FONDAZIONE ZEGNA
ARCHITETTURE STORICHE DELLA VALSESSERA E IL LORO HABITAT PROGETTO DI RICERCA PER L’ARCHIVIO STORICO ZEGNA

di Martina Barberis Casagrande

Ermenegildo Zegna (1892-1966) figura virtuosa della tradizione industriale laniera, è stato il fondatore del lanificio Zegna, realtà situata in un luogo speciale, a Trivero, a pochi chilometri da un bellissimo territorio in Piemonte. Erede di un’antica famiglia in cui vi erano già da tempo alcuni tessitori, Ermenegildo Zegna è una figura che incarna l’identità della valle, l’operosità del lanificio da lui voluto e la qualità del tessuto della lana. Sin dall’inizio della sua avventura, Zegna ha cercato di produrre tessuti attraverso una ricerca approfondita sulle materie prime migliori, ottenendo così prodotti di altissima qualità. Tutto questo è dovuto anche al luogo di produzione, a cui Ermenegildo Zegna fu sempre grato: questa “piccola” porzione delle Alpi, dove boschi, pascoli, alpeggi e monti sono protagonisti, ha permesso a Zegna di ottenere i tessuti migliori, un’acqua pregiata per la lavorazione della lana e un paesaggio incredibile che lo ispirasse nel suo lavoro. Da dove arriva la lana se non dalla natura, e perché non essere grati alla natura, che può essere valorizzata e protetta, restituendole quello che le viene in parte tolto, educando le persone sull’importanza del paesaggio, da cui l’uomo dipende. “La natura del lusso deriva dal lusso della natura”

Oggi Zegna è riconosciuto in tutto il mondo per la qualità dei suoi prodotti, dovuta a una certosina selezione di materie prime che giungono da terre lontane – Australia e Nuova Zelanda per la lana merino superine, Sud America per la vicuna, Africa per il kid mohair e la Mongolia per il cashmere – e che danno vita all’intramontabile eleganza della filosofia dell’azienda. Attualmente, Zegna continua il suo impegno nel dar valore alla Valsessera, grazie al progetto Oasi Zegna, risultato della promessa del fondatore di ridare alla sua valle quello che lei gli ha gentilmente fornito, custodendone così la biodiversità. Se già a partire dal 1929 vennero piantumati circa 500 mila alberi, dal 1938 al 1970 venne realizzata Panoramica Zegna, “primo, fondamentale passo verso la realizzazione di quel grande, rivoluzionario progetto di valorizzazione del territorio e salvaguardia ambientale che è all’origine dell’area protetta dell’Oasi” , quella stessa Oasi Zegna nata negli anni ’90.
Ermenegildo Zegna ha poi trasformato Bielmonte, “cuore di Oasi Zegna” , in un punto turistico importante, costruendo una località dedicata al turismo e agli sport invernali. Oasi Zegna è quindi tra i primi casi italiani di mecenatismo ambientale industriale: si è sempre collegato il concetto di mecenatismo all’arte ma la natura è arte, racchiude l’arte, umana e ambientale, ed è segno, strumento conoscitivo, quel segno descritto da Sant’Agostino come “una cosa che, oltre all’immagine che imprime nei sensi, fa conoscere qualcosa d’altro da sé” . Oasi Zegna fa inoltre parte della rete di eco-musei biellesi. Se per museo si intende uno spazio di raccolta di opere d’arte e oggetti avente un forte interesse storico-scientifico, per eco-museo il focus sono i siti che “documentano la vita e i mestieri tradizionali delle persone del luogo e mirano a identificare nuovi processi di sviluppoper il territorio, reinterpretando e attualizzando la tradizione” . L’identità del territorio è il fulcro degli eco-musei. A cosa servono quindi il mecenatismo ambientale, la storia e la tradizione di un territorio?
A ricordarci della nostra identità e della comunità da cui proveniamo, da un punto di vista umano e naturalistico. Il mecenatismo è la “tendenza a proteggere e beneficiare artisti e studiosi, motivata da ragioni di prestigio, oltre che di gusto”. Il mecenatismo era un concetto chiave per il Rinascimento italiano, specialmente per la famiglia Medici, a Firenze: se il capoluogo fiorentino fu un vero e proprio polo culturale, le scienze non erano certamente escluse dalla famiglia fiorentina, dal momento che non solo i grandi artisti si ritrovano nella corte di Lorenzo il Magnifico, ma altresì importanti scienziati e filosofi. Cosimo I De Medici si era interessato egli stesso agli studi di botanica, interesse che forse aveva tramandato ai famigliari e che l’Italia ha, in qualche modo, cercato di preservare. Non dobbiamo dimenticare il carattere italiano di proteggere le arti.
L’arte è leggere dentro di sé e la natura è spesso fonte di ispirazione per le arti e, se non la proteggiamo, perdiamo il valore creativo e culturale della nostra civiltà.

