Crespi D’Adda e il suo museo partecipato
di Giorgio Ravasio
Una mattina. Mi son svegliato…
È così che potrebbe avviarsi la storia di come è nato il progetto di questo museo. Realizzare un luogo partigiano che aspira a ribellarsi a quel moderno invasore, l’apatia cognitiva in cui la tecnologia tende a imprigionarci, con l’obiettivo di incidere profondamente nel racconto del nostro territorio, è un atto di grande coraggio. Per questo devo, prima di tutto, ringraziare di cuore tutti coloro che, con un atto di profonda fiducia, hanno creduto a questo ambizioso progetto, a partire da una Amministrazione Comunale che non ha mai smesso di sostenere un ambito, quello della cultura e del suo patrimonio, troppo spesso relegato ai margini del dibattito politico.
Crespi d’Adda è, per antonomasia, un museo all’aperto. Ha detto bene Tiziana Zanetti: “Il patrimonio culturale è di tutti ma è necessario prestarci molta attenzione perché dall’essere di tutti all’essere di nessuno il passo è breve”. Lo scriveva, nel 2018, in una illuminante pubblicazione dedicata alla improrogabile necessità di una educazione civica per il patrimonio culturale e, a oltre venticinque anni dall’inserimento di Crespi d’Adda nel Patrimonio dell’Umanità e alle soglie del mezzo secolo di vita della World Heritage List, è più che necessario fermarsi e riflettere sulla responsabilità che il nostro territorio, insieme a coloro che sono chiamati ad operare per la sua valorizzazione, deve assumersi per onorare adeguatamente il riconoscimento internazionale che ci è stato assegnato.
Il bene comune necessita di una visione lungimirante e promuovere la cultura significa preoccuparsi della comunità dei cittadini prestando particolare attenzione ai giovani, alla loro formazione e alle loro necessità e, per questa ragione, l’obiettivo del nostro progetto è sempre stato quello di ridisegnare un’identità perduta. Riscrivendo e raccontando le pagine di questo romanzo bergamasco, abbiamo consegnato a Crespi d’Adda una seconda possibilità di vita e di lavoro attraverso un profondo e articolato percorso nel quale la ricerca, la formazione e la narrazione della storia hanno cercato di riempire il vuoto che si era creato con la dismissione della fabbrica, rivitalizzando così la naturale attrattività imprenditoriale di questo sito grazie all’impegno comunitario.
Abbiamo fatto riscoprire al pubblico un patrimonio culturale fortemente sottovalutato, facendo in modo che si ricreasse una economia capace di generare opportunità professionali e di proteggere e salvaguardare il genius loci di un paesaggio umano straordinario. E lo abbiamo realizzato attraverso il protagonismo diretto dei cittadini, riconoscendo loro il diritto a “partecipare alla vita culturale” e “a trarne beneficio”, sollecitandoli ad abbandonare la logica dell’indifferenza per assumersi quella della responsabilità. La pietra angolare sulla quale abbiamo costruito il progetto è stata la creazione dell’Unesco Visitor Centre, risultato di un impegno profuso in maniera continua per oltre un ventennio. Quando, dopo quasi trenta lunghissimi anni dedicati alla valorizzazione di Crespi d’Adda, ho accettato l’incarico di curatore e direttore scientifico del progetto, mi sono ispirato alle illuminanti parole che scrisse il museologo Franco Russoli esattamente cinquant’anni fa: “il museo dovrebbe essere il luogo in cui non tanto si trovano delle informazioni o dei documenti originali, quanto delle inattese e rivelatrici scoperte sulla polivalenza dei significati e dei messaggi della memoria che esso conserva. Dovrebbe essere il luogo dove si va per alimentare i propri problemi di conoscenza, più che a subire alienanti e coercitive lezioni”.
