L’arte senza condivisione

di Luca Violo

 Lo spazio di un museo non è solo fisico, ma soprattutto mentale. Il confronto con l’opera d’arte, che sfugge a valori estetici, è una fascinazione che assomiglia ad un approccio amoroso: può essere un colpo di fulmine con una simbiosi totale con il mondo poetico dell’artista, o un riconoscimento progressivo che implica un’empatia sempre più forte che sfocia nel turbamento emotivo e sensitivo, a volte così intenso da generare quel sentimento di estasi conosciuta come “Sindrome di Stendhal”.

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Contingentare in gruppi guidati la visita ai musei, se da una parte è una precauzione necessaria in piena fase 2 della pandemia Covid-19, dall’altra è come se in un rapporto a due venisse suggerito alle parti quali tempi usare e quali parole dire nell’appassionata quanto misteriosa conoscenza affettiva che chiamiamo amore, che riflette il libero e a volte tormentato fluire delle emozioni, così belle nella loro umana e inutile imperfezione. “La Bellezza rivela ogni cosa perché non esprime niente”, afferma Oscar Wilde con disarmante fulgore. Un nulla che ha bisogno di spazio, di silenzio, di solitudine, che non è distanza ma raccoglimento verso frammenti di un rapporto esclusivo con l’arte, che per sua natura non conosce condivisione.