La natura è la nostra casa. Essa ci avvicina alle virtù, perché ci permette di meditare, di conoscere il Sé, come ci insegnano le antiche tradizioni Orientali. La loro filosofia si riflette poi nell’ambiente, nei giardini, nei luoghi adibiti alla contemplazione e all’ammirazione degli elementi della natura. Una filosofia a cui forse si è ispirato anche Pietro Porcinai alla fine degli anni ’60 per il progetto della Conca dei Rododendri di Oasi Zegna.

“Il capostipite Ermenegildo Zegna” racconta Michelangelo Pistoletto ad Anna Zegna “aveva visto la montagna non come un ostacolo all’attività industriale ma come meravigliosa opportunità. Era per lui fonte sorgiva di ispirazione, così come sorgive erano le acque che, scendendo a valle, azionavano le macchine tessili. Nei tempi moderni ci siamo allontanati dalle sorgenti e dalle radici, ma ora ci rendiamo conto che l’umanità, proprio attraverso la sua industriosità, deve riscoprire questi elementi basilari per garantirsi la sopravvivenza” .

L’Italia è piena di storie incredibili, di persone che si ingegnano nell’utilizzo delle migliori risorse del loro territorio. E la Valsessera quali storie racconta? È un luogo che ha avuto sempre a disposizione una grande quantità di materie prime: l’acqua, utilissima per la lavorazione della lana, minerali come argento, rame, ferro, carbone dell’Alta Valsessera e, ovviamente, il legno. Ma la zona è anche famosa, sin dai tempi antichi, per l’industria tessile laniera biellese che risale ai tempi degli antichi romani e si consolida successivamente nel Medioevo.

Il motivo per cui questo tipo di produzione ha continuato a crescere è dovuto alla lana che proveniva dalle greggi delle valli, alle manifatture artigianali e all’acqua, abbondante, leggera e di alta qualità. Un altro termine interessante, e che ci aiuta a definire ancor meglio l’identità di questo luogo, è quello di archeologia industriale. Per archeologia industriale si intende quella disciplina che studia i reperti e le testimonianze dell’epoca della rivoluzione industriale e i segni lasciati dal processo di industrializzazione nel territorio, nella cultura e nella società. In Oasi Zegna è possibile trovare, tra i segni di archeologia industriale, il filone argentifero sviluppatosi sulla Piana del Ponte. Nel sito – dove sono ancora visibili i resti dell’attività mineraria – ci fu infatti un importante sviluppo che ben rappresenta il termine sopra esposto. Inoltre vi era in zona una comunità di carbonai. Nell’area si trovavano infatti numerose carbonaie accese che servivano per la produzione di carbone da legna. “I carbunìn, dopo aver abbattuto e tagliato gli alberi, preparavano la piazzola da cui toglievano le zolle erbose e accatastavano la legna secondo un preciso ordine, fino a formare un cono che poi ricoprivano di terra avendo cura di lasciare un camino centrale per la combustione che durava all’incirca una settimana. Il carbone vegetale così ottenuto veniva raccolto e trasportato a valle per essere utilizzato nei lanifici e nelle tintorie” . Erano infatti gli stessi imprenditori lanieri a chiedere carbone vegetale per lanifici e tintorie. Testimonianze datate al 1230 ci permettono di capire che nel territorio era allora già esistente un’attività di tipo quasi “industriale”, anziché artigianale.
Nel Biellese, il rapporto tra artigianato tessile e industria tessile è stato infatti di fondamentale importanza, tale da creare appunto quasi una fusione tra industria e artigianato. Inoltre, l’industria del luogo è cresciuta nel tempo grazie a una manodopera altamente qualificata: gli artigiani I lanifici, prima delle moderne costruzioni in ferro, venivano edificati in legno, in particolare i dettagli della fabbrica e le ruote che davano moto al lanificio, così come i primi rudimentali macchinari. Un altro utilizzo del legno era come combustibile fossile per la produzione tessile. Tutto questo interesse per il legno, a fini commerciali, comportò un massiccio disboscamento che assunse livelli preoccupanti, soprattutto nel 1800: ci fu una grande diminuzione di alberi e, di conseguenza, una diminuita portata dei torrenti. All’inizio del XX secolo, lo sfruttamento dei boschi per fini industriali terminò completamente, anche grazie allo sviluppo di energia elettrica. È quindi di fondamentale importanza che le industrie proteggano le caratteristiche del luogo d’origine. Se questo viene deturpato, anche l’azienda decresce. Concetto che Ermenegildo Zegna aveva ben presente. lavoravano il tessuto direttamente nelle loro case, in virtù di macchinari artigianali che tenevano in loco. La manodopera era quindi già pronta e formata per quello che sarebbe poi stato il successivo sviluppo industriale. Altra questione importante riguarda sicuramente l’allevamento di bestiame in Alta Valsessera. Gli alpeggi erano già presenti a partire dal XII secolo e attualmente, nella valle, ci sono ancora esemplari di alpeggi assai ben conservati. Ermenegildo Zegna fu tra i primi promotori di un alpeggio modello, sperimentale, per un’organizzazione migliore dell’allevamento al fine di contrastare l’abbandono dei pascoli, dovuto allo sviluppo industriale. Nacque così l’Alpe Pilota, un sistema che l’imprenditore studiò come valida alternativa all’impiego in fabbrica, cercando di salvaguardare la storia e la tradizione dell’ambiente montano. Coloro che abitavano negli alpeggi erano i custodi delle montagne. L’attuale valle è quindi il risultato storico di diverse stratificazioni di mestieri. Senza l’uno, non ci sarebbe stato l’altro: il comune denominatore sono l’ingegno dell’uomo e la sua relazione con la natura.