Sono persuaso che nessuna definizione di museo sia più attuale e, per questa ragione, ho pensato alle sale dell’Unesco Visitor Centre come a un territorio di conoscenza problematica che non guidi ad un indottrinamento dogmatico ma che dia materia e occasione per un giudizio libero, maturato attraverso la visione dei documenti originali attraverso cui si interpreta continuamente il cambiamento culturale, economico, sociale di questo angolo di Lombardia. Ho sognato il museo come un sabotatore di luoghi comuni e a un agente provocatore attivo che, seppur profondamente immerso nella storia, non sia vincolato da una egemonia ideologica, ma che sia in grado di sollecitare domande e articolare un dissenso creativo. Mi vengono alla mente le parole di papa Francesco quando ha affermato che i musei “devono essere organismi vivi, aperti, non riservati solo agli eletti e ai sapienti”. Ho pensato di offrire a Crespi d’Adda una nuova opportunità: trasformare la sua storia in un amplificatore di valori in grado di creare e diffondere un sapere che, seppur in una continua ricerca e definizione del proprio compito, appare quanto mai necessario in una società sempre più complessa e sempre più problematica, sempre più unita ma sempre più distante, sempre più scolarizzata ma sempre meno colta.
Pensato per far nascere interrogativi piuttosto che fornire risposte, il museo prevede un contesto sociale di condivisione e di apprendimento, pensato come un megafono gentile per dare voce alla comunità e per ambire a mantenersi in uno stato di costante e perfetta incompiutezza, come una vera e propria produzione ininterrotta. Comunità che qui è nata e ha vissuto trasformando Crespi d’Adda in un processo persistente e senza fine. Un protagonismo che permetterà di riscrivere la narrazione evidenziando le disparità, i conflitti e i punti di vista, anche minori, trasformando il museo in un luogo di rilettura storica radicale, capace di rompere l’incantesimo di tradizioni calcificate, di mobilitare il passato per riportarlo nel presente e di mantenere la storia in movimento per consentire ai suoi oggetti di fungere di nuovo da agenti storici, aprendo il museo ad una lettura dinamica del passato. In questo modo attraverso il museo potrà così riattuarsi quella congiunzione tra la comunità locale ed il pubblico dei visitatori. Rendere il visitatore attivo, che si riappropri della qualità contemporanea degli oggetti e delle narrazioni del museo significa decostruire e, in un certo qual senso, indebolire l’egemonia di qualsiasi esperto intenda impossessarsi del diritto cosa si potesse o non si potesse dire del nostro villaggio operaio e del contesto storico che lo circoscrive. Per dirla con le parole del filosofo americano Nelson Goodman, “il museo deve operare come un’istituzione per la prevenzione della cecità, allo scopo di far funzionare le opere […] che funzionano quando, stimolando lo sguardo curioso, acutizzano la percezione, suscitando l’intelligenza visiva partecipando alla creazione e alla ri-creazione dei nostri mondi ”.
È per la costruzione di una reale uguaglianza delle opportunità che diviene necessario coinvolgere ogni individuo nel processo continuo di definizione e di gestione del patrimonio culturale poiché la tutela e la valorizzazione del patrimonio devono essere compito, opera e responsabilità di tutti. Per questo la scelta di realizzare una infrastruttura tecnologica che consenta una fruizione immersiva a mezzo della proiezione in alta definizione di contenuti su tre grandi schermi garantisce la flessibilità dell’utilizzo e la possibilità di ampliare e modificare i contenuti con ampia libertà. Ci è sembrato doveroso che il primo personaggio da animare nelle sale del museo fosse Cristoforo Benigno Crespi, il cotoniere orgoglioso di quello che ha costruito, per poi dare spazio a due figure importantissime della società crespese, il dottore, lo scienziato illuminista, ed il cappellano, votato alla cura delle anime, e a due operai, una giovane donna, già alle prese con le fatiche della vita, ed un ragazzino da poco impiegato nel cotonificio che scruta all’orizzonte le speranze di un progresso a portata di mano. Si tratta di un racconto diretto che si sostanzia di espressioni, silenzi, accenti, un intreccio di sguardi, gesti, parole, che restituiscano l’intensità dell’essere persona. Nella sala attigua abbiamo voluto costruire la narrazione grafica di alcuni temi legati alla storia del villaggio operaio dando spazio al breve racconto di alcuni aspetti che, durante la visita a Crespi d’Adda non vengono solitamente messi in evidenza ma che, qui, diventano protagonisti e assurgono a temi di confronto e di discussione.
Un mondo. Un mondo di storie che spero permetta ai visitatori di trovare, a Crespi d’Adda, risposte, almeno parziali, a tutte quelle domande che non hanno ancora formulato.
Informazioni e visite guidate: UNESCO Visitor Centre - 02/90939988 - www.visitcrespi.it