Io Charlotte...

di Patrizia Catalano

Dopo anni di oblìo si ristampa il volume “Io Charlotte. Tra Le Corbusier, Léger, Jeanneret”. Il libro, che ebbe una prima edizione per i tipi di Laterza, trova nel 2021 una ripubblicazione sempre edizioni Laterza ma, per ora –e purtroppo– si tratta solo un’edizione limitata sostenuta da Licio Tamborrino, imprenditore a capo di Scaffsystem azienda pugliese di costruzioni e prefabbricati in metallo.

La fase di recupero delle figure femminili che nel secolo scorso hanno affiancato grandi progettisti sembra oramai iniziata e Charlotte Perriand rientra a pieno titolo in questa rosa di personaggi troppo spesso adombrati dai loro partner e soci. Armata di buona volontà mi sono impegnata nella lettura. Confesso che sono una appassionata di autobiografie il cui limite purtroppo spesso sta nella stesura del testo: essendo gli autori spesso dediti ad altre attività, la scrittura è talvolta il lato debole del racconto. Non è il caso di questo libro dove madame Perriand è autrice di talento, con una scrittura franca e coinvolgente (encomiabilmente tradotta in italiano da Laura Lamanda), un ritmo impeccabile e una storia da raccontare decisamente straordinaria.

Charlotte Perriand, 1928

Si dalle prime pagine si ha un’idea chiara di chi fosse questa donna: una persona con una carica di energia incredibile con la capacità di tradurre le emozioni in idee straordinarie. Piccina si divide tra il villaggio contadino di sua madre in Bretagna e le belle terre di Savoia terra paterna. La natura è un grande alleato di Charlotte da cui raccoglie visioni, emozioni idee. E’ nella natura e dalla natura che apprende i rudimenti per il disegno ed è  frequentando gli artigiani e i contadini dei piccoli villaggi che capirà il valore del saper fare con le proprie mani.

Tokyo, Charlotte Perriand con Soetsu Yanagi e Mikami, 1940

La lunga vita della Perriand (1903 – 1999) comprende molte vite e ognuno può ritrovarsi in una piuttosto che in tutte. Scolara come spesso accade non particolarmente diligente, trova stretta inizialmente la vita a Parigi dove è approdata. Ma sarà proprio a Parigi che imparerà grazie agli insegnamenti materni il valore per una vita indipendente in cui il lavoro rappresenta il riscatto dalle proprie condizioni di partenza. Giovane donna,  incontra una grande maestro come Le Corbusier che il fato vuole diventi il Suo Maestro e con cui collaborerà per molti anni nel mitico studio parigino di reu de Sèvres. Esploratrice e viaggiatrice, per lei il viaggio – a corto o lungo raggio che sia – è sempre fonte di conoscenza Portare in spalla gli sci e lanciarci in intrepide discese nei fine settimana piuttosto che tuffarsi di notte nel  Reno a Colonia o percorrere le Baleari in canoa sono solo alcune delle ‘prodezze’ di Perriand. Ogni suo viaggio (spesso condiviso con l’amico Pierre Jeanneret) è anche un’occasione per raccogliere ‘cose’, reperti, sassi, oggetti rotti: tutto serve ad alimentare la sua capacità di inventare e di rielaborare.

Charlotte Periand, Tokyo e Osaka: Esposizione “ Tradizione, selezione, creazione”, 1941

Perriand è una makers ante litteram che si ingegna a costruire le cose. Una porta scorrevole per l’ingresso della sua prima casa al settimo piano di place st. Sulpice, dei tavoli con piani che non rispettano le forme tradizionali ma che assecondano le funzioni (plurime) di un ambiente e la sua ergonomie e, naturalmente, sedute come la famosa chaise longue che riprendono le regole strutturali degli edifici di Corbu e mobili non mobili come i Casier Standard complici dello spazio architettonico in cui si inseriscono.

Charlotte Péeriand,  Giappone, versione in bambù della chaise longue con struttura in acciaio, 1940

Charlotte è anche una persona capace di mettersi in discussione e affrontare avventure che per una donna di quell’epoca sona davvero fuori dal comune. Come l’esperienza in Giappone, paese in cui si reca durante la seconda guerra mondiale con tutte le difficoltà che questo comportò, e dove impara il valore della semplicità, l’importanza di concentrarsi su piccole azioni come la realizzazione di un vaso o la cerimonia del te. E dai cui assorbe moltissimo dal punto di vista progettuale, trasferendo al suo rientro in patria regole e pratiche di alto artigianato orientale nella produzione industriale occidentale. Ma la cosa che trovo personalmente più interessante nella Perriand è la sua capacità di condividere le esperienze. Per esempio con il suo grande amico Fernand Léger. L’artista che “sognava di affrescare i muri di Parigi e di illuminarli con proiezioni luminose in colori eclatanti e di fare di Parigi la ville lumière, lavorò in molte occasioni con Perriand –di cui fu per altro anche vicino di casa. Progettando mattonelle per pavimenti, grandi collage come “Joies essentielles, plaisirs nouveaux” al Pavillon  de l'Agriculture, durante l’ Esposizione Internazionale di Parigi del 19XX, affreschi per l'Ospedale di Saint Lô di Paul Nelson e altro ancora. Si trattava di un’arte sociale, un’arte pubblica, un’arte per l’architettura, un’arte nell’architettura. E si lavorava insieme  con estrema spontaneità perché arte ed architettura si completavano. Ed è forse proprio questo il migliore insegnamento che si può trarre da questa avvincente biografia: ritornare (oggi) al dialogo tra le arti sarebbe certamente una grande opportunità soprattutto in questo periodo storico in cui si parla tantissimo di cambiamento, ma all’atto pratico pare ancora un miraggio.

Charlotte Periand, Lo chalet di Méribel, 1961