Un libro di Massimo Negri e Giovanna Marini

Le 100 parole dei musei

di Patrizia Catalano

Maurizio Barberis, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 2021

Le Cento Parole dei Musei è volume in cui si avvicendano cento termini posti in ordine alfabetico che restituiscono al lettore un’idea di quello che è oggi il complesso sistema museale. Questo rigore mi ha costretto a trovare una personale chiave di lettura, un percorso che unisse la ‘a’ alla ‘m’ per ritornare alla ‘f’ e via dicendo: un utile esercizio per ‘appropriarsi’ in modo assolutamente personale di un tema vario e complesso. Un manuale che costringe il lettore a sforzarsi nella lettura intercettando le argomentazioni che più gli sono utili. Questo comporta inoltre, per chi è orientato su tematiche di curatela, la possibilità di individuare ‘parole chiave’ legate ad altri ambiti, squisitamente tecnici, oppure di indagare su settori più strettamente di marketing piuttosto che di progettazione della struttura espositiva. Viene facile, dopo aver ‘scoperto’ il significato di un termine come ‘da chiodo a chiodo’ – che è legato all’assicurazione di un’opera nella sua movimentazione (dalla locazione d’origine al posizionamento temporaneo in un altro museo per esempio) – o dopo aver apprezzato voci come “professione museale”, che individua ben diciotto tipologie di professionisti operanti all’interno del museo, immergersi e appassionarsi alla lettura di parole legate al tema progettuale come ‘allestimento’, ‘architettura museale’, ‘illuminazione’ piuttosto che parole legate al ruolo del museo nella cultura contemporanea come ‘memoria’ (di cui sotto riportiamo integralmente la voce ndr), ‘etica museale’, ‘educazione’, ‘musealizzazione’, ‘museo’.

Maurizio Barberis, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 2021

Il lettore si troverà a condividere molte opinioni espresse dal volume ma si interrogherà anche su qual è il museo ideale contemporaneo. E’ un prodotto di ‘marketing’, in quanto luogo di intrattenimento, uno spazio di ‘educazione’ volto a sensibilizzare anche persone con difficoltà come i malati di Alzheimer (vedi voci ‘accessibilità’ e ‘memoria’), o altro ancora?Personalmente ho preferito immaginare un museo ideale, una perfetta mixologia delle molte suggestioni che gli autori offrono alla lettura. Innanzitutto mi piace l’idea di fidelizzazione al museo (magari a quello della propria città o regione). Vado al museo e so che verrò accolto da un ‘museum docent’ (termine usato negli Stati Uniti per indicare quella che noi più banalmente chiamiamo ‘guida’) con lo stesso calore in cui vengo accolto dal mio ristoratore di riferimento. Faccio parte di una comunità che condivide le scelte estetiche ed etiche di questo tempio delle emozioni. Il mio museo ideale è  un posto che sa comunicare molto bene i suoi valori e attraverso un’attività phygital sarò informata sui piani di azione, sulle novità, su chi sono i curatori e il direttore del museo dovrà invitare i suoi visitatori almeno una volta l’anno per raccontare le scelte culturali e strategiche in opera. Il museo sarà uno spazio dove dare appuntamento ad amici e conoscenti nella caffetteria o al ristorante a prescindere dagli eventi in corso. Avrà una biblioteca – archivio perfettamente aggiornata a cui poter accedere per lavorare. Certamente bookshop e merchandising non guastano, ma devono essere divertenti e stimolanti (al momento mi sento di citare come esempio, tra i musei visitati, il V&A a Londra e, in parte, il Peggy Guggenheim a Venezia).

Maurizio Barberis, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 2021

Museo open mind: quindi porte aperte alle comunità più eterogenee per etnia, appartenenza di fede, di idee. E poi certo, l’architettura, anche quella ha ragion d’essere, ma va detto che molti curatori e direttori hanno saputo aggiornare gli spazi museali in modo eccellente, mi riferisco al mio museo del cuore, Brera e all’operato di James M. Bradburne, così come alcuni architetti hanno saputo interpretare le necessità eclettiche del museo contemporaneo, e citerei, il Centre Pompidou di Piano + Roger come archetipo e il Whitney Museum of American Art sempre di Renzo Piano a Manhattan. Credo inoltre che valga la pena sottolineare qual è il ruolo di ciascun visitatore che entra in un museo affinché chi se ne occupa affini la propria strategia progettuale: ogni visitatore in realtà è a suo modo un collezionista virtuale delle opere in mostra. Io ‘colleziono’ Veronese, colleziono Bacon, colleziono Goja... E sono pronta a collezionare anche l’ultima opera stivata nell’archivio di un museo: mostratela! Come fanno a Glasgow con il Collection Center (leggi voce ‘deposito’)

Maurizio Barberis, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 2021

Memoria

di Massimo Negri

da ‘Le 100 parole dei musei’

La memoria è una facoltà particolarmente sviluppata nell’essere umano, ma presente anche in altri esseri viventi. La vita interiore della specie umana è intimamente connessa alla memoria, che costituisce anche il meccanismo di trasmissione delle esperienze e conoscenze da una generazione all’altra. Nel linguaggio dell’informatica la memoria coincide con il deposito di dati immagazzinati in un supporto, sia esso hard disk o pen drive. In termini individuali la memoria è la capacità di una persona di ricordar. In termini sociali la memoria è definita come collettiva. Il museo può anche essere inteso il deposito e lo strumento di comunicazione di questa memoria collettiva. Non esiste infatti un museo che non abbia a che fare con il passato, anche recente. Il museo lo documenta, rielabora, e comunica attraverso i pezzi della sua collezione, che diventano quindi i testimoni della memoria stessa. Ma le cose non sono mai semplici: su molti aspetti della storia la memoria non è affatto condivisa, anzi a volte volutamente cancellata o interpretata in maniera conflittuale, e quindi il museo inevitabilmente si prende la responsabilità di sostenere una specifica interpretazione. Questo vale anche in ambito scientifico, ad esempio nel conflitto tra evoluzionismo e creazionismo. In tutt’altro contesto è il caso dell’autenticità di documenti o opere d’arte, che viene garantita al museo sulla base della memoria e delle competenze dell’istituzione ma senza evidenza documentale. Si parla in questo caso di attribuzioni. se la memoria come processo è intangibile, essa diventa tangibile nel dispositivo museale attraverso l’attribuzione e il racconto di storie che sono destinate ad alimentare la memoria individuale e collettiva dei visitatori; l’importanza degli exhibits come portatori di memoria è confermata dal diffondersi di programmi riservati a malati di Alzheimer proposti dai musei a case di cura e istituzioni assistenziali nel tentativo di migliorare la condizione dei pazienti la cui malattia incide in maniera devastante proprio sui meccanismi della memoria. Infine possiamo ricordare la nascita di strutture “paramuseali” ( prive di collezione o di esposizione permanente, ma che del museo adottano alcuni linguaggi o funzioni) come le Case della Memoria. Emblematica quella di Milano, progettata dallo studio Baukuh e insediata nel vivace quartiere Garibaldi, dove hanno sede cinque associazioni(...) Un fenomeno storico largamente praticato, soprattutto nel novecento, che possiamo associare al concetto di genocidio, è quello di mnemocidio, cioè la pratica di cancellazione della memoria storica di un popolo. Nell’antichità questa è stata una pratica sistematica, e simbolicamente con l’aspersione di sale sulle rovine di una città distrutta si voleva indicare la damnatio memoriae. Sotto questo punto di vista i musei possono essere anche considerati dei presidi contro questo crimine.

Maurizio Barberis, Souvenir d’Italie, Aquileia, 2012