Mimesis
Del Sette
Andrea Schubert
Il sette è un numero ricorrente. Il sette è il numero perfetto. Non è che gli altri numeri non abbiano i loro pregi, ma il sette è particolare. Prendiamo ad esempio il due che sta spopolando nella nostra epoca, rivoluzionando il nostro mondo e connotando un’intera era: l’era digitale. Il due non è però così perfetto. Forse il motivo deriva dal fatto che il mondo digitale il due non lo contempla affatto essendo coposto solo da zero e uno, ma tantè che comunque una volta il problema non si poneva proprio, soprattutto ai tempi di Giulio Delminio Camillo (Portogruaro, 1480 – Milano, 15 maggio 1544).
Camillo, controverso personaggio della sua epoca, mi ha fatto notare questa perfezione del sette, anche se qualche sospetto già lo nutrivo in tal senso. Leggendo “Il teatro della memoria”, tra le tante cose ho appreso del perchè il sette debba essere il numero perfetto. Tanto per comincare potremmo dire che il suo utopistico teatro poggiava su sette colonne, come era per il tempio di re Salomone. Questo fondamento non dipendeva certo da principi architettonici ma era riferito ai sette pianeti allora noti. Sette pianeti che governavano la vita degli individui e che servivano di riferimento per il raggiungimento della perfezione spirituale.
Giulio Bonasone, Luna, dalla serie I Sette Pianeti, prima metà del secolo XVI, collezione privata
Delle sette colonne Camillo ci dice che sono come “le sette Saphiroth del soppraceleste mondo; che sono le sette misure della fabrica del celeste et dell’inferiore, nelle quali sono comprese le Idee di tutte le cose al celeste, et all’inferiore appartenenti.” Così Camillo continua la sua costruzione del teatro che sul sette trova il suo ritmo e giustificazione. Su sette gradoni divisi in sette settori trovano posto le immagini da rappresentarsi in questo luogo dove al centro della scena si trova l’individuo. Ma tra le tante spiegazioni di tale perfezione Camillo la dà tirando in ballo la composizione del sette: “Questo settenario numero perfetto; percioche contiene l’uno et l’altro sesso, per esser fatto di pari et di dispari. onde volendo dir Virgilio perfettamente beati, disse, terque quaterque.” Il sette dunque numero perfetto come i giorni della creazione che hanno poi scandito il ritmo della nostra esistenza, come i vizi capitali e le virtù, di cui tre sono teologali e quattro cardinali. Nuovamente il pari ed il dispari si incontrano per raggiungere il numero perfetto. Così troveremo i “sette mari” i “sette saggi”, sette i bracci del candelabbro Menorah, sette i libri del Eptateuco, sette sono i chacra e chissà quante altre ricorrenze per questo numero. Ma la mimesi del numero sette potremmo trovarla nell’Anima Mundi di Platone. La completezza di questo numero potrebbe essere il contenitore dell’anima del mondo che riunisce in se il mondo terreno e quello celeste. Il sette potrebbe essere quell’unico luogo in cui il mondo sensibile e quello sovraterreno delle idee convivono e si congiungono. Come precedentemente citato da Camillo “... sono comprese le Idee di tutte le cose al celeste, et all’inferiore appartenenti”. Il sette come punto focale ideale, che rappresenta il vero ombelico del mondo di amletica e shakespeariana memoria: “...E se questo mondo è davvero il palcoscenico dell’universo, allora io sono l’ombelico di questo mondo.” (Amleto, scena 2, atto 2) e così con la Firenze del Boccaccio e il centro dell’universo di Dante Alighieri dovremo annoverare anche il sette di Camillo.
Giulio Bonasone, Mercurio, dalla serie I Sette Pianeti, prima metà del secolo XVI, collezione privata
Ma quello che Camillo non sapeva o che ignorava è che la perfezione non sempre aiuta nel progresso. L’errore alle volte, come in altra disertazione detto, fa fare progressi inaspettati, soprattutto alle arti figurative. Credo che il motivo sia perchè cinquecento anni dopo Camillo, il materialismo ha detto la propria e la realtà materiale, liberatasi dalla mimesi, ha preso il sopravvento. L’arte non è più mimetica, ma diventa presentativa, forense di contenuti originati dall’artista stesso. Opere “fatte di me, non da me” dichiarava drammaticamente Egon Schiele.