Joze Plecnick: a post-modern Stimmung
Lubiana 2002
by Maurizio Barberis
Si respira aria di Mitteleuropa in questa storica dimora. Gloria e decadenza di un impero, quello asburgico: alchimie letterarie, Krauss, ma soprattutto Musil. Gli odori grevi, allineati allo spessore dell’aria balcanica, di una storia senza fine. Viene alla mente il contadino che fugge, quello del dipinto di Malevic, “Uomo in fuga”. Come il pittore-filosofo russo, anche Plecnick conosce la sferza del potere, benché Tito si dimostri più generoso del suo collega Stalin. Funerali di Stato.
Allievo di Otto Wagner di lui si ricorda soprattutto la chiesa del Sacro Cuore a Praga. Un mistico, profondamente religioso, fa della religione il fondamento della sua architettura, donando alle sue opere un’aura di spiritualità mal digerita dai suoi colleghi sloveni.
Ciononostante la sua opera, oggi, per la continua capacità di far dialogare le forme del moderno con la tradizione classica, viene assunta a paradigma di quel momento storico dell’architettura occidentale che pareva incline ad un ripensamento delle asprezze razionaliste.
La sua opera più importante, la sede del parlamento, non venne mai realizzata, ma, epitome della sua parabola, campeggia sulla moneta da 10 centesimi del neo-stato sloveno
“…No, mai di nessuno fui contemporaneo, non so che farmene di tanto onore. Il mio omonimo, quanto mi disgusta - non ero io, era un altro…” ( Osip Mandel’stam, 1924)