Eccentrica
di Martina Barberis Casagrande
L’eccentricità mi ha sempre affascinata. Deve nascere da una disposizione naturale, che vada di pari passo con la cultura. Altrimenti stona. La moda penso sia un’altra cosa. È veloce, cambia nel tempo.
In questo particolare momento storico trovo che l’eccentricità venga vista come qualcosa di folle, soprattutto quando inneggia alla libertà. Può essere rappresentata da una persona semplicissima o da un viaggiatore accanito. È curiosità, non è solo data dal “farsi notare”. Ci sono tante figure che cercano di essere eccentriche, ma, spesso, il desiderio di esserlo è dato semplicemente dall’ambizione di imitare grandi artisti (come David Bowie, Marcel Duchamp etc …).
Associo l’eccentricità a una forma particolare di cultura, una stravaganza, un lasciarsi andare, una forma particolare di libertà. Dal latino eccentrus, fuori dal centro, parola che collego immediatamente a personaggi come Oscar Wilde o Diana Vreeland, Salvador Dalí, Jean Cocteau, Elsa Schiaparelli, Gabriele D’Annunzio, Karl Lagerfeld, Josephine Baker, Carlo Mollino, Ettore Sottsass e molti altri. Città come Parigi o Londra, che hanno sempre amato diverse forme di eccentricità e di provocazione, sono davvero ancora libere di esprimere questa particolare forma d’arte?
Esempi flash di piccole eccentricità rimaste impresse: un finto busto di giraffa enorme che ho visto nella casa del designer Ora Ito a Parigi, fotografie di attrici degli anni ’50 e bambole mignon nella casa di uno stilista di un super brand di moda francese, gli affreschi e i tessuti decorati come tele nella casa di una signora veneziana che vive nel palazzo di Marco Polo (così dice la leggenda), Giovanni Gastel che, ad un evento di Cova, con un gesto da gentleman, raccoglie il cioccolatino ad una sconosciuta mentre passava per caso di lì. Infine, un teatro scavato nella roccia ideato dallo scenografo Luciano Damiani a Roma, o la bandana dell’attrice Valentina Cortese.
Il ricordo di una persona che reputo eccentrica, pur nella sua semplicità: il mio primissimo capo, spagnolo. Avevo mandato il mio Cv giovanissima e sbarbatella a diverse mail raccattate qua e là (tanto ingenua). Un giorno mi richiama un signore con un smaccato accento spagnolo “Pronto, mi sente?” “Sì, la sento’ “Ho ricevuto il suo CV. Venga a fare un colloquio”. Vado, faccio il colloquio, mi prende. “Vedrai, sarà difficile avere un altro capo come lui, è speciale”, mi dicono più persone. Adorato e conosciutissimo. Di umili origini, lui stesso è fiero di raccontare la sua infanzia al Delta, un uomo coltissimo e raffinato, anche a causa della sua semplicità che convive perfettamente con la sua eccentricità di spirito.
La sua esperienza nella moda comincia negli anni novanta, Moschino, Fiorucci, Aspesi, Blumarine etc. Lavorando per Aspesi, ho la possibilità di conoscere i vestiti che aveva disegnato e i fotografi che aveva voluto: Robert Frank, Peter Lindbergh, Paolo Roversi erano solo alcuni degli autori con cui aveva lavorato. Tra le modelle, una giovanissima Linda Evangelista ancora poco conosciuta. Io sgrano gli occhi dallo stupore, nel vedere tanti fotografi autoriali prestati alla moda. E poi Moschino. Fiorucci, ovviamente, e tanti altri. Ricordo ancora la sua postazione in azienda. C’era un cumulo da nebbia, una sigaretta, un posacenere e un uomo che parlava dietro un computer che lo nascondeva. Il suo gusto è eccentrico, ma allo stesso tempo semplice. Ha un rapporto forte con il colore.
Nelle case, invece, cos’è eccentrico? Un vaso particolare, un tappeto esotico, un colore strano? Tutto ciò che possa richiamare un racconto, un viaggio o passioni personali: un libro, un film, una canzone. Libertà ed espressione innata, non forzata. Una stanza piena di oggetti, lo studio di un pittore, una casa sperduta in cima a un’isola.