Il mestiere delle Arti (part Two)
by Maurizio Barberis e Patrizia Catalano
Gruppo Pentagon, Ralph Sommer, Grosse Gardrobe, 1988
E’ necessario forse, a questo punto, riattualizzare alcuni elementi positivi della trascorsa ideologia artigiana. nonché la necessità, vuoi per l’artista che per il progettista, di ricollocare la propria identità sociale nel mestiere. Ovvero di come una specifica vocazione, artistica o progettuale, possa, attraverso una strategia formativa, sviluppare un mestiere coerente con le proprie premesse, che consenta, infine, di ricavarne una qualche forma di sostentamento. In che cosa quindi può consistere lo specifico sapere in grado di strutturare un ‘mestiere’ che abbia a che fare con l’arte, con la produzione di oggetti, e come possa essere formato dalla società e non dall’anacronistica bottega? In quale modo arte e progetto possono interagire, data l’ambiguità della nozione di Utile? E’ necessario quindi porre la questione della necessità di individuare una funzione di ordine superiore, funzione che non può consistere esclusivamente nella sua gabbia utilitaristica. A questo scopo è utile ridefinire un orizzonte generale in cui gli oggetti si possano ricollocare, perdendo un po’ della loro rigidità ideologica. Avremo così cucchiai meno intelligenti e meno utili e opere d’arte più coerenti con la loro vocazione di oggetti fatti per essere usati.
Gruppo Pentagon, Gerd Arens, Neontriangel,1986, dettaglio
Quale potrebbe essere quindi il ruolo delle Accademie e degli istituti d’arte, la loro rispondenza ai principi delle teorie estetiche dominanti e, viceversa, la loro congruenza all’idea dell’arte come mestiere, in grado di garantire una pratica quotidiana di lavoro nella produzione non seriale di oggetti? Nikolaus Pevsner, nel suo saggio dedicato alle accademie d’arte:” ... La storia dell’artigiano o dell’artista decoratore in quanto tale, esula dal nostro libro, ma ha una parte così importante nel movimento contemporaneo per la riforma delle scuole d’arte, che in qualche misura dobbiamo prenderlo in considerazione. E tale misura dipenderà dal diverso grado di influenza che ha esercitato nello sviluppo delle accademie d’arte...”
Gruppo Pentagon, Wolfgang Laubersheimer, Kredenz, 1990
L’Ecole Professionelle tenuta da membri dell’Accademia Reale Francese a operai della manifattura di arazzi (1663) segna l’ingresso dell’artista nel territorio dell’artigiano, sottraendogli in modo drastico il peso del lavoro creativo, una tendenza conforme a quella seguita dall’Accademia contro la Maitrise. Sino ad allora era considerata fondamentale l’unità tra disegno ed esecuzione; da questo momento in poi disegno ed esecuzione divergono e vengono considerati come due fasi separate e distinte nel processo di produzione dei beni. Si potrebbe dire, con un paradosso, che gli artisti si trasformano in artigiani teorici, che lavorano solo indirettamente e parzialmente alla produzione materiale delle cose.
Gruppo Pentagon, Gerd Arens, Neonstehleuchte, 1987
Gli operai-artigiani vengono così iniziati al disegno dagli accademici e dai pedagoghi dell’illuminismo. Dopo il 1730 fioriscono numerose accademie d’arte legate al mecenatismo pedagogico degli illuministi, o viceversa già organizzate per favorire particolari interessi commerciali. il problema che si poneva era quindi come migliorare la qualità degli oggetti attraverso una maggiore abilità dell’artigiano nell’interpretare il disegno dell’artista. esiste, paradossalmente, ancora un minimo margine di libertà, determinato dall’interpretazione; margine che con lo svilupparsi della geometria descrittiva e delle tecniche di rappresentazione digitali si ridurrà in misura considerevole, sino a scomparire del tutto.
Gruppo Pentagon, Ralph Sommer, Steinstehtisch, 1989
La risposta che veniva data al problema, sino alla fine del secolo, era disegnare, disegnare, disegnare; riprodurre i disegni degli artisti, copiando la copia. L’artigiano, viceversa, non può più riferirsi direttamente al modello. Nè disegno dal vero, nè disegno a memoria. vengono volutamente evitate le metodologie grafiche tipiche dell’apprentissage dell’artista. Nel 1809 Wilhelm von Humbold, incaricato di rifondare l’Università di Berlino, ribattezza l’Accademia di Belle Arti e di Scienze Meccaniche ( Akademie der bildenden Kunste und mechanische Wissenschaften) eliminando la dizione ‘Scienze Meccaniche. Humbold, come la maggior parte dei critici romantici, considerava una forma di corruzione della sacralità dell’arte, la sua commistione con le scienze meccaniche, intese come principio pratico, legato quindi alla formazione di un mestiere. E’ l’inizio del secondo momento di separazione tra mondo reale e mondo della bellezza, momento che porterà alla s-definizione contemporanea del ruolo dell’artista.
