Il rifiuto dell’ecologia.

 di Alessandro Melis

Il rifiuto è un sottoprodotto del determinismo, un meccanismo progettuale razionalista e fondamentalmente antifunzionale in una prospettiva strategica. Con l’acuirsi delle crisi ambientali globali, il determinismo ha mostrato, in modo ancora più drammatico, i suoi due principali effetti negativi sulla qualità della vita delle persone. Questi si devono essenzialmente all’assenza di plasticità degli scenari futuri su cui sono costruiti i progetti degli edifici e I piani delle città in questo contesto (Melis, 2020). L’idealismo “antico quanto Platone” (Gould, 1998)., su cui si fonda il determinismo progettuale, è infatti all’origine della presunta esistenza dell’artificio, un’idea, appunto, che corrobora il principio secondo cui l’uomo non sia un agente della natura, ma, piuttosto, un suo concorrente. Questa astrazione giustifica l’esistenza del concetto dello scarto, che invece non è presente in natura (Melis & Melis 2021).

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

In chiave tassonomica, l’unica caratteristica che distingue il rifiuto da qualsiasi altro sotto prodotto degli agenti presenti in un ecosistema appare essere proprio il potenziale distruttivo nei confronti degli agenti stessi. Una tendenza all’autodistruzione un po’ paradossale per chi sostiene una posizione prometeica della specie umana, su questo pianeta (Gould, 1996). Privato della sua carica distruttiva lo scarto rientrerebbe nell’alveo della complessità dell’ecologia al pari di qualsiasi altro sottoprodotto della natura.

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Tra gli anni 80 e il 2000, inoltre, grazie agli studi iniziati da Stephen J Gould e Elizabeth Vrba, sull’Exaptation, abbiamo finalmente compreso il modo di operare della natura in economia ed il valore della ridondanza delle forme come serbatoio di possibilità (Gould & Vrba, 1982). Le strutture prive di funzione, o il cui uso diventa obsoleto, in natura non sono rifiuti. Rappresentano invece la risposta creativa ed indeterministica all’emergenza ambientali. In questo senso, per esempio, la parola “junk” associata alle strutture ridondati del DNA e’ una efficace rappresentazione del pregiudizio determinista (Melis, Lara-Hernandez, & Foerster, 2020).

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Anche le città sono un sottoprodotto dell’azione dell’agente umano e sono pertanto sempre in bilico tra l’essere intrinsecamente ecologiche, come ogni altra presenza in natura, ed il rappresentare la manifestazione più evidente della tendenza all’autodistruzione, a seconda che prevalga, nella loro concezione, la serendipità creativa o il determinismo. In parole più semplici a seconda che prevalga il disordine naturale o l’artificiale ordine autoritario e puritano  (Sennett, 2021). L’architettura, come ogni altra forma di creatività, affonda quindi le proprie radici in meccanismi evolutivi fondamentalmente irrazionali, nel senso che le forme non sono determinate dall’uso, ma, al contrario, la funzione, o meglio, le funzioni, sono la manifestazione della diversità, variabilità e ridondanza delle strutture archetipiche (Melis, Davis, & Balaara, 2017).

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Questa lettura esattativa della creatività si scontra per esempio con la prima manifestazione dell’ordine autoritario e di reificazione, cioè i confini politici della nazioni che poi diventano fisici. Le forme di cooptazione funzionale che osserviamo, per la prima volta, piu’ di diecimila anni fa, come nel caso di Gobekli Tepe, proliferano ovunque fino all’eta’ del Bronzo, e provano che l’idea complessiva della civilizzazione come risultato del determinismo, è una colossale reificazione, che, pezzo dopo pezzo crolla di fronte alla convergenza delle evidenze archeologiche, paleoantropologiche e genetiche (Graeber & Wengrow, 2021). La nostra lettura degli ultimi duemila anni di storia, come una crescita di progresso a partire dalla nostra stanzialità agricola, è nella migliore delle ipotesi parziale, più probabilmente sbagliata. L’ipotesi dell’esistenza di una società di cacciatori-raccoglitori, capace di dare origine  a Gobleki Tepe, mette anche in discussione il principio della necessità di un ordine politico inteso in modo convenzionale e binario rispetto a qualsiasi ipotesi “anarchica” di società secondo le nostre categorie, Ma è più probabilmente la tassonomia in se’ a dover essere ridiscussa.  Attraverso la creatività, che è una manifestazione del pensiero associativo, l’umanità si è avvalsa ben prima della nascita dell’idealismo di strutture sufficientemente ridondanti da poter essere cooptate funzionalmente per esigenze diverse e molteplici anche quando le condizioni ambientali sono mutate molto rapidamente. Le stesse strutture creative possono essere utilizzate per l’osservazione degli astri, come passaggi per l’oltretomba, come portali fortezze, e perfino per costruire gli ordini architettonici. Il tempio Pozzo di Santa Cristina, in Sardegna, la piazza anfiteatro di Lucca e l’El Houma algerino sono esempi della plasticità degli archetipi intesi come componenti genomiche della creatività, simili al “junk” DNA, in cui aspetti fisici e immateriali convergono a seconda dei luoghi e del tempo, come la città classica o la Medina medievale. Anche in queste strutture lo scarto appare o scompare del tutto a seconda della quantità di determinismo che viene iniettata nel tessuto costruito (Khemri & Melis, 2020; Khemri, Melis, & Caputo 2020; Khemri, Melis, & Caputo 2020).

