Objet Chandigarh, Repaired Modernism: Identità distinta e Identità universale

Patrick Parrish Gallery

A cura di George Gilpin

di Patrizia Catalano

Una mostra e una pubblicazione, ma soprattutto una condivisione di passioni tra Patrick Parrish proprietario dell’omonima galleria in NYC, George Gilpin tra le i più attivi esperti di design modernista nella Grande Mela e una serie di collaboratori di prestigio tra cui il britannico Simon Andrew, consulente d'arte indipendente, ritenuto un'autorità nel campo del design internazionale e dei suoi mercati. Objet Chandigarh, questo il titolo della mostra e anche del volume, è una raccolta di arredi che sono stati realizzati per la città indiana che vide come principali protagonisti della sua edificazione Le Corbusier e Pierre Janneret. Chandigarh voluta nel 1947 dall’allora primo ministro Nehru appartiene a quelle straordinarie utopie realizzate del modernismo. Capitale eponima del territorio settentrionale confinante con il Punjab e l'Haryana, Chandigarh fu concepita aggregando 50 villaggi rurali in seguito alla cessione di Lahore - ex capitale del Punjab - al Pakistan

Chandigarh fu inaugurata ufficialmente nell'ottobre 1953. Il nome è un composto della divinità hindi Chandi e di Garh, che significa fortezza. I progetti iniziali per l'ubicazione della città sono da attribuire all'urbanista americano Albert Mayer e al suo partner architetto Matthew Nowicki, la cui morte in un incidente aereo nel 1950 portò all'assunzione di Le Corbusier per progettare la nuova città. Sebbene avesse precedentemente declinato gli inviti a partecipare al progetto di Chandigarh, Le Corbusier fu convinto dagli architetti britannici Max- well Fry e Jane Drew, che gli fecero visita a Parigi appositamente per incoraggiarne il coinvolgimento. Scrive Andrew nel saggio introduttivo: “Dopo aver pianificato l'assetto generale della città, Le Corbusier progettò molti degli edifici amministrativi, tra cui l'Alta Corte, il Palazzo dell'Assemblea e l'edificio del Segretariato, effettuando diverse visite in loco ogni anno”. … “Tuttavia, è a Pierre Jeanneret che si può attribuire la maggior parte dell'architettura civile e domestica di Chandigarh”.

Per popolare un'intera città, comprendente vari edifici amministrativi, commerciali, educativi e domestici, Jeanneret progettò, co-progettò o avviò oltre 100 diversi modelli di mobili, tra cui sedie, sgabelli, divani, tavoli, illuminazione e mobili da ufficio, comprese le scrivanie, di ogni tipo e dimensione immaginabile. Continua Andrew: “Produrre un programma così vasto di arredi diversi sarebbe stato difficile anche in una società completamente meccanizzata. Per compensare il volume richiesto, il processo di progettazione è stato razionalizzato per ottenere un'identità distinta, ma universale. Identità distinta, ma universale, in grado di essere adattata, replicata e - cosa fondamentale - di essere realizzata a mano, con metodi tradizionali e legname autoctono, nei piccoli laboratori artigianali che costellano la regione. Adattando il profilo a V della sua sedia ‘Scissor’ del 1948 (per Knoll Associates, Stati Uniti), Jeanneret stabilì un elemento di design coerente che servì  come elemento funzionale e unificante con cui sincronizzare le esigenze di arredamento della città. Inoltre, la distribuzione degli arredi doveva essere sistematica, con la creazione di alcuni tipi di mobili specifici per determinati luoghi o edifici”.

Alla fine, la maggior parte dei mobili fu registrata con un inventario dipinto a mano e una coda di localizzazione sul retro, riconoscendo che questi arredi erano una componente integrale del più ampio concetto architettonico. Sotto la guida di Jeanneret, quindi, la città di Chandigarh maturò come entità risolta e completa, arricchita da un'identità universale”. Fu l'indipendenza post-coloniale dell'India, secondo Andrew, e le responsabilità politiche, sociali e amministrative ad essa associate a  creare un terreno fertile per questa utopia modernista: “Chandigarh ha fornito la città moderna completa: efficace, intuitiva e senza alcun elemento, dall'arredamento al paesaggio, che non fosse considerato come parte di un insieme olistico”.

La mostra raccoglie alcuni di questi arredi: non si tratta di riedizioni ma di opere originali che volutamente tessono i racconti di un vissuto lontano: “Si tratta di arredi che celebrano la storia vissuta con orgogliosa autorità, come guerrieri malconci ma eleganti. Attraverso le loro superfici stanche - con tappezzerie sbiancate dal sole, spaccate e alterazioni improvvisate - annunciano un onesto primitivismo, affinato dall'anima di generazioni di utilizzatori, in viaggio sempre più lontano dalla loro origine modernista. I loro mormorii emotivi sono essenziali, inimitabili e preziosi. Sono imperfetti, ma tanto più belli per la loro onestà jo- lie-laide. Sono oggetti riparati, ma non ancora restaurati. Come compagni di viaggio di Orfeo, non appartengono né a un mondo né a un altro, fossilizzati, sospesi in un ricordo di Utopia e non ancora pronti ad abbracciare il probabile prossimo”.

Patrick Parrish Gallery, 50 Lispenard Street, New York 26 ottobre - 22 novembre 2023
Mostra e volume a cura di George Gilpin  

Curatela editoriale Patrick Parrish                                                                                

Foto Balarama Heller, Design del volume: Flat Fix , Stampa, Wilco Art Books, Paesi Bassi.