Gruppo Pentagon, Ralph Sommer, Stummer Dinner, 1988
Ciò che si impone definitivamente è un’idea di creatività, intesa come libera capacità della vita dello spirito di produrre e trasmettere emozioni attraverso le immagini, forme, parole o suoni. Idea che si oppone in modo definitivo al processo di innovazione inteso come capacità dell’artista di ridefinire volta per volta gli elementi che concorrono al potenziamento e alla vittoria ( dominio della natura) di una specifica forma, immagine parola o suono che sia. L’artista si separa dalla tecnica, iniziando un rapido periodo di declino della sua capacità di azione incisiva ed efficace verso la società.
Gruppo Pentagon, Stehleuchte 1969
Il compito di insegnare i rudimenti del disegno non è più una delle prospettive delle Accademie. esso viene affidato prima alle scuole elementari, poi alle scuole tecniche, infine alle scuole dei mestieri, come quella del castello Sforzesco di Milano, appositamente istituita con regio decreto nel 1892. Nonostante l’enorme sviluppo per tutto l’ottocento dell’industria meccanica, non esisteva ancora alle soglie del ‘900 una reale differenza tra il tirocinio per il mestiere e il tirocinio per le arti applicate. L’eliminazione delle corporazioni artigiane alla fine del 1700 aveva determinato, assieme all’era meccanica della produzione industriale, la fine della produzione artigianale degli oggetti: velocità contro manualità, quantità contro qualità, merce contro oggetto, profitto contro guadagno, fabbrica contro bottega.
Gruppo Pentagon, Gerd Arens, Neontriangel, 1986,
Il quadro che si presenta all’inizio del secolo (aggravato, per quanto concerne l’Italia, negli anni successivi alla riforma Gentile) è dunque in sintesi questo: l’eliminazione della funzione produttiva e sociale delle arti applicate, attraverso la separazione fra funzione creativa e innovativa; la scomparsa dell’artigiano, determinata dall’avvento della grande industria; l’eliminazione della manualità nel processo di progettazione, attraverso la separazione della funzione disegno dalla funzione produttiva; la progressiva emarginazione del ruolo dell’artista, che, non a caso, diventerà, ironicamente, avanguardia.
Gruppo Pentagon, Meyer Voggenreiter, An Alle, 1985
Pevsner fà riferimento a tre libri che, più di altri, ritiene alle origini di un nuovo atteggiamento nei confronti di questo problema: L.De Laborde, De l’union de l’art et de l’industrie (1856); G.Semper, Wissenshaft, Industrie un Kunst (1851), Owen Jones, The true and the false in the decorative arts.(?). Tra i pochi esempi positivi, a parte il caso Morris in Inghilterra ( la ditta Morris, Marshall e Faulkner, artigiani artisti, esperti in pittura, scultura, arredamento e metalli, senza alcun seguito in Inghilterra) son da ricordare i tentativi fatti da Walter Gropius con il Bauhaus e da Bruno Paul, che nel 1918 fuse l’Accademia di Berlino con la Kunstgewerbeschule. Il caso di Paul, meno famoso, ci pare però di maggiore attualità. L’idea era infatti era di aprire ad un gran numero di allievi le sezioni di arti applicate e ad un piccolissimo, ma fortemente motivato, gruppo di allievi, le sezioni di pittura e scultura.
Gruppo Pentagon, Wolfgang Laubersheimer, Verspanntes Regal, 1984
Le scuole, le accademie e gli istituti d’arte si fonderanno d’ora in poi sulle premesse pedagogiche aperte da Friedrich Froebel e Johann Heinrich Pestalozzi più di un secolo prima e rese attuali dagli insegnamenti di John Dewey, arricchite dalla impostazione legata al pensiero steineriano e teosofico, che ispirò figure come quella di Johannes Itten. Il problema che viene posto da Paul, ma prima ancora da Wilhelm von Bode, direttore dei musei berlinesi, discendeva dalla questione delle vocazioni artistiche, problema che anche Itten si pone parzialmente. Howard Gadner, biologo americano, parla di pluralità di intelligenze, facendo riferimento a sei tipi differenti di intelligenza: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale e corpo-cinetica.
Gruppo Pentagon, Wolfgang Lauberseimer, Kommode, 1988
E’ evidente che a ciascuna di queste intelligenze, normalmente distribuite in modo equilibrato nelle persone, possono corrispondere vocazioni particolari. All’orecchio assoluto musicale può corrispondere l’occhio assoluto del pittore o dell’architetto. Malraux cita a questo propostio una frase di Picasso, che dice pressapoco”...la gente dice’non ho orecchio per la musica, ma non dice ‘ non ho occhio per la pittura...la gente deve essere costretta a vedere la pittura nonostante la natura; noi crediamo sempre di guardare, no? Ma non è così. Noi guardiamo sempre attraverso un paio di occhiali. La gente non ama la pittura. Tutto ciò che vuol sapere è quali dipinti saranno considerati buoni tra cent’anni...”
La scuola, così ci dice Itten, deve dunque partire dall’educazione di questa attitudine particolare alla visione, attraverso metodologie didattiche che facciano riferimento ai fattori che strutturano sia la forma che l’atto del vedere. E’ la nascita del corso propedeutico, basato sull’educazione alle strutture della visione. L’insegnamento della storia, l’apprendimento per modelli, viene sostituito dall’apprendimento costruito attraverso l’esperienza diretta di ciò che si deve fare.