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Se per determinismo si intende la volontà di descrivere uno scenario, presente o futuro, da cui derivano i bisogni e le aspirazioni delle persone e, di conseguenza, le forme urbane, la città medievale rappresenta forse l’antitesi del determinismo. Costruita smontando e rimontando pezzi della città romana, oppure su crinali, lungo fiumi o in prossimità di torrenti in collina, le città medievali sono invece un esempio di ottimizzazione delle risorse e di adattabilità rispetto all’impatto dei cambiamenti climatici. Le case che si ammassano nei vicoli, il brulichio delle botteghe che si aprono sulle vie pubbliche ci affascinano, inspiegabilmente, in quanto contrastano con l'idea di ordine, regolarità e omogeneità a cui normalmente associamo bellezza e capacità creativa. Secondo questa lettura l’uso della definizione attuale di “circolarità” appare più un tentativo di correggere un’anomalia di un sistema rappresentato da tassonomia sbagliata. In prospettiva ecologica, se in natura non esiste il rifiuto ed ogni sottoprodotto degli agenti rappresenta una opportunita’ evolutiva all’interno di uno schema complesso e non lineare, il principio della circolarita’ risulterebbe pleonastico tanto quanto dire che la natura deve essere naturale. E’ tuttavia un termine necessario quanto quello della sostenibilita’, che implica, infatti, che l’impatto ambientale degli artifici debba essere mitigato fintanto che non saremo in grado di crearne di intrinsecamente ecologici, dunque, intrinsecamente circolari (Melis, 2021). Infatti le nuove generazioni di architetti si trovano quindi di fronte a due sfide. La prima e’ quella di dover rispondere colpo su colpo alle azioni immediate e ostinate dei negazionisti delle questioni ambientali (comprendendo tra questi anche coloro che minimizzano la questione, pur accogliendone I termini piu’ generali, e coloro che affermano che le responsabilità non riguardino gli architetti), con proposte pratiche, tese a tamponare I danni anche all’interno della tassonomia dell’architettura attuale. La seconda e’ quella di mettere in discussione le fondamenta dell’architettura a partire dalla tassonomia. Su questo secondo punto non ci sono molte opportunità di comunicazione con I rappresentanti piu’ ortodossi dell’architettura convenzionale.

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Si può cambiare in meglio o in peggio. Ma, in tempi di crisi ambientali globali, non cambiare implica solo il peggio. La realtà che ci circonda, infatti, non è statica, e neanche progressiva. È semplicemente fluttuante e dominata dalle “inafferrabili” leggi della termodinamica. Per quanto non immediata, questa condizione ha molto a che fare con l’arte: in un influente articolo del 2013 sulla nascita della creatività la paleo-antropologa Heather Pringle ha descritto l’arte come la manifestazione di una modalità di pensiero che si attiva con le emergenze ambientali, in alternativa alla modalità standard rappresentata invece dal pensiero lineare o razionale (Pringle, 2013). Nel pieno di una emergenza ambientale e sanitaria come quella che stiamo attraversando (e che ci ha colto completamente impreparati) sarebbe quindi naturale chiedersi se non ci sia qualcosa di contraddittorio, e perfino perverso, nell’idea di voler imbrigliare la massima espressione della creatività umana in uno spazio ordinato e razionale. Eppure tra i luoghi più amati dai curatori tradizionali c’è ancora il cosiddetto “white box”, inteso come la rappresentazione dello spazio più neutrale possibile a supporto di una lettura organizzata in modo omogeneo, con targhette e caratteri tutti uguali.

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Più semplicemente ha ancora senso, oggi, guidare i visitatori in un museo o in una esposizione di opere d’arte, attraverso un percorso ordinato secondo una logica razionale, come per esempio quella cronologica? Perché mai dovremmo imbrigliare la nostra capacità di associare pensieri in modo originale, anche eversivo, se, come dice Pringle, proprio la prerogativa delle associazioni imprevedibili ed inaspettate ci può aiutare a superare le crisi? Queste sono diventate le domande di ricerca del progetto Comunità Resilienti, per il padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2021. L’obiettivo del progetto era dunque l’esplorazione di forme di architettura intrinsecamente ecologica e la misurazione del loro impatto in termini di benefici per le comunità. Coerentemente con quanto affermato all’inizio di questo testo, la complessità e il disordine, espressi attraverso la diversità delle persone e della ridondanza delle forme, aveva, come immediata conseguenza, l’azzeramento dello scarto. Per questo, indipendentemente dalle posizioni ideologiche, l’inclusione, la diversità e I principi della sostenibilità e della resilienza non sono mai stati messi in discussione. Dopo due anni di lavoro i riscontri e I dati sono incoraggianti e, in qualche misura imprevisti, rispetto alle aspettative iniziali. I risultati sono forse troppi, per essere ricordati tutti adesso.