Attualmente, la famiglia Zegna continua a prendersi cura del lanificio, della produzione di tessuti, dell’eleganza dei capi e, ovviamente, del “pensiero verde di Ermenegildo Zegna”, promuovendo tantissimi eventi e percorsi all’interno del parco naturale, al fine di cercare di sensibilizzare le persone per avvicinarle alla natura. Dalle diverse passeggiate tematiche sino alla scoperta delle proprietà terapeutiche del bosco, come nel caso degli alberi del Bosco del Sorriso (Bocchetto Sessera) intorno al quale è stata fatta una ricerca per meglio comprendere le loro proprietà e i loro effetti sul nostro sistema energetico e psico-fisico. In queste zone si trova un percorso bioenergetico, grazie a cui si impara a ricevere benefici dalle piante. Infine il Labirinto di Stavello, dove sono presenti antiche simbologie della Divina Madre, la natura. Un altro tema importante è quello legato al recupero della conoscenza delle erbe spontanee che crescono in valle.

Vengono organizzate anche lezioni Yoga che si prestano alla contemplazione del luogo. Un’altra storia molto interessante è quella di Matteo Marciandi (1898 – 1982), impiegato nell’azienda Zegna. Marciandi aveva un’enorme passione per la fotografia ed Ermenegildo Zegna decise di costruirgli una camera oscura all’interno del suo lanificio. Così, su incarico del proprietario, Marciandi documentò varie fasi delle lavorazioni laniere, oltre a diversi scatti che raccontavano la storia della valle. Quella di Marciandi è una storia che descrive l’animo di un bravo imprenditore: approfittare delle opportunità, invece di metterle da parte. Il pensiero verde di Ermenegildo Zegna nasce quindi sia per salvaguardare la bellezza del luogo, sia per motivi più pratici: per preservare il territorio, per preservarne l’identità e per far sì che la Valle non venisse abbandonata.

Zegna continuerà a prendersi cura del suo territorio, della sua cultura, della tradizione, della natura, del paesaggio e della diffusione di nuovi progetti. Valorizzerà, come già è stato fatto, le antiche architetture del luogo, come l’Eremo di Maria, Baita Cesira, la Polveriera e darà vita a un eco- villaggio su Piana del Ponte, un progetto in linea con il periodo storico che stiamo affrontando.

La Valsessera e quattro architetture storiche: Eremo di Maria, Piana del Ponte, Baita Cesira e Polveriera. Cosa c’era, cosa c’è, cosa ci sarà

“Se l’architettura è l’espressione di sintesi delle esigenze dell’uomo, condizionata dal contesto territoriale in cui i bisogni si sono sviluppati, ancor più l’influenza è esplicita nell’architettura alpina, dove lo studio sul costruito non può prescindere dall’ambito paesaggistico correlato, assegnando al termine paesaggio il significato ormai accreditato di sistema complesso multi valore”

 Nell’approfondire queste quattro realtà - l’Eremo di Maria, le architetture di Piana del Ponte, Baita Cesira e Polveriera – è egualmente importante comprendere il contesto paesaggistico, storico e sociale in cui vennero costruite. Le architetture, specialmente quelle storiche, rendono testimonianza degli usi e costumi della società in cui si trovano. Fanno parte della storia di un luogo, lo caratterizzano. Quando decidiamo di esplorare nuove culture, viaggiando, scegliamo un posto piuttosto che un altro in relazione allo “stile” di quel luogo, al paesaggio, alla sua identità. L’uomo è parte integrante di un paese e le sue architetture sono ciò che più lo rappresentano. L’Alta Valsessera, di cui fa parte il territorio di Oasi Zegna, è enormemente ricca di dettagli e di comunità che si sono intervallate su queste splendide e imponenti montagne. Un tratto tipico del bel paese è la varietà culturale dei suoi approcci. Tutte le diverse stratificazioni ne definiscono l’identità.

