Il tessuto tra sensi e mito

di Martina Barberis Casagrande

con un intervento di Michela Davo

Da bambina ero stata a Venezia a casa di un’amica e leggenda vuole che fosse stata abitata da Marco Polo, figura simbolo della via della seta. Mi ricordo che quella signora mi aveva vestita con tessuti colorati dipinti da lei, quasi più pezzi d’arte che stoffe. In quel periodo, ero rimasta incantata da un altro maestro veneziano (d’adozione) che ha aveva collegato questa materia con il corpo: Mariano Fortuny, di cui ricordo molto bene l’importante casa museo, a quel tempo per me un luogo straordinario. 

Dettaglio Museo Fortuny, Venezia - Henry Thoreau ©

Dettaglio Museo Fortuny, Venezia - Henry Thoreau ©

Che ruolo ha il tessuto nella nostra memoria? Sicuramente una funzione importante per le nostre emozioni e i nostri sensi, per il tatto, la vista e l’olfatto. Ci ricordiamo di un tessuto perché è appartenuto a una persona cara o alla persona amata di cui vogliamo tenere vivo il ricordo o, viceversa, ce ne vogliamo subito disfare per dimenticarla. Una macchia sul tessuto rappresenta il suo vissuto, la sua vita, è l’imperfezione che però non gli perdoniamo.

Il tessuto ha un ruolo importante non solo per esprimere ciò che siamo ma anche per rappresentare il luogo in cui viviamo, in relazione al nostro spazio. Una stoffa che abbiamo comprato in un viaggio lontano che rappresenta un’altra cultura, è il primo “souvenir” che raccogliamo: ci racconta una storia particolare. I tessuti sono simboli delle diverse tradizioni e dei metodi di lavorazione, degli usi e costumi di un popolo, dei diversi materiali: lana, seta, alpaca, lino, sintetico, dimmi che materiale ti piace e ti dirò chi sei. Sono sempre stata affascinata da quelle persone che sanno come riconoscere un buon tessuto, la sua tipologia, la sua storia, non solo attraverso una veloce occhiata fugace e superficiale.  

Oltre al corpo, ai sensi, all’uomo inteso nel modo più primitivo, il tessuto è stato anche protagonista di diverse mitologie: chi non ricorda la greca Penelope e lo stratagemma da lei ideato per ingannare i suoi nemici, per aspettare il ritorno di Ulisse evitando così di risposarsi con gli usurpatori, promettendo loro che avrebbe scelto un pretendente nel momento in cui avrebbe finito quel tessuto: di giorno costruiva una tela per Laerte, padre di Ulisse, di notte la disfaceva. Un inganno che forse sottintende qualcos’altro? 

Altri simboli, altre mitologie. Arazzi che raffigurano storie antiche o favole, tappeti che riprendono motivi ornamentali utilizzati per le preghiere. E poi la nostra storia, quella rinascimentale in cui i tessuti erano un’importante merce di scambio nel mediterraneo: la via della seta, i setifici di Venezia che spesso chiedevano ai loro grandi pittori di disegnare qualcosa che potesse essere raffigurato sui tessuti oppure i lanifici di Firenze, come quelli controllati dalla famiglia Medici. 

Non dimentichiamo poi la varietà dei motivi decorativi rinascimentali. È questo uno dei periodi storici più fertili per la produzione del tessuto. Uno dei motivi decorativi di maggior successo fu quello del melograno, simbolo di molte culture antiche (come quella Persiana), di fertilità e di immortalità. Eleonora da Toledo aveva questo prezioso frutto disegnato sul suo vestito quando venne ritratta da uno dei miei pittori favoriti, il Bronzino. Altro motivo interessante quello araldico. Divenne infatti sempre più comune, per indicare prestigio, raffigurare sul proprio tessuto lo stemma di famiglia o il motto del casato. Poi ci sono motivi che si ispirano alla tradizione orientale con elementi vegetali riprodotti sulle stoffe e di ispirazione persiana, cinese o indiana. 

 Infine nell’arte moderna e contemporanea molti artisti come, per esempio, la tedesca Anni Albers, hanno utilizzato il tessuto come mezzo artistico. 

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Chiedo alla giovane filosofa Michela Davo di scrivere liberamente un breve intervento sul rapporto tra tessuto e corpo:

Il fiore dell’Andalusia è la gonna zingara di Carmen che danza, ricorda un papavero rosso. Camaron de la Isla, forse la più grande voce flamenca, interprete di alcune poesie di Lorca ed Hernández, quando canta mira lo que te he traìdo: una rosa pa tu pelo y un vestido [guarda cosa ti ho portato: una rosa per i tuoi capelli e un vestito] rende omaggio a quella terra arsa dal sole, in cui il tempo è scandito dal suono delle nacchere. 