Particolare da ‘I naufraghi del tempo’, di J.C.Forest e P.Gillon, ©Libraire Hachette, 1974

Tra questi, forse tra i più significativi, il desiderio dei visitatori di abbracciare la complessità delle questioni ambientali. Comunità Resilienti ha chiesto uno sforzo, ai visitatori, superiore a quanto sia stato fatto in passato. Secondo quanto affermato nelle linee guida curatoriali, questa era una necessità dettata dall’urgenza delle questioni ambientali. I visitatori di una mostra non possono più essere passivi osservatori guidati in un percorso curatoriale tradizionale. Il paternalismo dell’architetto-curatore e demiurgo non è coerente con una condizione del mondo dell’architettura cosi tragicamente implicata nel fallimento delle strategie ambientali. I dati dell’affluenza anche per fasce d’età confermano quanto il pubblico sia più disponibile all’impegno di compiere lo sforzo richiesto, rispetto a quanto in molti si ostinino ancora oggi a pensare.   In particolare il 32% dei visitatori minori di 25 anni in crescita anche rispetto ad un’affluenza record per una Biennale di architettura (300.000 visitatori), indica forse una maggiore disponibilità dei giovani a discutere più di sperimentazione e di comunità e meno di città, in modo astratto, e ad andare oltre gli steccati disciplinari e le questioni semantiche delle parole.

Ottimisticamente, questa nuova generazione di architetti potrebbe essere in grado di immaginare un’architettura intrinsecamente ecologica e città che si possano coltivare, e non solo costruire (Melis, 2019). Queste città potrebbero quindi essere capaci di nutrire le comunità (e non solo essere nutrite da queste).

Bibliografia

- Alexander, C. (1968). A city is not a tree. Ekistics, 139, 344-348.

- Graeber, D., & Wengrow, D. (2021). The dawn of everything: A new history of humanity. Penguin UK.

- Gould, S. J. (1998). Full house: the spread of excellence from Plato to Darwin. Senior Managing Editor, 5(2), 68.

- Gould, S. J., & Vrba, E. S. (1982). Exaptation—a missing term in the science of form. Paleobiology, 8(1), 4-15.

- Gould, S. J. (1996). The mismeasure of man. WW Norton & company.

- Khemri, M. Y., Melis, A., & Caputo, S. (2020). Sustaining the liveliness of public spaces in El Houma through placemaking. The Journal of Public Space, 5(1), 129-152.

- Khemri, M. Y., Caputo, S., & Melis, A. (2021). The Drawbacks of a Global Concept of Sustainable Neighbourhoods in Developing Countries. Cities’ Vocabularies: The Influences and Formations, 211-226.

- Khemri, M. Y., & Melis, A. (2020). Achieving community resilience through informal urban practices: The case of El Houma in Algiers. In Informality through Sustainability (pp. 356-376). Routledge.

- Melis, A. (2019). The introduction of nature in the Austrian radicals practice. In Planning Cities with Nature (pp. 45-63). Springer, Cham.

- Melis, A. (2020). Scenario vs processo nella città resiliente: Scenario vs process in the resilient city.

- Melis, A. (2021). Resilient communities/Comunità resilienti. AND Rivista di architetture, città e architetti, (39).

- Melis, A., Davis, M. J., & Balaara, A. (2017). The history and invocation of the Arche in Austrian Radical architecture thinking. Cogent Social Sciences, 3(1), 1368366.

- Melis, A., Lara-Hernandez, J. A., & Foerster, B. (2020). Learning from the biology of evolution: Exaptation as a design strategy for future cities. In The 54th International Conference of the Architectural Science Association (Issue November, pp. 680–688). The Architectural Science Association (ANZAScA).

- Melis, A., & Melis, B. (2021). Community Resilience Through Exaptation. Notes for a Transposition of the Notions of Exaptation Into a Design Practice to Promote Diversity and Resilience as an Alternative to Planning Determinism During Crisis. INTERDISCIPLINARY JOURNAL OF ARCHITECTURE AND BUILT ENVIRONMENT.

- Pringle, H. (2013). The origins of creativity. Scientific American, 308(3), 36-43.

- Sennett, R. (2021). The uses of disorder: Personal identity and city life. Verso Books.