Le quattro realtà da approfondire sono molto diverse una dall’altra eppure hanno un filo conduttore comune: il territorio in cui sono situate, dove si sono intervallati alpeggi di pastori, filoni minerari, materie prime di qualità e un territorio con una flora e una fauna uniche. Recuperare le architetture storiche vuol dire non solo rispettare l’identità del luogo ma anche lavorare su un concetto di sostenibilità. I materiali con cui erano state costruite sono il simbolo dell’habitat che le circonda e recuperarli è sicuramente sinonimo di rispetto per la natura e il paesaggio circostante, poiché le quattro strutture sopra citate possiedono un forte rapporto con il loro territorio. Tra le diverse tipologie prese in considerazione, quelle forse più conosciute sono le “teggie”, architetture nate, come afferma il geologo dottor Biasetti, dall’utilizzo dei diversi materiali reperibili in valle. Nel Bocchetto Sessera, poco distante dall’Eremo di Maria e dalle altre strutture, è situata la famosa Linea Insubrica, risultato di uno scontro tra due placche continentali, quella Europea e quella Africana. È un luogo di forte interesse geologico, poiché il transito della Linea Insubrica separa la catena principale delle Alpi Centrali da quelle calcaree meridionali. È la stessa Linea che prende nome dagli Insubri, popolazione di cui si ipotizza l’origine celtica. Su di loro scrisse lo storico Tito Livio, secondo la cui testimonianza l’Italia Settentrionale subì ripetute invasioni dalle popolazioni provenienti dalla Gallia (il nome di Trivero, dove si trova il lanificio Zegna, potrebbe avere origine dalla tribù gallica del Treveri o dalla voce celtica treba). Questa valle è quindi ricca di storia e tradizioni e, nel corso del tempo, ha accolto diverse comunità. Tutto questo ha naturalmente influenzato la locale tradizione architettonica.

A seconda della posizione della Linea Insubrica troviamo diverse tipologie di rocce: a nord, ci sono quelle metamorfiche che è possibile spaccare in lastre e da cui derivano le “lose” o “piode”, mentre a sud della linea, nella Valsessera, è reperibile invece il granito, una tipologia di roccia più difficile da sfaldare, ragion per cui nella zona si trovavano pochi tetti in pietra, sostituiti generalmente da quelli in felce. Per questo motivo, troviamo le tipiche “teggie” - o le “taragn” nella vicina Valsesia - alpeggi che ricordano un’architettura celtica di cui oggi rimangono ben pochi esemplari in Italia, poiché necessitano di continua manutenzione. Per la costruzione del tetto delle teggie venivano utilizzate erbe selvatiche come felci, sovrapposte in modo tale che non piovesse all’interno, oppure altre tipologie di piante, come le ginestre o le foglie del luogo. “I materiali da costruzione delle case alpine” scrive il geologo Massimo Biasetti9 “sono fondamentalmente legno e pietra e l'equilibrato accostamento di questi materiali dipende soprattutto dalla possibilità del loro reperimento. Per questo, gli abitanti della montagna hanno elaborato diverse tecniche costruttive con le quali poter utilizzare al meglio il materiale presente a breve distanza dalle zone da edificare. È quindi evidente come le caratteristiche ambientali abbiano inciso in modo determinante sull'architettura montana e come, tra queste, rivesta un'importanza fondamentale l'aspetto geologico, in quanto le rocce rappresentano i materiali da costruzione principali. L'alta Valsessera offre una certa varietà di tipi costruttivi ed è interessante constatare come questa varietà sia strettamente legata ai diversi tipi di roccia disponibili in loco e alle loro possibilità d'impiego. Suddividendo i vari alpeggi presenti in valle secondo le loro caratteristiche costruttive e collocandoli su una carta geologica, risulta evidente come ogni tipologia architettonica sia legata a un tipo di roccia ben preciso e sia quindi circoscritta ad aree geologicamente definite [...]. Per inquadrare i rapporti esistenti tra architettura e geologia, bisogna classificare le rocce in base al loro impiego quale materiale da costruzione. L'utilizzo della roccia è infatti legato alle sue caratteristiche fisiche: compattezza, sfaldabilità, possibilità di essere squadrata, ridotta in lastre.
In particolare è possibile suddividere le rocce presenti in Valsessera in due grandi categorie:

  • le rocce facilmente riducibili in lastre, costituite da micascisti e gneiss (rocce metamorfiche)

  • le rocce a struttura massiccia, più o meno facilmente squadrabili, rappresentate dalle rocce magmatiche, come le sieniti e i gabbri


    A questo punto occorre evidenziare che la Valsessera, a differenza della gran parte delle Alpi, è povera di rocce appartenenti al primo gruppo. Queste, essendo facilmente sfaldabili in lastre, oltre ad essere utilizzate per le murature, rappresentano il materiale primario per le coperture degli edifici di montagna: le “lose”. L'area in cui si trovano queste rocce è l’alta Valsessera, a monte dell'alpe Piovale, e la valle della Dolca. Gli alpeggi che ricadono in questa zona erano infatti originariamente costituiti da edifici ricoperti in lose [...].
    Come già descritto, nel resto del territorio affiorano rocce di tipo magmatico intrusivo (gabbri, sieniti), a struttura massiccia, che non si sfaldano in lastre e pertanto non possono essere utilizzate come materiale di copertura. Per supplire a tale carenza si è provveduto a ricoprire gli edifici con materiale vegetale di vario tipo. La ‘teggia’ (dal gallo-latino ‘attegia’, capanna, baita) è appunto la costruzione più frequente e tipica della valle”. Per ciò che riguarda la vegetazione, troviamo diverse tipologie di vegetali protette, a seconda dell’altezza dell’area e delle particolari situazioni microclimatiche: moltissimi faggi, poi castagni, querce, ciliegi, larici, betulle, noccioli, pioppi tremoli, saliconi, ontani, acero di monte, tiglio, frassino e diverse specie di conifere come abete rosso, abete bianco, larice, pino uncinato e pino laricio. All’interno di Oasi Zegna, più della metà degli alberi sono faggi. Quando Ermenegildo Zegna comprò l’area, la parte a sud del territorio conteneva pochi alberi e serviva principalmente per il pascolo. Questa terra brulla non tratteneva l’acqua ed era quindi un problema anche per le possibili frane. Ermenegildo Zegna decise quindi di piantumare alberi, il cui numero oggi ha superato abbondantemente i 500mila alberi messi a dimora dal fondatore. Tra le tipologie più comuni presenti, c’è quella dell’abete rosso, che caratterizza gran parte del paesaggio di Oasi Zegna. Gli abeti rossi, a causa del cambiamento climatico, sono attualmente poco propensi a crescere in quest’area: si trovano nel clima sbagliato, e, avendo bisogno di zone più fredde, rischiano di ammalarsi. È stato quindi deciso di piantumare all’interno dell’Oasi diverse tipologie di alberi, grazie al progetto Zegna Forest. Più faggi, abeti bianchi, querce e carpini, per diversificare la vegetazione e renderla meno favorevole ad attacchi esterni. Più le tipologie di alberi sono diversificate, più è difficile che vengano attaccati da malattie o altre problematiche, diventando così una “comunità” resistente.

Il paesaggio vegetativo deve essere il più naturale possibile, diversificato nella specie, nella struttura e nell’età. Questo vale anche per il paesaggio intorno alle quattro realtà citate. “Alcune specie proposte dagli esperti di un secolo fa non sono più adatte alle temperature di oggi. È indispensabile che gli interventi forestali tengano conto del cambiamento climatico” sostiene il dottore forestale Corrado Panelli “la gradualità degli interventi non sta alterando la percezione del paesaggio: i luoghi «iconici» restano inalterati e manterranno la loro tipicità paesaggistica”

1. Eremo di Maria

L’Eremo di Maria sorge a 1300 metri di altezza al Bocchetto Sessera, poco dopo gli ultimi grandi faggi del Bosco del Sorriso. L’Eremo, oltre a essere un luogo in cui sostare, è anche una struttura dove poter ammirare la fusione unica tra architettura e natura e dove è possibile studiare l’architettura tradizionale del luogo. Si tratta infatti di uno storico insediamento alpestre: la cappella, che sorge sui ruderi di un antico alpeggio, è stata costruita in armonia con la struttura originale. L’Eremo è infatti il risultato - grazie a una rispettosa ristrutturazione di Oasi Zegna - della bonifica dei ruderi di quest’alpeggio: “ogni singola pietra - il legno che sorregge la copertura, il masso incorporato nella muratura, i monoliti che formano il pavimento - sono emanazione del luogo” struttura rappresenta quindi un’architettura costruita con materiali naturali, dove elementi come pietra e legno fanno parte del luogo d’origine e ci permettono di immergerci ancora di più nell’ambiente circostante. La semplicità delle decorazioni dona a questo luogo un senso di pace che favorisce la meditazione e la preghiera. L’Eremo di Maria è quindi un esempio importante per la preservazione del sito storico.

