Il silenzio dei bordi (da ‘La casa di Alice, 1992’)
Maurizio Barberis
Angeologia: trasformazione di una condizione umana in una para-divina; demonologia, trasformazioni verso il basso. Prima dell’inferno vero e proprio, ci si trasforma in demoni, si diviene abitatori dei confini dell’abisso, assumendone comportamenti e maniere.
“...L’arte che Platone considerava una fonte di pericolo è diventata improvvisamente uno strumento di guarigione, proprio a causa di quell’aspetto che Platone considerava il più perturbante: il potere di trasformare l’uomo blandendo la sua immaginazione...” ( Edgar wind, L’eloquenza dei simboli,)
Quasi sempre la definizione di uno spazio comporta un’osservazione sui/dei suoi bordi.
Lo spazio non esiste? Non esiste nella distinzione tra bordo e centro, poiché lo spazio è un continuum presente in ciascun punto dell’universo, nella pur apparente divisione tra centro e bordo, tra interno ed esterno. Parlare di bordi è quindi un non-sense? Lo spazio si nasconde. O noi nascondiamo lo spazio?
I bordi sono dunque delle pieghe, dei risvolti di un ideale tessuto cosmico, che per un attimo ingannano l’osservazione distratta, ne confondono la percezione. I bordi nascondono, attraverso il silenzio dello spazio, la sua assenza. Il vuoto di Giacometti (Rudolf Arnheim). Al contrario l’architettura che non possiede bordi, definizioni auto-limitanti, grida, o tenta di gridare, la propria centralità. L’architettura non è mai silenziosa.
Iconografia del silenzio, inviti espliciti a tacere (Redon). Una donna si preme il dito indice sulle labbra rivolta verso l’osservatore. Guarda chi sta guardando.(Fernanf Khnopff)
Simmetria speculare: “...Ecco la meraviglia che segnerà questo giorno come fausto: è indiscutibile che la metà sinistra di Haro corrisponde alla metà destra di Haio, mentre la sua metà destra riproduce esattamente la metà sinistra del fratello. Sono dei gemelli specchi, sovrapponibili faccia a faccia e non faccia a dorso come gli altri. Ho sempre nutrito il maggior interesse per le operazioni di inversione, di permutazione, di sovrapposizione, di cui la fotografia mi aveva fornito un’illustrazione privilegiata, ma nel campo dell’immaginario. Ecco che trovo inscritto in piena carne di ragazzo quel tema che non ha cessato di ossessionarmi...”( Michel Tournier, Il re degli ontani)
Inversione, permutazione, sovrapposizione: operazioni chirurgiche che comportano la soppressione o la sparizione del soggetto ( lo spazio?). E’ forse questo il silenzio a cui ci invita il quadro di Khnopff? La simmetria dello spazio non ammette bordi: ancora una volta la geometria ci è nemica. nemica delle voluttà dei fenomeni, del loro sfuggente vagolare ai bordi del senso. Architettura vs art, arte vs design e così via?
L’inversione vuole l’annullamento, chiede il silenzio della disciplina. Nell’avvicinarsi ai bordi dell’altro si avverte l’oscura perdita del sé, e il luogo dell’inversione non esiste se non come indefinita traccia atopica del trasecolare nell’altro. Quell’attimo fatale comporta la sospensione del segno, l’annullamento del significato come forma assoluta e la sua riduzione a semplice atto relazionale, la perdita dell’identità attraverso cui facilmente lo distinguiamo dall’insieme delle cose del mondo.
Permutare: operazione in odore di magia, alchimia della materia che per noi è solo il visibile e non il tastabile, e che comunque comporta una distanza incolmabile tra le cose, o meglio, come direbbero i filosofi, tra la cosità delle cose; indica una trasformazione, una dispersione definitiva e irrimediabile della condizione originaria. I bordi premono l’uno contro l’Altro, come leucociti che tentano la fagocitazione. L’essenziale nella nostra disciplina non è mai qui. Attende al permutare.
La sovrapposizione, infine. Arte che interpreta le profondità, che invoca l’abisso predicando l’astensione dal simbolo, affermando la razionale necessità dell’interpretazione della corretta sequenza. Arte sublime, in ultimo, di un nascondere che invoca la chiarezza del significante. Le immagini si sovrappongono l’una all’altra, faccia a faccia, la mia contro la sua, e questo mi impedisce di vedere, se non quell’altro me stesso che mi fronteggia. le immagini si danno come orgogliose rappresentazioni del mondo, mentre continuano ad affacciarsi sullo stesso cortile di sempre. Da questo nasce un’inconscia ripugnanza per l’oscuro moralismo del voiyer hitchcockiano, che, immobile nel riquadro della sua finestra al riparo dei giochi del mondo, sovrappone specularmente la sua storia alla storia che involontariamente sta mimando.
“...L’umanità ha perso la sua dignità, ma l’arte l’ha riscattata e conservata in pietre che hanno un significato. La verità sopravvive nell’illusione dell’arte, ed è da questa copia, o immagine secondaria, che l’immagine originaria sarà ancora una volta ripristinata...” (Friederich Schiller, Uber di notwendingen Grenzen beim Gebrauch schonen Formen,)