L’habitat, Controbilanciare la regressione
di Alfonso Femia e Paul Ardenne
“… La crisi del Covid-19 ha portato alla luce la frequente inadeguatezza dell’habitat privato. Ciò che prima era ammissibile, all’improvviso non lo è più. Spazi abitativi troppo ristretti e troppo poco aperti verso l’esterno, spazi esterni di pertinenza troppo angusti, assenza di aree comuni e, quindi, mancanza di comunicazione sociale, isolamento e solitudine: questi ingredienti alimentano nei residenti un sentimento negativo nei confronti dell’architettura, che sembra essersi troppo allontanata dall’Uomo ed essere regredita al rango di disciplina non ancora in grado di essere di aiuto alla vita reale e alle sue esigenze, pratiche o psicologiche che siano.
Ciò non significa che negli ultimi decenni gli architetti abbiano trascurato la questione del comfort privato.
Sul fronte dell’habitat, è passata l’epoca delle calibrature tecnocratiche derivanti dalla vecchia carta di Atene, l’epoca dei casermoni popolari. La crescente domanda di alloggi confortevoli è stata in gran parte soddisfatta, almeno per le fasce di popolazione più abbienti.
Il problema potrebbe stare proprio nell’eccesso di riservatezza degli alloggi contemporanei, tale da limitare la socializzazione. L’ individualismo, la paradossale cultura di massa dell’inizio del Ventunesimo secolo, paga un pesante tributo alle proprie velleità di secessione sociale. Il desiderio di isolamento e la volontà di “formare la società” non si coniugano facilmente. Le soluzioni ci sono, a patto di volerle mettere in atto pagando il relativo prezzo. Nel 2021 metà della popolazione mondiale vive in contesti urbani. Gli indicatori statistici per il 2050 stimano un tasso di urbanizzazione del 75 per cento, il che significa che almeno altri due miliardi di persone alloggeranno nelle città o nell’immediata periferia. E’ più che mai necessario vigilare per garantire l’emergere della “città buona”, attraverso scelte assennate.
La fine dell’innocenza
AF… Come accettare , tuttavia, di costruire alloggi inadatti agli stili di vita attuali e senz’anima mentre ci sono tutte le condizioni per farlo a un prezzo economicamente molto competitivo? Spazi adeguati, buona interazione tra esterno ed interno, materiali di qualità: abbiamo tutto a disposizione. Perché non agire? Non restiamo legati mani e piedi di fronte alla tirannia delle normative e delle etichette ambientali. Non restiamo impotenti di fronte alla dittatura dei parcheggi.
A pensarci bene l’offerta di materiali economici, estetici, di facile manutenzione, durevoli e riciclabili, è sospetta. Costituisce una serie di “atout tecnici” imposti all’architetto che hanno lo scopo, per politici e costruttori, di far dimenticare la colpevole mancata creazione di un habitat generoso, che offra ai futuri occupanti uno spazio reale in cui vivere…
PA. A questo punto … si rende necessaria una revisione politica. Non possiamo assolutamente farne a meno, se non vogliamo che la nostra riflessione resti astratta e perda ogni significato. La Storia è fatta di teorie, concezioni, volontà astratte. Ma non esiste senza i fatti e il peso che vogliamo o meno esercitare su di essi. Rinnovamento radicale dei modi di formare la società, di gestire l’economia privata e pubblica, di concepire la vita personale e collettiva, di rivedere, last but not the least, il modo di pensare il nostro habitat per mantenere un livello elevato di place attachment…
AF Sì, dobbiamo evolverci. E, come architetti, darci un obiettivo, senza indugio o senza procrastinare: entro i prossimi cinque anni, gli alloggi dovranno offrire uno spazio abitativo più attento al benessere e ai valori verso i quali noi tutti dobbiamo tendere….
(Da Alfonso Femia e Paul Ardenne, La Città Buona, per un’architettura responsabile, Marsilio editore, 2021, tutte le illustrazioni ©Tapiro. Tutti i diritti riservati)