Anamorfica

IV. Epigrafie

di Maurizio Barberis 

“…Carmine. In questo non posso che essere d’accordo con te, e tuttavia mi resta una prevenzione per la cultura dell’arte. Non è un ingombro? E come fare a stabilire quale debba essere la cultura di un pittore? Per un letterato può sembrar più facile: ma per un pittore?

   Eftimio. Della cultura non si dà ricetta: ma, poiché la cultura nell’arte non è l’erudizione, cultura diviene solo quello che, entrando a far parte della conoscenza accresce la coscienza. Per un pittore potrà rimanere ineffabile, ma sarà quella che lo indirizzerà nella costruzione di un oggetto, e che lo sosterrà nella formulazione di un’immagine…” ( Cesare Brandi, Carmine o della pittura )

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In un celebre dipinto, una scena di genere, Mattia Preti rappresenta un terzetto musicale, tre figure sedute in concerto attorno a un tavolo, lividamente illuminate da uno scorcio di luce biancastra. Due figure con uno strumento musicale in mano, un flauto e una vihuela, mentre la terza, una donna, stringe tra le mani un ventaglio aperto. Nel gruppo il suonatore di vihuela é raffigurato di 'scorcio', di tre quarti, mentre la donna si trova di fronte allo spettatore, attenta al fraseggio. Il secondo musico, infine, volge le spalle al pubblico, lasciando appena intravedere il suo profilo. L'insieme  delle relazioni tra le figure del quadro, la particolare atmosfera dell'opera, ci tentano a un 'capriccio' interpretativo, che va sicuramente al di là delle pur colte e immaginifiche intenzioni del pittore. Potremmo definire questo dipinto come una sorta di anamorfosi concettuale, inversione di un tema classico, realizzata attraverso una serie di sapienti allusioni, sensazioni, più che analogie. Possiamo forse riferire il quadro a una icona classica molto diffusa a quel tempo, quella delle tre Grazie. Troviamo qui una sorta di inversione speculare del tema, che deforma, rivoluzionandone forse anche il senso, la disposizione originaria delle tre Cariti. L’opera offre lo schema classico della loro disposizione, pur alterandone la sequenza originale. L'insieme del quadro, la disposizione delle figure, il loro numero, l'allusione alla dimensione apollinea della musica, riconducono, per analogia, al tema delle Grazie, dove però la riduzione mondana, il concerto, ne perverte in un certo qual modo il senso, ovvero da segno di gioia ad oscuro presagio di morte.  

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Le Cariti sono un tradizionale simbolo ermetico, di anamnesi, di memoria del ritorno. Nel saggio che a loro ha dedicato da Edgar Wind, vien messo in luce il doppio significato del gruppo, inteso vuoi come memoria delle virtù sociali della gratitudine (restituire i benefici ricevuti), vuoi come memoria delle virtù perdute dall'anima nella caduta nella materia. Le Cariti rappresentano, nell'iconografia neoplatonica, un indizio del risveglio dell'anima, una guida che, come Ermes, riconduce al luogo natio. Aglaia, l'Ornamento, nel centro del gruppo, volge le terga a chi guarda, alludendo così alla conversio. Centrale, come centrale è il momento della conversione. Con le spalle al mondo, come dev'essere chi intraprende la via del ritorno.

Nel dipinto del Preti l'ordine è mantenuto, invertendo lo schema classicheggiante. Grazie a questo processo, di rovesciamento, le figure sembrano collocate fuori dalla rappresentazione, mentre chi guarda sembra stare al suo interno. Così la profondità si trasforma in superficie e il complesso gioco dei rimandi in semplice rapporto tra piani geometrici. Ridotto a semplice superficie, il dipinto può finalmente rappresentare la messa in scena dell'idea, ovvero il teatro di una rappresentazione che non vuole più solo descrivere il mondo, bensì vuole esserlo. Il quadro non si limita a deformare solo l'aspetto iconico dell’emblemata, ma, soprattutto, ne perverte il contenuto 'ideologico'. L'anamorfosi agisce, in questo caso, non solo come visione, ma anche come ‘idea’, idea che vive attraverso l’alterazione della prima figurazione.  L'opera del Preti è dominata da uno spirito luttuoso che, coerentemente alle premesse del secolo, inverte, anamorfizza, il valore positivo e salvifico del modello classico delle tre Grazie. I musicanti  sembrano intenti a una concertatio di morte, un'orchestrazione luttuosa, che si rispecchia perfettamente nello spirito controriformista del barocco. L'anamorfosi presenta così, in linea con la sensibilità dell'epoca, un volto funesto, dove la conversio, l’atopia anamorfica, si manifesta 'sub specie mortis '. 

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Lutto e scrittura. In un saggio dedicato alla scrittura epigrafica Armando Petrucci analizza un aspetto importante della poetica seicentesca, la sparizione della scrittura, il suo nascondimento, la deformazione della superficie architettonica, del velo concettuale cui la scrittura appartiene. La scrittura epigrafica non occupa più il luogo a lei destinato dalla necessità pittorica, ma invertendo il processo che unisce il segno alla superfice, deforma la materia sino a render indecifrabile il suo significato. Nel segno barocco, la materia si impone sul senso.

