Arnulf Rainer: Territoires latents
di Ippomene Onchestrio
Il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Ginevra espone 70 opere di Arnulf Rainer (b.1929) dalla donazione del celebre gallerista ginevrino Michel Foëx, recentemente scomparso. Sessant’ anni di pratica pittorica sempre motivati dal tentativo di abbandonare la pittura.
Le Settanta opere donate al museo ginevrino dal gallerista Michel Foëx, scomparso nel 2015, hanno costituito l’occasione per l’allestimento di una mostra, che, a tutti gli effetti, poteva essere considerata una retrospettiva del maestro austriaco. Fortemente influenzato dal surrealismo (conosce Breton, ma non ne rimane entusiasta), attraverso tutta la trafila ecumenica dell’arte della seconda metà del novecento, informale, action painting, espressionismo astratto e soprattutto l’art brut, approda alle psicosi performanti dell’azionismo viennese, assieme a Günter Brus e al diabolico Hermann Nitsch, e, tra gli altri, a quel Rudolf Schwarzkogler morto suicida a soli 28 anni. L’azionismo praticava una body art estrema, un vero teatro della crudeltà alla maniera di Artaud, condito con l’idea di base di voler rappresentare l’irrappresentabile. Tutto il movimento, e Rainer in primis, predica un’ abbandono cruento della pittura e delle tecniche artistiche tradizionali, fortemente influenzati da una miscela esplosiva di misticismo eickhartiano e di psicanalismo freudiano. E’ necessario qui ricordare che i primi passi d’artista di Rainer lo vedono fondatore di una sorta di anti-accademia, il Pinctorium, dove collabora con quelle che, allora, erano le maggiori menti dell’edizione austriaca dell’espressionismo tedesco e del surrealismo francese, quell’Hundertwasser divenuto poi icona piccolo borghese di una Vienna un po’ zuccherosa, e soprattutto il folle Ernst Fuchs, pictor optimus ma decisamente kitch.
Il rapporto con l’immagine, e quindi con la rappresentazione, o meglio, con la sua continua negazione come una possibile datità, diventa l’elemento centrale della poetica raineriana a partire dalla serie degli autoritratti fotografici, dalle riproduzioni delle Tötenmask, sino alle immagini residuali dell'espressività di grandi autori, Goethe per esempio, ma anche Goya, Leonardo e Van Gogh, parafrasando gli esperimenti scrittori di Henri Michaux, e intervenendo iconoclasticamente anche su tele di importanti artisti a lui contemporanei, come Miró, Sam Francis o Vasarely o su simboli iconici fortemente denotativi come la croce o le strutture cruciformi. Spinto da un acuto senso della corporeità , analogamente allo svizzero Louis Soutter, con cui realizzerà un’importante mostra a Losanna nell’86, è affascinato dalle smorfie e dalle strane espressioni facciali, laddove l’azionismo di Rainer si trasforma nella realizzazione dell’opera in un inimmaginabile torrente di parole e suppliche che accompagna e traduce il suo abisso di rabbia per il mondo e per se stesso. La tecnica anti-pittorica usata è la così detta Finger Malen, una pittura eseguita di getto con una buona dose di energia usando tutte le dieci dita della mani, che ricorda da lontano le tecniche rituali e liberatorie alla Jackson Pollock. La denominazione precisa usata da Rainer per il suo lavoro è Übermalungen, ovvero pittura sovrapposta, ritocco, termine che allude appunto ad una immagine nata per contrasto come negazione di un’immagine precedente. Certo, un eccessivo indulgere in una pratica molto addomesticata, utilizzabile anche nei salotti buoni, dell’azionismo viennese potrebbe far pensare a una certa distrazione dai temi fondanti della fenomenologia e della psicanalisi. Ma tant’è.. in inferis manebimus optime.