Mandala

La struttura dell’IKI o del soffio della quiete che luminosamente rapisce.

“…cercando Te trovai me stesso…”

Dalla presenza e dalla consapevolezza nasce la struttura dell'Iki. Kuki Shuzo scrive di come il giardino giapponese, che racchiude la quintessenza dell'esperienza dello spazio, possa essere letto alla stregua di un trattato di filosofia buddhista e taoista. Il giardino rappresenta un'ambiente perfetto, inessenziale e essenziale al tempo stesso, in cui nulla permane e in cui tutto è definitivo: "Nel buddhismo zen troviamo spesso disegni concentrici, che rappresentano l'ultima tappa del perfezionamento interiore, l'acquisizione dell'armonia dello spirito." Tali disegni vengono applicati a forme naturali, come il giardino, dove si concretizza, in una sublimazione delle forme naturali, la condizione spirituale dell'artefice.

Japanese House, Marumado, (finestra circolare),

Allo stesso modo, il muro del parco cinese di Wang Shih Yuan a Suchow venne costruito con lo scopo di affermare la dimensione illusoria della materia e del tempo. Il muro cambia colore con il cambiare della luce del giorno: immateriale alle prime luci dell'alba, roccioso quando il sole è allo zenit: "Il passaggio nel muro è ricavato con un grande vuoto circolare, conosciuto mitologicamente come l'apertura della luna, uno specchio virtuale che riflette e moltiplica il giardino stesso”. L'apertura circolare praticata al centro del muro, la cui materialità è messa in discussione dal gioco rifrattivo della luce, ci offre un punto di passaggio, una zona neutrale, al cui interno, per un attimo, possiamo ritrovare il centro di un'esperienza.

Henry Corbin, Schema dei sette Keshvar della geografia immaginale, da Corpo Spirituale e Terra Celeste,

L'idea di giardino come spazio separato, ha un naturale precedente occidentale nell' hortus conclusus' di medievale memoria. Luogo della natura e dell'artificio, è immagine di un cosmo separato e di difficile accesso, la cui volgarizzazione sarà 'l'hortus deliciarum' della letteratura libertina.

Michelino da Besozzo, Madonna del Roseto, (1420-1430 circa) Verona Museo di Castelvecchio

Di questa duplicità dell'immagine del giardino come cosmo separato e come luogo di delizie, ritroviamo traccia nell'Hipnotaromachia Poliphili, dove Giulio Colonna, nella parte dedicata al culto venereo, rappresenta per mezzo del giardino il territorio sacro alla dea pagana.

Francesco Colonna, Hipnotaromachia Poliphili

Il giardino è quindi la parte più ambita e segreta delle molte architetture d'occidente e d'oriente, come i giardini pensili della mitica Babilonia, o dell'Alhambra, alla cui fresca ombra si riposavano i sultani arabi. L'acqua è la silenziosa protagonista dei giardini di marmo dei palazzi dell'Islam e del lontano oriente. Serpentina, a spirale singola o doppia, come il corso d'acqua, labirinto virtuale, incastonato nelle pietre dei giardini della città indiana di Mandu.

Paesaggio di Xvarnah, Antologia persiana, 1398

Il cerchio e la spirale sono forse un'allusione alla forma archetipica del mandala, alla configurazione della via da percorrere per giungere al centro dell'esperienza del sé. Che, così sembra indicare la configurazione della doppia spirale, come viene conquistata, al tempo stesso immediatamente perduta. Naturale e artificiale si compenetrano, dandoci l'illusoria sensazione di essere due facce della stessa medaglia.

Specchio in bronzo, Giappone, tredicesimo secolo, che illustra le quattro tipologie di base dell’architettura rurale giapponese

"Ora le espressioni oggettive dell'iki si possono distinguere in espressioni in quanto forme naturali, ossia espressioni naturali, ed espressioni in quanto forme artistiche, ossia espressioni artistiche. Indagare se queste due forme espressive ammettano una distinzione così netta, vale a dire se dopotutto la forma naturale non finisca per coincidere con quella artistica, sarebbe una questione assai interessante: ma per il momento la lasceremo da parte, e cercheremo invece per comodità di tenere distinte le due forme, adeguandoci così alla mentalità corrente. Vediamo innanzitutto di riflettere sull'espressione in quanto forma naturale. Con forma naturale possiamo intendere la percezione di fenomeni naturali nel mondo naturale nella forma della cosiddetta "empatia simbolica", come pure l'impressione iki che possono suscitare i salici o una pioggia leggera; qui, però, ci soffermeremo ad esaminare come forme naturali soprattutto le manifestazioni corporee che rientrano nella sfera della empatia propriamente detta". (da Kuki Shuzo, la struttura dell'iki,)

Giovane donna con un bocciolo di fiore tra le dita, XIX°secolo, collezione Francois Duhau de Béreux

L'Iki si riferisce ad aspetti molto concreti dell'esperienza, e in particolare all' atteggiamento che verso la materialità del mondo ha lo shintoismo.  La seduzione allerta i sensi con la precisa funzione di tenere desto il desiderio, di mantenerne attiva la presenza, senza mai giungere alla sua soddisfazione. E' attraverso questo desiderio 'continuo', che condiziona la sfera estetica della sensualità non rifiutata, ma cercata e praticata come una via di liberazione, che si attiva il senso della presenza.

Jeune femme à la poitrine dénudée, époque Kia-King, Collection Michel Beurdelay, Paris

La sublimazione del desiderio giunge alla fine, appresso alla constatazione dell'impossibilità di arrivare a piena e compiuta soddisfazione. E' la suprema estetizzazione di un frammento emotivo, che determina l'insieme degli atti cosci o inconsci di un uomo che consapevolmente cerca nei meccanismi della seduzione e della soddisfazione dei sensi una possibile approdo alla fondazione del sé.

