Alessandro Mendini
di Patrizia Catalano
Riconosciuto come uno dei protagonisti del design italiano nel mondo, Alessandro Mendini ha iniziato la sua attività negli anni della contestazione studentesca.
Che ricordo ha il maestro di oggi del giovane Alessandro Mendini?
“Nel 1968 facevo parte dello studio Nizzoli Associati. Svolgevo un’attività utopica che chiamavamo ‘comunità progettuale’: Il tentativo quasi impossibile di sviluppare i progetti con i metodi della democrazia politica. Lo studio riproduceva in vitro tutte le istanze, le contestazioni e i disagi che avevano come centro la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano”.
Nel 1974 lei realizzò una performance con la sedia Lassù, bruciandola e pubblicando la foto della ‘sedia infuocata’ su Casabella. Che differenza c’era secondo lei all’epoca tra design e performance?
“Il design ebbe negli anni ’70 un’attività performativa, legata anche ai gruppi del teatro sperimentale (Il Carrozzone, Magazzini Criminali, Falso Movimento…). Era il modo di considerare gli oggetti non nella loro statica astrazione, ma come facenti parte attiva della dinamica delle origini umane”.
In quegli anni c’era più creatività?
“Erano anni di alta creatività, dovuti al rovesciamento di tante istanze anche politiche e sociali”.
Nel 1970 lei diventa direttore di Casabella, la storica testata fondata da Gio Ponti nel 1928, e ne fa un progetto rivoluzionario. Com’era la rivista direzione Mendini?
“La mia Casabella si occupò di controdesign, dell’estetica periferica e della commistione fra le discipline. Si pose come megafono e come bollettino delle attività di progettazione radicale in tutto il mondo”.
Che cosa salva di quel periodo e che cosa rinnega?
“Io per mia natura sono un eterno pentito. Comunque quell’epoca per me è stata importante e ricca di fascino. Il suo maggiore valore è stato quello dell’utopia di una trasformazione totale della società”.
Se dovesse pensare a un movimento contemporaneo che ha rielaborato la cultura di quegli anni, chi citerebbe?
“Sono i makers con i loro laboratori e il loro artigianato-postindustriale che perseguono obbiettivi simili. Ma con una energia visionaria decisamente più modesta”.