale.

La relazione tra testo e immagine infine, tipica di una certa area concettuale degli anni ’70, contribuisce a creare una sorta di diffrazione epistemica, che di fatto produce un’anticipo di realtà aumentata. La psiche e i suoi fantasmi sono quindi l’orizzonte del decostruito mondo di Burgin, che pur lontano da ogni tentazione misticheggiante (più Freud meno Jung), affronta l’idea di una nuova forma di percezione allargata, destinata a comprendere in un’unico iato osservatore, osservato ed oggetto dell’osservazione.