ARTE-CITTÀ-TERRITORIO: ESPERIMENTI DI CONNESSIONE
Una riflessione di Alfonso Femia
Eva Koch è un’artista danese che interagisce con il paesaggio, creando opere che abitano il quotidiano delle persone, colline artificiali per far giocare i bambini, video installazioni. Soggioga luci e suoni, trasforma, permanentemente, lo spazio pubblico. Ogni singolo individuo, a prescindere dalle sue conoscenze e competenze, può entrare in contatto con le sue forme d’arte.
Non è questo l’unico esempio notevole di arte urbana diffusa, ma è particolarmente interessante perché lavora sulla persistenza della relazione tra oggetto e città. È il tema della connessione e della contaminazione che spinge l’arte a uscire dai confini codificati e la città ad accogliere l’arte: non c’è un modello di riferimento, né un linguaggio che orienti la realizzazione di questo percorso.
La via è quella della sperimentazione, come sta provando a fare Hoperaperta con il progetto delle opere d’arte esposte in una dimensione pubblica inclusiva, durante le settimane dedicate al design, in concomitanza con il Salone del Mobile, nella città di Milano. E come sto facendo, attraverso 500x100, il progetto di ricerca sui temi dell’architettura, del design, dell’arte e della città, portando il progetto di Hoperaperta proprio in un luogo d’arte, architettura urbana e design, il lifestyle store VIA GARIBALDI 12, nel centro storico di Genova, ospiti di Lorenzo Bagnara, scegliendo una modalità alternativa di contatto tra persone e arte.
Funzioneranno questi esperimenti? È presto per dirlo, sicuramente sono un impegno serio verso un processo di allontanamento dall’esclusione.
Ci stiamo affacciando a scenari sempre più complessi. L’arte sta nei musei in una dimensione esclusiva. E se, da una parte, è vero che chiunque può accedervi, c’è da chiedersi se le espressioni d’arte contemporanee che parlano con la natura, le installazioni temporanee, l’immateriale possano trovare in un luogo chiuso e connotato fisicamente e concettualmente la loro migliore potenzialità di comunicazione. Così come sta accadendo per la scuola e per l’ufficio, per l’abitare, il modello spaziale del museo viene messo in discussione perché funziona sempre meno bene. L’accesso all’arte deve individuare forme totalmente libere. Sarebbe sicuramente più semplice conservare la comoda associazione spazio-funzione perché consente di organizzare secondo modelli noti e di classificare in base a schemi storici. Ma è sempre più evidente il bisogno di connessione, di sperimentazione, di creatività e soprattutto di curiosità.
Molti dei progetti contemporanei a scala urbana che accolgono architetture raffinate dedicate alla cultura sono permeate dal culto della separatezza, secondo un esercizio tautologico, in cui l’arte sta nell’architettura che è – essa stessa – opera d’arte. Le porte sono chiuse, il dialogo può essere nazionale, più spesso internazionale, ma alla scala del quartiere e delle persone non accade nulla. E questa separatezza si esaspera ancora di più quando i musei si insediano nelle periferie in fase di trasformazione: il museo-architettura e il suo contenuto di alto profilo non sono in grado di costruire alcuna relazione di dialogo con l’intorno popolare, talvolta neppure sull’indotto, visto che i visitatori approfittano del ristorante o delle caffetterie interne all’edificio. L’architettura diventa riferimento, ma al di fuori del contesto di prossimità, senza generare beni collettivo.
500×100 è una piattaforma di dialogo nata nel 2015 con l’obiettivo di investigare tutto quello che accompagna l’architettura e il design nel processo di integrazione con la città. Un ricchissimo archivio di video interviste (più di 500) a progettisti, amministratori, personaggi della cultura testimonia l’impegno di Alfonso Femia, insieme a Giorgio Tartaro e Marco Predari, per comprendere le diverse velocità con cui variano i contesti urbani e la trasformazione continua dell’ambiente stressato dal cambiamento climatico.
Alfonso Femia è ideatore e co-fondatore nel 1995; di 5+1, nel 2005 trasformato in 5+1AA e che ha successivamente, nel 2017, mutato la sua denominazione in Atelier(s) Alfonso Femia. Ha svolto attività accademica alla Kent State University di Firenze, alle facoltà di Architettura di Ferrara e di Genova ed è stato visiting professor all’università di Hong Kong. È visiting professor alla Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara, della Federico II di Napoli, all’Università degli Studi di Cagliari e alla Scuola di Architettura del Politecnico di Torino. Affianca all’attività progettuale un serio e approfondito lavoro di ricerca sviluppato, nel corso degli anni, sia sul fronte teorico e laboratoriale, sia attraverso indagini sul territorio, dialoghi sul campo che creano connessione tra l’architettura, le persone, le loro narrazioni e geografie. Per il Fuori Salone 2019, a Milano, ha realizzato l’opera “L’altra faccia della luna”, per Milano Design City 2020 il “Disco di Nebra” e per Milano Design City 2021 “La trama Infinita”, oggetti/installazioni artistiche nell’ambito del progetto HoperAperta di Patrizia Catalano e Maurizio Barberis
È autore di numerosi saggi e testi sull’architettura.
Tra i suoi progetti, i Docks a Marsiglia, le Torri di San Benigno a Genova, il quartier generale BNL/BNP Paribas a Roma, numerosi complessi residenziali e architettura scolastica in Italia e in Francia.