 

“La cappella alpestre denominata ‘Eremo di Maria’” racconta l’architetto Giovanni Vachino “è stata edificata in Alta Valsessera, a breve distanza dal Bosco del sorriso. È questo un luogo storico: l’Alpe Montuccia era già nominata nel primo documento medievale che si riferisce alla Valsessera. Non si tratta di una nuova costruzione ma della riedificazione dello storico insediamento alpestre. La cappella infatti sorge sui ruderi dell’antico alpeggio, del quale ha riutilizzato le pietre, mantenendone invariato il perimetro, la conformazione - integrata soltanto con un piccolo abside coperto a semicupola - e l’orientamento. Soltanto la destinazione d’uso è stata modificata: da luogo di lavoro degli alpigiani e dei margari a sito votato al pensiero interiore, alla meditazione e, per chi lo desidera, alla preghiera. L’edificio stesso è un’emanazione del luogo: ogni sua componente - le pietre della muratura perimetrale (volutamente asimmetrica), i monoliti lavorati e rifiniti a scalpello per formare il pavimento, le aperture prive di serramenti e protette solo da un vetro a fusione, la soglia dalla conformazione irregolare, il legname secolare che sorregge la copertura (recuperato da edifici diroccati), la massicciata a contenimento del terreno - tutto è stato tratto nella Valle per essere qui ricollocato. Il grande masso incorporato nella muratura del lato Est sembra essere lì da sempre, ma è stato prelevato a poche centinaia di metri dal luogo nel quale è stato poi portato. Il senso di pace e di raccoglimento che si percepisce nell’interno, favorito e forse stimolato dall’ermeneutica della sobria decorazione, deriva - forse- anche dalla percezione di queste scelte”.

2. Piana del Ponte

Piana del Ponte è situata a 1050 metri di altitudine nei verdissimi territori dell’Alta Valsessera - sulla sponda sinistra del torrente omonimo - ed è raggiungibile attraverso il Bocchetto Sessera.
Il nome deriva probabilmente dal ponte di origine romana - costruito sul torrente Sessera, affianco ad antiche strutture che lavoravano il metallo - punto di passaggio obbligato lungo la strada che dal Bocchetto Sessera conduceva alla Boscarola.

La zona era ricca di materie prime e di minerali come magnetite, piombo, argento e oro, estratti nella vicina Argentera e poi lavorati a Piana del Ponte. Nella valle si trovano resti archeologici che documentano il lavoro e la manifattura dell’uomo in quell’area. Piana del Ponte e dintorni sono quindi un sito archeo-minerario, importante testimonianza dell’attività di estrazione e lavorazione di minerali e metalli. Già a partire dalla fine del Medioevo, i Savoia promossero l’arrivo di un folto gruppo di maestranze germaniche, abili nel trattamento dei minerali, che si diffusero nelle valli Sesia, Sessera e Cervo. Piana del Ponte fu particolarmente attiva come fonderia proto-industriale del XVIII secolo, funzionalmente collegata all’Opificio in riva destra Sessera e alla miniera Argentera superiore. Nell’edificio della Fonderia, oggi totalmente diroccato, avveniva infatti la raffinazione dei minerali estratti dall’Argentera. L’area di Piana del Ponte conserva quindi diverse testimonianze sulle lavorazioni e sulla manifattura pre-industriale, la cui architettura ne rispecchia pienamente la storia. “Nel complesso si trovava un grosso edificio dove venivano lavorati i metalli” racconta il geologo Massimo Biasetti, “nell’area erano state costruite baite con tetto in pietra – poiché in quell’area era possibile trovare qualche pietra sfaldabile, utilizzata per la copertura delle case – e degli alpeggi con copertura in felci. La storia è stratificata, all’inizio Piana del Ponte era un’area adibita alle miniere, poi è stata utilizzata dai pastori. Era un luogo molto popolato. Attualmente, le architetture sono state rifatte con lastre in pietra e tetto molto ripido, originariamente quel tipo di struttura aveva un tetto in pietra più dritto”. A differenza delle teggie, per i tetti in pietra non era necessaria una pendenza eccessiva poiché non occorreva proteggere il materiale dal ristagno d’acqua, come nel caso delle felci. Bastava un’inclinazione del 40%. Il complesso di Piana del Ponte è quindi molto ricco e stratificato: è possibile trovare strutture architettonicamente tipiche di montagna con materiale in pietra, le teggie che oggi non ci sono più, il ponte romano sul Sessera e, infine, poco più avanti, i resti archeologici che testimoniano la lavorazione metallurgica. Dalla primavera all'autunno è tappa ideale per gli appassionati di escursionismo, gite a cavallo e mountain bike. In futuro, Oasi Zegna ha intenzione di costruire un eco-villaggio, ovvero l’insediamento di una comunità che vive ponendo al centro la sostenibilità e lavora a contatto con la natura. Un centro abitato dove l’uomo vive in armonia e coopera con l’ambiente circostante, un progetto di vita utile a livello ecologico, sociale ed economico.

