Percezione aptica e propriocezione nel godimento estetico

 di Andrea Schubert

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In ogni museo campeggia il monito: "NON TOCCARE".

Peccato.

Certo se con un supplemento si potesse toccare almeno un calco, una riproduzione sarebbe tutta un'altra cosa.  L'estetica non può fermarsi al godimento puramente visivo, anche se di arti visive si tratta. L'essere umano è talmente complesso che non basta più l'endocrinologia a spiegare alcuni fenomeni, tanto che Eduard T. Hall fu costretto ad inventarsi l'esocrinologia per arrivare a postulare una scienza definibile come "prossemica" (molto utile in questi giorni pandemici). Detto ciò, ritornando al centro del problema, l'estetica rientra pienamente in ambiti che sfiorano altre scienze. Le neuro scienze ad esempio. Ma non vorrei anche qui andare oltre, in campi che non mi competono ma mi affascinano e mi fanno ancora divagare. Come non potrei essere affascinato infatti da Manfred Spitzer e le sue teorie sulla "demenza digitale"? Mi forzo e lascio il testimone a qualcun altro per un altra puntata, tornando al mio tema e rilevando l'inimitabilità del godimento dal vero di un opera d'arte rispetto alla sua riproduzione, sia in forma cartacea che digitalizzata a monitor, sia bidimensionale che tridimensionale.

Certo, se il godimento dal vero è impedito da cause di forza maggiore, si potrebbe dire che "piuttosto che niente, meglio piuttosto" e "chi si accontenta gode". Non possiamo pretendere di poter andare tutti nei musei e per giunta poter toccare impunemente l'algido marmo del "David" o le "Tre grazie" di Canova. Però un buon surrogato non ci sta male. E che dire poi del godimento dello spettatore che si muove nello spazio espositivo avvicinandosi alla maestosità dell'opera sentendosi sempre più piccolo? Non è forse una sensazione così fantastica che portò Stendhal ad avere un malore? Chissà quale tempesta sinaptica si scatenò in quell'animo così gentile?

Inoltre, che dire delle relazioni intercorrenti tra le singole opere collocate accuratamente disposte nella sala? Le curatele delle mostre non sono solo un assunzione di responsabilità da parte del curatore a fini legali, sono una scienza che, oltre a cercare criteri filologici nuovi, crea un insieme armonico come fa il direttore d'orchestra con le partiture. Questi, oltre a dimenare la bacchetta sul podio, trascrive e ripartisce i compiti per gli orchestrali esecutori di quanto era già stato composto. Così dicendo credo evidente come il rapporto delle opere tra di loro all'interno dell'allestimento renda la loro percezione estetica differente da quella percepibile decontestualizzandole e osservandole da sole o, ancora peggio, riprodotte in catalogo. La totalità è più della semplice somma dei singoli elementi costitutivi. Questo ormai è un fatto assodato, e una mostra o una sala museale non sono da meno.

Ma si torna sempre al punto di partenza o alla saggezza popolare. Se non si può avere tutto ci si deve accontentare del migliore dei surrogati, cosa che la tecnologia oggi ci può dare. Se poi pensiamo all'uomo come un composto di esperienze vissute, il risultato evolutivo di un processo, oltre che biologico sul piano fisico, anche, e soprattutto, culturale, il surrogato si presenterà a questi, come un qualcosa di diverso da quello che poteva sembrare a persone vissute solo qualche decennio fa. La capacità di coinvolgimento di un immagine sintetica per le nuove generazioni sarà  diversa da quella che sarebbe stata per persone vissute solo nel secolo scorso. Il surrogato non sostituirà mai completamente la realtà, ma ben vengano esperienze in tal senso.