Union sexsuelle du yin et du yang, gravure illustrant le Sing-ming-kouei-ycheu, manuel d’alchimie interne., Bibliotéque Nationale, Paris

L'ultimo aspetto di questa singolare esperienza della forma è appena accennato da Shuzo, ma di fatto costituisce il vero punto centrale di tutta la questione: l'espressione naturale e l'espressione artistica sono medesima cosa, o, viceversa, l'espressione artistica è completamente cooptata dalla dimensione culturale della conoscenza? Nella tecnica della meditazione si ha la sensazione che la mente si trasformi in puro spazio, che natura e artificio si ricompongano in una strana unità, dove l'artificio, la tecnica, è la manifestazione dell'essere naturale, dell'essere nella natura, dell'essere tutt'uno con le cose: "Chi medita riferisce anche di aver sperimentato lo spazio e la spaziosità della mente. Una metafora tradizionale per questa esperienza accosta la mente al cielo (uno sfondo non concettuale) nel quale i differenti contenuti mentali sorgono e tramontano come nuvole."

Clouds, The Alfred Stieglitz Collection, 1928, The Metropolitan Museum of art, NY

L'idea di una manifestazione della sensazione della mente, di ciò che nelle culture d'occidente e identificato come sé, e la sua trasformazione in puro spazio, cielo, determina una particolare e specifica qualità dell'esperienza. A questo punto ci sembra artificiosa la divisione tra ciò che la mente ritiene elaborazione autonoma, che chiamiamo espressione (ricordo qui che espressione e rappresentazione costituiscono il dominio specifico dell'arte, di quell'area della conoscenza il cui specifico linguistico è essenzialmente connotativo) e ciò che l'insieme delle nostra natura, in quanto parte attiva dell' ambiente complesso cui siamo integrati, vive come esperienza consapevole del nostro corpo, e che chiamiamo rappresentazione. E' questa un'esperienza che traduce la sensazione in corporalità e la corporalità in sensazione, dove si intende con sensazione l'aprirsi di un corpo al sentire.

Francis Picabia, Minos, 1929, New York, NY

Con il termine iki, di difficile, se non impossibile, traduzione, si intende perciò in oriente non una pratica cosciente, e neppure un particolare modo di essere che si acquista attraverso l'apprendimento di un complesso rituale. Bensì quel particolare stato d'animo, che, negando tutti gli altri, stratificati nella nostra mente grazie alla civilizzazione dello spirito, afferma l'unica via percorribile, attraverso l'integrazione di natura e artificio.

Michael Maier, Symbola Aureae, Frankfurt a.M. 1617

Nelle sue recensioni ai Salon, Baudelaire si scaglia con un certa veemenza contro la diffusione di una parola d'uso borghese, 'chic', che incarna la quintessenza della stupidità artistica dei suoi contemporanei. 'Chic' è qualcosa che corrisponde pienamente al gusto dell'epoca, gusto che sempre corrompe la lealtà dell'espressione artistica.  L'arte deve considerarsi come qualcosa la cui essenza trascende il tempo e tutte quelle manifestazioni delle categorie temporali che corrispondono alla mondanizzazione dello spirito.

Odillon Redon, Poi l’angelo caduto spiegò le ali nere

La stessa parola viene concepita in modo radicalmente diverso dall'iki. ‘Chic’ diventa una manifestazione dell'adeguarsi dello spirito al mondo, alla sua possibilità di trasformarlo attraverso l'intensità del desiderio. Trasformazione che si opera senza trascendere il tempo, bensì fecondandolo con la consapevolezza dell'essere qui ed ora. E' nella realizzazione della consapevolezza del tempo, che trova ragione un concetto così apparentemente effimero. Radicandosi profondamente nella coscienza del tempo, se ne ottiene la revulsione, il distacco, quella felice condizione che sembra l'unica sincera manifestazione dello spirito dell'arte. 'Chic' diventa dunque strategia di seduzione, ed ha come conseguenza l'agire in simbiosi con il proprio tempo, armonizzando il proprio spirito con la coscienza che percepisce il mondo.

Ying-ying avec son  amant Tchang Cheng et la jeune servante, èpoque K’ang-hi (1662-1722, Freer Gallery of art, Washington

Le condizioni e le premesse per una rappresentazione dello spazio e del tempo sono nella mente dell'uomo, e premettono l'esperienza di quello che le tradizioni orientali chiamano il 'vuoto', il centro del mandala, il nucleo più essenziale della conoscenza del sé. "…Davvero come è esteso lo spazio così è il vacuo all'interno del cuore. Cielo e terra stanno in lui. Agni e Vayu, il sole e la luna, così pure le stelle e il fulmine e ogni altra cosa che esiste nell'universo e tutto ciò che non è, tutto in quel vacuo esiste…” (Chandogya-up. VIII,1,3)

Krsna e Radha, Il linguaggio del desiderio e dell’amore umano, scuola di Jaipur, XVIII° ca.

“…La visione degli Silpiyogin rappresenta una forma suprema di concentrazione, soprattutto quando l’esecuzione del rituale è combinata con le tecniche dello yoga. Gli Silpiyogin sono a rigore, degli innovatori e dei creatori; essi esprimono un ordine che già esiste (sarvam), di cui essi fanno parte e che quindi essi ripresentano al mondo. In questo ‘restituire’ al mondo, il processo attraverso il quale l’artista si realizza in relazione al tutto è molto più importante dell’opera d’arte che viene creata. Per l’artista rituale, il fare un’opera d’arte è un sistema di vita mediante il quale si sperimentano e si comunicano i principi dell’ordine cosmico…” (Ajit Mookerjee, L’arte rituale in India)