3. Baita Cesira

Baita Cesira, situata a 1500 metri di altezza, è completamente immersa nella natura. La sua architettura è una rappresentazione della cultura e delle tradizioni della zona, grazie alla sua forma, ai materiali e ai dettagli della struttura, in interno e in esterno. I materiali con cui è stata costruita sono legno e pietra: il tetto è in pietra e poco ripido, come da tradizione. È situata in prossimità dell’agriturismo e del pascolo Moncerchio ed è stata ristrutturata da Oasi Zegna per permettere al visitatore, su prenotazione, di sostare, pernottare e godersi così un’esperienza a 360 tra la natura e i pascoli. “Baita Cesira è nata grazie al progetto LIFE, tramite i finanziamenti dell’Unione Europea” racconta il dottore forestale Corrado Panelli “la struttura è stata costruita ex novo: abbiamo trovato nel suolo un perimetro in pietra e, grazie a quei resti, abbiamo deciso di costruire tutta la baita. Lo scopo era quello di utilizzare baita Cesira come rifugio per i ricercatori che studiavano il Carabus Olympiae, una tipologia di coleotteri sviluppatosi solo in Alta Valsessera. Vicino a baita Cesira è stata recuperata anche una teggia, ricostruita secondo i canoni originali. Terminati i cinque anni di ricerca, la baita è passata sotto la tutela di Oasi Zegna, che la utilizza come rifugio per sostare la notte tra le meravigliose montagne della ValSessera”.

Studi condotti sulla specie Carabus Olympiae evidenziano come questa frequenti i rimboschimenti che spontaneamente evolvono verso formazioni miste con latifoglie. Per questi motivi, nell’ambito del progetto LIFE, sono stati realizzati interventi a favore della rinaturalizzazione dei rimboschimenti, con l’obiettivo di favorire l’insediamento e lo sviluppo della rinnovazione naturale delle specie più adatte alla stazione (faggio e altre latifoglie). Siamo parte del nostro habitat, di cui tutte le specie viventi hanno fortemente bisogno.

La polveriera

La Polveriera è situata a circa 500 metri di altezza, a pochi chilometri da Valdilana, verso Bielmonte. È una splendida Baita, da poco ristrutturata, con dettagli di pregio e un giardino privato con vista sul Monte Rosa, la seconda montagna più alta d’Europa. Il particolare di questa struttura è il tetto con copertura ornamentale superiore in felci, come da tradizione locale. La struttura era stata pensata da Ermenegildo Zegna come deposito in cui collocare, in sicurezza, polvere da sparo per la realizzazione della strada Panoramica. Attualmente la baita, da poco ristrutturata, è disponibile per pernottamento su prenotazione. La Polveriera ricorda l’architettura delle teggie dell’Alpe Cascinal: antichissime e piccole baite di montagna, utilizzate per alloggiare pastori e animali. Le teggie originali, a differenza della Polveriera, erano capanne alte poco più di tre metri, con un tetto di travature in legno e falde molto inclinate per favorire lo scarico delle acque. Avevano anch’esse una copertura in felci (o ginestre, a seconda dell’altitudine), erano costruite in pietra, avevano piccole scale in legno e si immergevano perfettamente nel contesto in cui erano situate: dai materiali utilizzati per la costruzione, alla caratteristica forma a punta. Erano quindi costituite da un basamento di modesta altezza (2,5-3 m) in pietra a secco, solo più recentemente mista a calce. La teggia veniva situata strategicamente con un lato a ridosso della montagna, per limitare i danni del vento e delle slavine. Sembravano architetture di origine celtica, completamente in armonia con la silhouette delle valli perché ne accarezzavano la punta e si mimetizzavano tra gli alberi. Erano architetture semplici che servivano ai pastori durante la permanenza in alta montagna. Al piano inferiore della struttura, erano situate la stalla e l’area dedicata alla lavorazione del latte, mentre al piano superiore erano ubicati il dormitorio, il fienile e la legnaia. Quali sono state le prime teggie a essere costruite? Come vivevano le persone che vi abitavano? Sicuramente erano strutture che richiedevano una continua manutenzione: appena terminata la stagione delle nevi, i margari salivano per controllare il lavoro da fare nelle teggie, utilizzando felci appositamente tagliate nei mesi precedenti, tenute ammassate e compresse con dei pesi. Poche mensole a muro, qualche sgabello di legno e un semplice tavolo costituivano generalmente l’arredo di questi locali. Il geologo Biasetti racconta che La Polveriera si ispira al modello di una vecchia teggia, reinterpretata: è stata costruita rispettando l’architettura ma aumentandone le dimensioni.

