Maurizio Barberis
Oggetti Smarriti
Il secondo principio della termodinamica ci dice che all’interno di un sistema chiuso le cose evolvono spontaneamente da uno stato di ordine verso uno stato di disordine. Non è mai possibile il contrario, che un corpo freddo possa naturalmente divenire caldo. L’evoluzione naturale del sistema procede sempre dal caldo al freddo, dall’ordine al disordine, dalla vita alla morte. Questa direzione dell’energia coincide con quella che possiamo eufemisticamente chiamare la freccia del tempo. Le cose scompaiono con il passare dei giorni, dei mesi e degli anni. Gli oggetti si deteriorano o semplicemente cambiano posto, generando continuamente nuove combinazioni, nuove aggregazioni che a loro volta inevitabilmente cessano di esistere e fanno scomparire le forme che li definiscono.
La macchina fotografica registra questo perdersi delle cose, questo continuo cambiamento di stato che avviene all’interno di un sistema chiuso. Non l’universo bensì il nostro universo, la nostra casa, genera irreversibilmente sempre nuovi stati di disordine che sono la premessa della scomparsa delle cose.
Fermare tutto questo comporta un continuo lavoro di messa a punto, una dispersione di energia che aumenta anch’essa col tempo. Non solo la freccia del tempo fa evolvere naturalmente un sistema verso la morte, ma riduce anche progressivamente l‘efficacia dell’energia necessaria a mantenere lo status quo del sistema stesso. Più passa il tempo e più aumenta la complessità del sistema, maggiore deve essere l’investimento di energia necessaria e più grande la quantità di energia che risulta dispersa, più veloce quindi il deterioramento non solo del sistema ma anche di chi il sistema deve tenere in vita.
Guardiamo gli oggetti a cui siamo affezionati e ci sorprendiamo a pensare ad essi con sempre maggiore indifferenza, come se il tempo, il disordine, li rendesse sempre più estranei e lontani. Attraverso la fotografia ci aiutiamo, con gioco consolatorio, a trattenere la perdita delle emozioni, il senso di estraneità che ci trasmette ciò che ci sembrava familiare solo un istante prima.
La casa e chi la abita sono dunque legati da un indissolubile patto di morte, vincolati dal tempo e nel tempo dal vano tentativo di opporsi alla scomparsa dell’episteme del mondo.
Closer: E’ iniziato tutto nella prima parte dell’estate del 2007.
Estate fresca, senza grandi picchi di caldo. Si ragionava bene e la luce era molto bella. Fu allora che cominciai a guardare le cose più da vicino, e quasi senza accorgermene, incominciai a muovermi spinto dal desiderio di giustificare quella specie di contatto tra le nostre esistenze, sino a quel momento parallele.
Per cercare delle convergenze, per provare la sensazione di appartenere allo stesso universo, qualcosa che il mio spirito laico volesse e potesse accettare. Gli oggetti mi apparivano fluttuanti, mobili, ma ciononostante ostinatamente privi di vita, pur dotati di un arcano potere di seduzione che risvegliava in me ricordi di vite passate. Ho incominciato proprio in quell’istante a rendermi conto del semplice fatto che avevo sempre cercato nelle forme relazioni e significati. Echi armonici di tempi remoti che potessero legarli al mio tempo, per porli in un ipotetico dialogo con la mia coscienza, dialogo sempre riferito all’immaginaria azione attraverso cui rivestivo l’immobile mondo reale di vita vissuta.
E’ stato così che ho incominciato a sentire. Ascoltavo le cose.
Parlavano tra di loro mentre mi avvicinavo silenziosamente, vicino sempre più vicino, per non perdere neppure una sillaba dei loro discorsi, cercando di non disturbare con la mia ingombrante presenza quel dialogo immaginato. Anzi, cercando di partecipare con il mio silenzio a quel loro affabulare nascosto.
Io sono colui che guarda e che guardando dona significati e attraverso di me le cose finalmente potranno sprigionare emozioni rivelare significati remoti e labirintici percorsi aprirsi definitivamente al dialogo col mondo.
Ma tutto questo apre una falla nel mio pensiero.
Che cosa dunque mi dà emozione? Ciò che vedo esiste realmente o è solo la vorticosa estensione del mio pensiero, la proiezione dogmatica dei miei sogni? Mi chiedo come possa esistere una qualche relazione tra la festosa materialità delle cose che dona gioia al mio sguardo e l’abisso tormentato dell’immaterialità dei miei pensieri. Esiste il mondo? Che cosa davvero sto guardando, che cosa si manifesta e che cosa si cela di fronte a me, quanti mondi possibili si nascondono al mio vedere, sfogliando l’albero magico delle relazioni possibili, intuibili, declinabili che non ho visto non vedo e non voglio vedere. Quali e quanti dunque gli universi possibili che le cose mi aiutano a percepire più da vicino?
Un breve calcolo e la ragione che ha sempre il sopravvento me ne indica due, tra i quali voglio scegliere quello che mi è più congeniale. Un primo mondo si apre al mio sguardo, un vedere che condivido statisticamente con il mio gatto, pur nutrendo il ragionevole dubbio che la bestiola, più intelligente, non voglia condividere i miei stessi timori riguardo alla natura delle possibili relazioni tra le cose. Percezione pura, che esclude qualsiasi forma di pensiero comune e condiviso col mondo dei viventi. Un secondo universo contempla solo l’esistenza puramente materiale delle cose, che vivono di vita propria e se ne fanno un baffo del fatto che io possa guardarle o non guardarle. Un mondo solitario, che non solo continuerà a esistere anche quando io, il creatore dell’universo dei loro significati, non ci sarò più, ma che neppure sentirà la mia mancanza. Questo dovrebbe portare necessariamente a interrogarmi circa la natura delle cose che vogliono sfuggire al mio vedere, del loro assurdo destino che le spinge nel tempo all’oblio di sé.
Ma la luce sta cambiando, il giorno volge alla fine e io devo e voglio scattare le mie fotografie. Mi assale una monotona malinconia, e la paura di non riuscire, sottomesso dalla forza della ragione, a cogliere più alcun sentimento nelle cose.
Infine chiudo gli occhi e mi chiedo se per caso un altro mondo, nascosto, ha reso tutto questo possibile e ha trasformato in piacere, del tutto autonomamente, quest’occhiuta relazione. Ciò che vorrei scoprire, e se la ragione mi dice di no il cuore mi dice di si, se esista un’ improbabile mondo segreto che non ne vuol sapere delle cose in se e neppure del mio sguardo affamato d’amore e di conoscenza. Un mondo silenzioso e oscuro, ma agente e che in questo preciso momento mi sta rendendo visibile il fascino delle cose, senza pur tuttavia costringermi a condividerne il difficile destino.
Vicino, molto vicino, sino a non percepire più nessuna differenza tra me e loro.