È difficile immaginare la musica flamenca e i suoi testi gitani senza pensare alle faralaese al mantòn de manila delle donne, all’abito tradizionale maschile, molto simile al traje de luzdei toreri, debitori come nessuno ai drappi rossi. Lorca, poeta per eccellenza del duende, ha fatto largo uso dei simboli tessili, scrivendo, ad esempio, di come Bajo las estremecidas/estrellas de los velones,/su falda de moaré tiembla/entre sus muslos de cobre [Sotto le tremule/stelle delle lucerne,/la sua gonna di moerro palpita /fra le sue cosce di rame] e, ancora, narrando del desiderio di Amnón per Thamar nei versi Mis hilos de sangre tejen/volantes sobre tu falda [I miei fili di sangue tessono/volanti sulla tua gonna], fino a regalarci l’immagine di quel vecchio che dirá: amor, amor, amor, /entre el tisú estremecido de ternura [dirà: amore, amore, amore,/nel tessuto tremante di tenerezza]. Il motivo erotico torna nei versi di Hernández Y hecho de alfombras y de besos hecho / tu talón que me injuria beso y siembro de flores[E intrecciato di baci e di tappeti/ il tuo tallone ostile bacio e semino di fiori], dove le stoffe son parte di un groviglio amoroso e si confondono con il corpo, senza, tuttavia, arrivare al grado di sovrapposizione che porterà Camaron a provare dolore al cuore, al respiro e al (e nel) cappello (por tu amor me duele el aire, el corazón y el sombrero).

Da qualche parte, Vincente Amigo sta ancora accompagnando qualcuno che canta Soy gitano y vengo a tu casamiento a partirme la camisa, la camisa que tengo [Sono gitano e vengo al tuo matrimonio per strapparmi la camicia, la camicia che indosso]… 

 di Michela Davo


 Recentemente, ho avuto l’occasione di visitare l’archivio storico della Rubelli a Venezia, azienda storica del tessuto veneziano che si distingue per le stoffe di damasco e i broccati veneziane che conserva al suo interno documenti tessili databili tra la fine del XV e la prima metà del XX secolo. Lo stilista Francesco Zampieri, con Sara Boatto, mi racconta che “le stoffe erano anticamente catalogate come gioielli per la loro preziosità, era un modo per esibire le proprie ricchezze. La via della seta, la via utilizzata tra Oriente e Occidente dal 1° sec. a.C. per i traffici e gli scambi culturali collegati al commercio, di cui la seta era il prodotto principale, fu il simbolo di Venezia. Un fenomeno in cui il tessuto faceva da padrone, un mezzo di comunicazione utilissimo per la conoscenza e lo scambio delle diverse tradizioni e culture, soprattutto di quella persiana, altro paese importante per la tradizione della tessitura. Si pensi al grifo, la creatura mitologica con il corpo da leone e la testa d’aquila, spesso rappresentato nell’araldica che è arrivato in Italia proprio grazie alla via della seta…”

 Sotto, una selezione di alcuni tessuti dell’archivio Rubelli che rappresentano miti, storie, racconti e aneddoti:

 Se si pensa a stoffe presenti nell’archivio, la ‘Leggenda dei 100 bambini’ è sicuramente tra le più interessanti: un tessuto cinese con ricami in seta che veniva donato a giovani coppie come segno di buon auspicio. L’altro è invece ‘Uchishiki’, un tessuto utilizzato dai monaci buddhisti durante le cerimonie. Nella cultura orientale i motivi ornamentali sono spesso rappresentati da un’asimmetria praticamente estranea alla nostra cultura tessile.

Poi, due tessuti italiani in velluto rosso: uno veneziano del ‘400, l’altro fiorentino, dove viene rappresentato il simbolo della nobile famiglia toscana a cui apparteneva, quella dei Peruzzi.

Il rosso è il simbolo della passione e sulla stoffa veneziana vi è infatti raffigurata una melagrana, simbolo per eccellenza di fertilità e abbondanza e, secondo gli antichi, frutto nato per volere di Venere dal sangue di Dionisio. Ma il rosso simboleggiava anche il potere, basti pensare al rosso porpora o alle stole di cui facevano ampio uso i ‘Procuratori di San Marco’, la più prestigiosa carica della Repubblica di Venezia, dopo quella del doge. 

 La stoffa chiamata ‘riga’ era invece considerata poco pregiata, dal momento che era creata dagli scarti e perché il motivo raffigurato causava un effetto visivamente poco piacevole. Per questo motivo, era un materiale utilizzato dalle classi di basso ceto sociale. La riga verticale era anche quella usata dagli schiavi, tanto che poi in Francia divenne un simbolo per gli intellettuali illuministi contrari allo schiavismo.

Ma il settore tessile è anche uno dei più inquinanti al mondo: quali potrebbero essere le innovazioni utili per non perdere le tradizioni, i racconti, il patrimonio storico e artigianale italiano e mediterraneo? Quali i tessuti più o meno inquinanti?