Dal piazzale della Bocchetta Margosio si ha l’accesso diretto alla Baita: si tratta di un’area con straordinario panorama sulla Valsessera e sul Monte Rosa. La parola “bocchetta” si riferisce ai passaggi montani che venivano utilizzati durante la transumanza per entrare in Valsessera, valle ricca di pascoli ma poco accessibile, se non attraverso le antiche mulattiere. La storia degli alpeggi, fondamentale per la sopravvivenza delle comunità, si intreccia con la storia dell'insediamento umano in queste valli, poiché la natura del terreno offre scarse possibilità all'agricoltura. Nella valle, oltre alle teggie, si trovano altre architetture particolari, come i “crutin”, o “trune”, costruzioni interrate in pietra nei quali venivano conservate le tome, “un esempio unico di architettura spontanea”, come sottolineato nel libro “Alta Valsessera” di Fabrizio Lava. Si tratta di strutture costruite con ingegno per sopperire alle intemperie della valle, divenute nel corso del tempo simbolo architettonico del luogo.

La Polveriera è quindi un ottimo esempio di recupero di un’architettura storica che permette ai visitatori di Oasi Zegna, se lo desiderano, di sostare in questa struttura unica nel suo genere, immersa tra splendide montagne. Un’esperienza a 360 gradi: naturalistica, storica, architettonica e meditativa.

BIBLIOGRAFIA

·       Ermenegildo Zegna. Cento anni di tessuti, innovazione, qualità e stile, (2010), Skira, Ginevra - Milano

·       Chidozie Obasi, Born in Oasi Zegna, our road to tomorrow, (2023), Rizzoli New York, NY

·       Franco Grosso, Oasi Zegna, (1999), Leone & Griffa Editions, Pollone (BI)

·       Oasi Zegna, un viaggio nel pensiero verde di Ermenegildo Zegna, (2017), Mastergraph S.p.A

·       Fabrizio Lava, Alta Valsessera, (1994), Eventi & Progetti Editore, Vigliano Biellese (BI)

·       Fabbrica della Ruota - Pray Biellese, ALPEGGI, BOSCHI, MINIERE, mille anni di storia in Alta Valsessera, (1999), Edizioni Gariazzo, Vigliano Biellese (BI)

·       Studi e ricerche sull’Alta Valsessera, volume 2, (2002), DocBi– Centro Studi Biellese (BI)

·       Matteo Marciandi, fotografo per passione, (2022), DocBi– Centro Studi Biellese (BI)

·       Paolo de Vingo, Piemonte archeo-minerario. Miniere e opifici da risorsa strategica a patrimonio storico-ambientale, (2021), All’Insegna del Giglio, Sesto Fiorentino (FI)

·       Mina Novello, Ricettario di Cucina biellese, i menù dell’Oasi Zegna, (1997), Eventi & Progetti Editore, Vigliano Biellese (BI)

·       Giovanni Vachino, Aquile, argento, carbone, (2007), DocBi – Centro Studi Biellese (BI)

·       Rivista Biellese, (2013) DocBi – Centro Studi Biellese (BI)

·       Rivista Biellese, (2004) DocBi – Centro Studi Biellese (BI)

·       Maurizio Rossi, Anna Gattiglia, Gabriella Pantò, Rondolere. Un’area archeometallurgica del XVIII secolo in Alta Valsessera (Biella), (2008), All’Insegna del Giglio, Sesto Fiorentino (FI)

·       Giovanni Vachino e Marco Neiretti, La lana e le pietre. Il biellese nell’archeologia industriale: le valli orientali, (1987), DocBi – Centro Studi Biellesi (BI)

·       Materiale d’Archivio Fondazione Zegna, quadro sintetico a cura di Maurizio Rossi, Opifici e miniere di Sessera: da risorsa strategica a patrimonio storico-ambientale, (2014)

·       Giacomo Calleri, Alpeggi biellesi, (1966), DocBi – Centro Studi Biellesi (BI)

·       Massimo Biasetti, Rapporti tra architettura e geologia, gli alpeggi dell’Alta Valsessera, (1997), articolo pubblicato nel Bollettino DocBi – Centro Studi Biellese (BI)

·       Corrado Panelli, presentazione del progetto Zegna Forest, Tecniche di gestione responsabile della vegetazione, (2024)