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

Fondamentale per la scrittura epigrafica, è la stretta relazione che si stabilisce tra  un segno e la superficie che lo ospita, o meglio, tra il segno e la materia.  A partire da ciò che potremmo definire come ‘latenza della rappresentazione’ inizia l'oscurità barocca del senso, che si contrappone alla lapidaria chiarezza della classicità. L'espressione del lutto, dove l'oscuramento della parola scritta rappresenta solo un sintomo della poetica dell' assenza, è uno dei grandi temi controriformisti. Segno e superficie si confondono, in un gioco anamorfico di simulazione e scomparsa. Alla pesantezza compatta della massa lapidea si oppone la morbida finzione della leggerezza della scrittura. Il movimento corrompe la fisicità della materia, la chiarezza della superficie del testo. La materia, divenuta mobile scrittura, si plasma a immagine e somiglianza della forma del movimento, senza manifestare più l'intellegibilità della parola.  

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

Il senso si oscura, come se qualcosa di mal digerito salisse dal profondo della coscienza barocca, turbando la nitida politezza delle superfici marmoree. La pietra si trasforma, si consustanzia alla parola. Il tempo della scrittura si specchia nel movimento della superficie che la rappresenta. Emerge da lì una coscienza ansiosa del tempo, del fluire rapido, dell'esistenza che corre verso la morte. La fissità lapidea della scrittura non simula più,  mentre la materia che imita un'altra materia annulla la metafora primaria della pietra, trasformata dal ritmo casuale del tessuto. Il simbolo diventa allegoria. L'intuizione del senso, la sua oggettivizzazione, trasforma la pietra, l'immobile simbolo, materializzandone il logos, casualità del tempo e della vita.  La scrittura cessa di essere svelamento e chiarezza, mentre annuncia l'avvento di un nuovo mondo, di una nuova apertura del significato.

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

La forma epigrafica può essere interpretata come una soglia, in cui la comparsa del nuovo viene anticipata dalla crisi dell'antico: " Non vale anche e proprio per l'autocoscienza della incipiente età moderna che alla linea di demarcazione tra il 'non ancora' e il 'non più', seguibile e indicabile nei suoi spostamenti solo ex eventu, debba precedere già in actu un'esperienza del trapasso dall'antico al nuovo, un trapasso che se non potesse essere riconosciuto e localizzato come soglia, tuttavia potrebbe, nella frattura tra attesa ed esperienza,  divenire consapevole come mutamento di orizzonte?" (M.Jauss, Apologia dell'esperienza estetica, ...........) 

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

Maurizio Barberis, Epigrafie, frame from ‘Spirit’, 2021

La soglia è il luogo del trapasso attraverso un esperire nascosto, che non appare nel presente, ma solo nel passato e nel futuro. Un territorio, il cui orizzonte giace nello spazio che non si manifesta ai sensi e rimane nascosto alla coscienza. Se lo svelamento comporta l'esistenza di un segreto, di un veritable movement  dall'interno verso l'esterno e dall'esterno verso l'interno, il modo classico vuole invece l'assunzione del significato una volta per tutte, la sua chiarificazione, come assioma, di verità chiara e univoca. Priva d'ombre e svelata una volta per tutte. L'oggettività del significati, della comunicazione, segue alla soggettività dell'espressione, ribelle al codice, emarginata dalla ratio conoscitiva. La 'corporalità' vivente della scrittura rappresenta l'esprit di un nuovo mondo. La forma comunicante, perdendo l'espressione, diviene oggetto, ma dovendo riacquistare la sua ragion d'essere sentimento, ridiviene trascendente nella relazione circolare con il soggetto, nella necessità di restituire il senso della vita alla comunicazione stessa. La parola tra soggetti è una possibile via, per un approccio alla conoscenza che parta dalle molteplici forme del sensibile, superando la staticità razionale della forma comunicante. L'oscuramento della chiarezza dell'epigrafe barocca, abdica all'interpretazione come meta manifesta dell'idealità soggettiva, del soggetto interpretante, e introduce il modo del segreto, favorendo una riduzione eidetica del sign graphique , tanto più importante, quanto più necessario alla relazione inter-soggettiva.

Maurizio Barberis, Conoscenza della luce, On the short sighted, Milano, 2020

Maurizio Barberis, Conoscenza della luce, On the short sighted, Milano, 2020

L'epigrafe tombale, ironia della sorte, è uno dei luoghi dove per la prima volta si manifesta la sparizione del soggetto, il lutto della scrittura. L'oggettività del sapere, del sapere scientifico, razionalmente fondato, diviene la manifestazione più evidente dell'ansia controriformista. Si concretizza attraverso la forma allegorica, in cui il tessuto leibniziano, il mondo come continuo, si pietrifica, oscura metafora della caduta del soggetto. Diviene pietra non solo l'accidente temporale, a cui il tessuto allude, ma anche la rappresentazione del possibile divenire di un' intelletto che si è fatto materia. Il lutto, nell'empirica faticità dell'iscrizione epigrafica, indica  ancora una soglia, un territorio mobile e in continua trasformazione, privo di determinatezze materiali, ma al tempo stesso condizione delle materialità possibili e future. La simulazione della profondità si sposa con lo scorrere della superficie pietrificata. La massa materica, o quantomeno la sua rappresentazione, viene enfatizzata dal periodo del tessuto, che ripete all'infinito, come la ninfa Eco, l'annullamento del valore del senso.

 L'enigmatico dipinto di Mattia Preti sembra riflettere il momento del passaggio dalla soglia, dell'attraversamento, grazie all'iperbole allegorica dell'idea di conversio , di rovesciamento dell'antico nel nuovo. L'atto del celare coincide con la conversio e confina con l'ambigua inversione del significato della luce dell'intelletto, con la trasformazione del simbolo in allegoria.

Maurizio Barberis, Conoscenza della luce, Milano, 2020

Maurizio Barberis, Conoscenza della luce, Milano, 2020