La pittura e la memoria

di Maurizio Barberis

La tradizione artistica, se così la si può definire, si fonda oggi più sulla dimensione discreta del fenomeno che su quella continua della memoria. La storia, che viene vissuta dall’autore contemporaneo come un nemico da sconfiggere, o al più da usare superficialmente in un gioco di rimandi citazionistici, è solo una delle polarità che caratterizzano la relazione tra pittura e memoria. L’altro polo è quello della Maieutica, ovvero della trasformazione della memoria in ricordo attraverso il suo operare attraverso il mito e il segno-simbolo, attraverso la storia individuale e personale del singolo autore, del ricordo come sentimento del passato, vissuto ancora come una meravigliosa rappresentazione di un paradiso perduto.

Tancredi Parmeggiani, Diario Paesano, 1961, tempera su tela, dettaglio,

Esiste quindi, nell’arte, una doppia rimozione, la prima verso la pittura come portatrice di valori obsoleti, contrari alle ideologie dalla critica contemporanea, e l’altra verso quella pittura della memoria che ha avuto nel simbolismo l’ultimo momento di grande vitalità creativa. Anche se, ovviamente, il novecento, e in particolare la stagione del novecentismo sarfattiano in Italia, nelle riletture che oggi si possono fare del lavoro di alcuni protagonisti dell’arte tra le due guerre si possono ritrovare con forse minore grandezza, i segni della stagione romantica e simbolista.

Tancredi Parmeggiani, Hiroshima 2, Baldoria a Hiroshima, 1962, tecnica mista su carta, collezione Museo Civico Giovanni Fattori, Livorno, dettaglio,

E’ necessario forse rileggere alcuni dei nodi che, se pur rimossi,  riaffiorano con perversa costanza all’interno delle manifestazioni d’arte d’oggi, laddove la pittura continuamente oppone eroica resistenza a tutti i tentativi che la critica ha posto in essere per ucciderne persino il ricordo, dimostrazione per altro dello straordinario valore che questo semplice strumento di espressione ha per la vita dell’uomo. Un semplice foglio di carta e qualche matita colorata possono rievocare, se pur brevemente, fasti e meriti all’ars pingendi.

Tancredi Parmeggiani, Hiroshima 2, 1962, tecnica mista su carta, Collezione Privata, Firenze, dettaglio,

Per non parlare della permanenza, nell’opera pittorica, del valore auratico, di quell’alone spirituale, cosi vitale e fondante per i valori educativi, etici, dell’arte, parametro fondamentale per capire sino a che punto questa, la pittura, sia radicata nell’anima dell’uomo. La morte dell’arte passa anche attraverso il disegno razionalista di omologarne lo spirito ai valori della scienza, come se i parametri del fare artistico, delle sue libertà, potessero rispondere ai criteri della ricerca scientifica.

Pura follia. Cavallo di troia di questa posizione l’idea di Progresso, l’idea che la Storia dell’Arte sia costretta ad un continuo avanzare, ad una continua ed esasperante lotta contro il tempo, ad una continua evoluzione dei linguaggi e delle tecniche artistiche. L’arte dei popoli spiritualmente più avanzati dell’occidente, non ancora contaminati dall’ansia perentoria del contemporaneo, sta lì a dimostrare come il tempo, nell’operare di un autore, sia sempre un falso problema nato da una falsa ideologia.

Tancredi Parmeggiani, Senza Titolo ( Ciclo dei diari paesani), 1961, tecnica mista e collage su tela, CollezioneBanca di Cambiano 1884, dettaglio,

 

Quante memorie abbiamo? Esiste una memoria per le piccole cose, per i gesti quotidiani che ci preservano dal dolore e ci procurano piacere (una cosa marrone può essere un pezzo di cioccolato oppure qualcosa di meno gradevole, ma la memoria ci aiuta). Esiste una memoria che conduce il nostro io, lo guida come un Mentore gentile o viceversa traduce uno sgarbo d’infanzia in una vita futura e in questo caso la memoria non riguarda solo il passato ma è un’ipoteca sulle nostre vite a venire.

Esiste poi una memoria dell’uomo, una memoria che ci appartiene non per esperienza diretta ma per averla ereditata con l’embrione che ci ha generato, quella memoria che racchiude in noi milioni di anni di evoluzione specifica, la matrice dei nostri sogni. Jung la chiamava, impropriamente, Inconscio Collettivo. E poi? E oltre? Di questo non è dato parlare.

 Bergson riteneva che la memoria fosse la prova provata della realtà dello Spirito, identificando questa con quello, e dando così corpo all’idea che la vita non finisca qui. La memoria va oltre.

Gli gnostici di Princeton ci dicono poi che esiste una memoria che appartiene solo al cosmo, una memoria che non appartiene, o non è mai appartenuta, all’uomo, dispersa in uno spazio assoluto, fuori dal nostro cono temporale. Le si danno molti nomi, ma tutti indicano una cosa sola.