Della Pittura?
Dovrebbe essere una conclusione…
di Silvio Fuso
Dovrebbe essere una conclusione...impossibile! Per la cosiddetta estetica come per la fisica: non esiste una grande Teoria Unificata. Pure "la vita continua" e qualche significato, qualche indirizzo ce lo si dovrà pur dare, altrimenti si rischia un triste e sterile relativismo, degno di miglior causa...e quindi la pittura (e il resto delle arti belle), tutta, con tutti i mezzi, le accezioni, finanche i più brutali stravolgimenti, deve continuare. Non risposte a domande pur giuste e inevitabili, ma impegno e desiderio... di intervento.
Ragionato si intende, come quello portato avanti negli anni bui della dittatura e in quegli lucenti del suo magistero, da Dino Formaggio, che seppe fare della fenomenologia di Banfi un duttile strumento per la conoscenza dell'artisticità (non dell'estetica, non più). Per Dino Formaggio la tecnica artistica "sorge nell'uomo come sensibilità e natura. Diventa, con l'uso, volontà e coscienza; crescendo su se stessa, diventa intelligenza, umanità". Tecnica e azione (umana) garantiscono della natura ultima del gesto artistico "segnato dall'irrevocabile vittoria del fine toccato dall'autocompiutezza...azzardo, rischio, fede, ma, insieme, legalità, scienza, ragione". Ci si deve sporcare filosoficamente le mani dunque, ma si ottiene così il pieno riconoscimento del fare arte che mai prescinde da materia, sensibilità, lavoro, progetto, caso. Tradizione e natura.
Tecnica come nodo olistico inevitabile, sicurezza che corpo, lavoro, materiali, immagini sono un tutt'uno che non si può facimente scomporre in parti descrivibili o ridurre ad un semplice algoritmo. E se poi non ci fidiamo dei pensatori (ma consiglio a tutti la "Fenomenologia della tecnica artistica"di Dino Formaggio), rivolgiamoci agli stessi artisti: "voglio solo dipingere" affermava Tobey, e Weston, a chi gli chiedeva se era arte la fotografia, rispondeva con uno sberleffo "¿quien sabe?...a me piace"...risposte militanti, per così dire. Ma ci sono grandi artisti e, al contempo, impavidi teorici, che non si sottraggono alle investigazioni sulla natura profonda dell'arte, sul senso e la responsabilità del loro lavoro e, conseguentemente, del loro pensiero. Si, per fortuna succede anche con i contemporanei. Pensate a Tony Cragg per esempio: "tutti gli individui devono formarsi un'immagine del mondo e della propria esistenza nel mondo... ma gli artisti devono far di più. Il rapporto tra gli oggetti, i materiali e le immagini, aree ovvie e sconfinate, ma, anche, terreni apparentemente difficili per il lavoro degli artisti che non vogliano ricorrere alla magia, alla mistificazione o all'alchimia".
Tanto basti, non è possibile ripercorrere il pensiero e la poetica del grande scultore in poche righe, io ho voluto sottolineare soltanto l'austero compito che egli assegna al fare arte. Va da sé che per Cragg la scultura fonde aspetto noetico, creativo, addirittura evolutivo: il suo processo di crescita non ammette mode o scorciatoie sociali. L'arte è una necessità dell'uomo. L'arte è un mestiere dell'uomo.
Cambiando mondo, tempo, spazio nulla cambia, anche nel cosmo taoista di Shitao "Se l'Uomo trascura la regola per occuparsi solo di conquistarne la realizzazione, se l'Uomo trascura il principio della pittura per dedicarsi immediatamente alla creazione, allora il Cielo non è più in lui; potrà anche dipingere e fare calligrafie, ma la sua opera non reggerà." Voglio scusarmi per le troppe citazioni, avrei voluto una scrittura vivace, colta ma diretta, ho usato invece le parole degli Autori… chiare...a scapito dello stile. E non ho forse dato il necessario rilievo al "lavoro" della pittura (avrei dovuto ricorrere ancor di più agli Autori). Credo però sia ben chiaro che mi appello ad una concezione unitaria, monistica, del gesto artistico, lo colloco all'interno di una rinnovata filosofia "organicista", alla rilettura attenta di Bergson piuttosto che di Whitehead, attuata dai giovani filosofi italiani e francesi.Panpsichismo? Ritorno all'Armonia mundi rinascimentale? Si, se a ripararci sarà,ancora una volta,il grande, infrangibile scudo dello scomunicato di Amsterdam, Baruch Spinoza, il tornitore di lenti.