Dell’Immagine

Paralipomeni

2. Astrazioni

di Maurizio Barberis

2.1. L'immagine, in quanto insieme di segni, simboli o icone, sta per qualcosa d'altro, per l'oggetto, reale o immaginario, che a distanza ne configura il senso. Naturalmente le cose non sono così semplici. Immaginiamo infatti che l'oggetto sia parte di una realtà che l'immagine rappresenta, e attraverso questa si manifesti un'altra forma del reale. Una caratteristica dell'immagine è quindi di rappresentare una qualsivoglia realtà, materica o spirituale, divenendone in tal modo parte integrante. L'immagine ci consente così di individuare un oggetto, ‘l’oggetto’, e di renderlo così un unicum, un ‘individuo’, separato dal flusso generale delle percezioni che costituiscono il nostro permanere fenomenico nel mondo, senza peraltro distrarlo-estrarlo dalla realtà. L’immagine trasforma così la percezione, e in modo duraturo, in un referente.  L'immagine 'riproduce in tal modo solo una parte della realtà', del mondo esterno, attraverso questa prima operazione di estrazione/astrazione. Un'astrazione dal reale fenomenico, pur facendone parte a pieno titolo. Tutte le rappresentazioni e tutte le immagini sono di fatto astrazioni, modelli estesici, essendo sempre contestualizzate, riferite a un sistema invisibile di elementi, a una rete di relazioni, che sole ci consentono di intenderne pienamente il senso.

Claudio Olivieri, Templare, 1983, olio su tela

Claudio Olivieri, Templare, 1983, olio su tela

2.2. Il problema si ripropone quando cerchiamo di capire ciò che effettivamente vediamo attraverso l'immagine, attraverso la sua contestualizzazione e la memoria da essa evocata. Cercare di vedere, per esempio, un quadro del Tiziano con gli stessi occhi di un suo contemporaneo, è analogo a quell'altra pretesa di poter restituire all'ambiente musicale  moderno un brano barocco, semplicemente attraverso la sua reinterpretazione con strumenti originali, senza tener conto delle stratificazioni culturali che il succedersi delle epoche storiche, degli stili e dei gusti ha operato su di noi.  La stratificazione dell'esperienza trasforma l'emozione, deforma l'immagine, costringe a  guardarla con il cannocchiale della storia, ovvero di una memoria condivisa, anziché con gli occhi del nostro desiderio. Questa qualità 'primaria' dell'immagine, l'astrazione dalla realtà, diviene l'immagine stessa, grazie all'introduzione delle tecniche di 'riproduzione' digitali, che estendono all'infinito non solo le possibilità di classificazione e conservazione ma anche quelle di alterazione, frantumazione e mascheramento dell’esperienza.

Gianfranco Ferroni, Sedia cavalletto, 1993 tecnica mista su cartoncino

Gianfranco Ferroni, Sedia cavalletto, 1993 tecnica mista su cartoncino

2.3. Non solo l'immagine presenta la realtà, ma attribuisce questo valore, di realtà, anche a se stessa, in quanto parte, emanazione diretta, di ciò che viene da lei rappresentato, dando concretezza anche alle più fantasmatiche raffigurazioni dello spirito creatore dell’uomo. Ma poiché indefinitamente riproducibile, l'immagine contiene qualcosa di più della realtà di cui essa, indirettamente, è parte: ovvero la possibilità di infinitezza, che il suo referente non possiede affatto, se non attraverso il gioco della ritenzione mnemonica, infinitezza limitata in ogni caso alla durata della vita del soggetto percipiente. L’orizzonte degli eventi, la linea imprescindibile della fine della vita, inghiotte, come un immane buco nero, tutte le informazioni così memorizzate. Ciò che rimane sono solo tracce, frammenti sparsi, eidola-phantasmata, di presenze che a loro volta si accumulano per definire un incerto passato che il setaccio della memoria collettiva continuamente deforma. Noi vediamo immagini, dove persone e cose morte da anni continuano a comportarsi come se fossero viventi, a parlare, ad amare, a compiere i gesti e le azioni dei vivi: " L'immagine non produce l'effetto di restituire ciò che è abolito dal tempo o dalla distanza, ma attesta che ciò che vedo è effettivamente stato ....l'immagine trascende la morte e recupera il perduto" ( Roland Barthes)

Krzysztof Kieslowski, La doppia vita di Veronica, 1991, Screenshot

Krzysztof Kieslowski, La doppia vita di Veronica, 1991, Screenshot

2.4-La riproducibilità tecnica, in particolare quella digitale, soggetta però alle fragilità di una materia facilmente evanescente, rappresenta forse l’ultima illusione di poter sfuggire la morte, l’oblio dell'immagine-immaginazione, la fine di ciò che l'eidolon rappresenta, in un processo continuo che, dall'invenzione della stampa, porta dritto alle iper-testualità delle immagini virtuali, transitando per il cinema e per la fotografia. L'immagine non muore, come non muore l’informazione, cambia solo forma per essere continuamente riprodotta. In ciò sta la sua forza- non muore –e anche la sua debolezza- la condizione di eterna riproducibilità che ne diminuisce il valore auratico, l'effetto nostalgia e lontananza. L'immagine è superiore alla realtà perché ne trascende la finitezza materiale. E' solo per questo motivo che l'immagine diviene memoria.

Maurizio Barberis, da ‘L’invenzione del paesaggio’, elaborazione digitale da pellicola fotografica, 2019 

Maurizio Barberis, da ‘L’invenzione del paesaggio’, elaborazione digitale da pellicola fotografica, 2019