Museo & Marketing

by Serena Guardabassi

Firenze, Galleria degli Uffizi, Tribuna, ph by Antonio Quattrone

Firenze, Galleria degli Uffizi, Tribuna, ph by Antonio Quattrone

Un tempo il museo era il luogo che custodiva opere e oggetti di valore artistico, prodotti dell’ingegno e della creatività dell’uomo nell’arco della sua storia millenaria. Quando il visitatore vi entrava, altro non si aspettava che di ammirarne i capolavori. Oggi, ciò che il nuovo ‘pubblico della cultura’ chiede, è che il museo risponda a un sistema di servizi ben oltre il suo ruolo, servizi che comprendono diversi aspetti, certi poco attinenti alla sua funzione ma divenuti indispensabili.

È il marketing, che il ‘visitatore consumatore’ pone come imprescindibile alla sua moderna concezione di museo: bookshop, caffetteria, ristorante, sono i luoghi dove si sofferma e che fanno crescere il fatturato. In questa dissennata era di prestazioni e classifiche, accade che musei dall’alto valore storico-artistico vedano incrinata la loro leadership, per non rispondere appieno alle richieste del mercato dell’arte. Un dato di fatto incredibile, che interessa le istituzioni pubbliche, ma che i tempi ci impongono di non ignorare.

Puntare l’indice sui direttori sarebbe affrettato, superficiale quanto ingiusto. Non sono sordi al rinnovamento. Non sono arroccati alla tradizione. No. Sono semplicemente privi di risorse. La mancanza di fondi, irrisori e del tutto insufficienti a quadrare il bilancio, conservare il patrimonio, progettare qualsiasi evento oltre l’ordinaria gestione, è una realtà che chi giudica può dimenticare, ma chi amministra ha sempre presente. Orfani di mecenati seppur ricchi di sponsor – non esattamente la stessa cosa –, l’assenza dello Stato diventa assordante; come arduo diventa l’impegno a creare nuove iniziative, essere internazionali (nell’ampiezza dell’offerta culturale che può arrivare da dirigenti prestigiosi non necessariamente stranieri), ampliare le proprie attività. Sono rari gli esempi felici, e per la maggior parte frutto di una più viva sensibilità del territorio.

Nel desolato panorama dei beni culturali dove arte, musica, teatro condividono la medesima infausta sorte resa più drammatica dalle misure restrittive dell’attuale pandemia, solo il più grande, il più conosciuto può in qualche modo salvarsi. L’auspicio è che il futuro abbia in serbo una nuova generazione di filantropi, che credano nel valore della cultura e aiutino l’arte a resistere e a fiorire.