Carmine, e la pittura? Painting is back!

di Maurizio Barberis

Francesco Clemente, Porta Coeli, 1983, Collezione D’Ercole, Roma

Francesco Clemente, Porta Coeli, 1983, Collezione D’Ercole, Roma

“…Fin dall’età di sei anni, avevo la mania di disegnare la forma degli oggetti. Verso l’età di cinquant’anni, avevo pubblicato un’infinità di disegni, ma tutto quello che avevo prodotto prima dei settant’anni non vale la pena di essere tenuto in conto. Solo all’età di settantatré anni ho capito più o meno la natura degli animali, delle erbe, degli alberi, degli uccelli, dei pesci e degli insetti. Di conseguenza, all’età di ottant’anni avrò fatto ancora più progressi; a novant’anni, avrò penetrato il mistero delle cose; a cento, sarò certamente giunto in una fase meravigliosa, e quando ne avrò centodieci, tutto ciò che farò, un punto, una linea, sarà vivo. Prego coloro che vivranno a lungo quanto me di vedere se manterrò la promessa.

 Scritto nel mio settantacinquesimo anno d’età, da me medesimo, un tempo Hokusai, oggi Gwakio Rojin, il vecchio innamorato pazzo della pittura…”

Mimmo Paladino, Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro, 1977

Mimmo Paladino, Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro, 1977

Carmine. Buongiorno Eftimio, sono appena uscito da un’interessante mostra dedicata all’arte italiana degli anni Ottanta, o, sarebbe meglio dire, parafrasando il curatore dell’esposizione, di quegli anni Settanta terminati negli anni Ottanta, laddove finisce il Museo e finalmente inizia la Discoteca. Eftimio. Dunque Carmine, ti è piaciuta la mostra? Carmine. A tratti, come direbbe Gep Gambardella, a tratti. Eftimio. Orsù dunque Carmine, spiegati meglio. Carmine. Mah, direi che nell’insieme si tratta di un progetto molto ambizioso, che tenta di ricollocare un bel pezzo di storia patria nel contesto di un’epoca, così la si può definire, dominata da una nuova emergente figura, quella del Curatore Internazionale, o meglio lo ‘Star Curator’, artefice, neppure tanto occulto, delle fortune mercantili e artistiche di una generazione di autori. I quali, partendo dall’oggettiva necessità di ritornare a parlare e a fare nell’arte cose di pittura, vennero spalmati, nell’italico dialetto, sull’intero mondo civilizzato d’allora.

Sandro Chia, Pittore e sole, 1981

Sandro Chia, Pittore e sole, 1981

Eftimio. Capisco, in effetti ne ho sentito parlare. Ma forse, per evitare confusioni e facili prospettive generalizzanti, converrebbe mettere qualche punto fermo alla discussione, del genere, per esempio, di quelli che tanto piacevano ai filosofi antichi, ovvero, cos’è l’Arte, che cosa la Pittura e in quale relazione Arte e Pittura stanno, e, soprattutto, perché si ha il bisogno di raccontare un ritorno della Pittura sulle scene dell’Arte, come se tra queste due cose, se così possiamo chiamarle, esistesse uno iato insondabile. Forse va ribadito che, come quel gesto della figlia del vasaio di Corinto ci insegna, tutte le espressioni artistiche, passate, presenti o future, derivano da questa scienza madre, ché cosi la definirei, una scienza, ovvero uno strumento attraverso cui l’Uomo ha esplorato dominii altrimenti insondabili. La pittura, come il bastone del cieco, ci permette di definire, di circoscrivere, di esplorare la natura ultima delle cose del mondo, di quel mondo che per altro sfugge alle necessarie definizioni di altre Scienze.

Nicola De Maria, Testa dell’artista cosmico pittore cantante, 1982,  collezione privata, Torino

Nicola De Maria, Testa dell’artista cosmico pittore cantante, 1982,  collezione privata, Torino

Carmine. Quindi Eftimio caro, mi stai dicendo che la pittura non è tornata perché semplicemente non se ne è mai andata, essendo presente in spirito, se non in corpo, in tutte le manifestazioni dell’arte degli ultimi cent’anni, anche di quelle più estreme che hanno voluto negarne la suprema natura di strumento conoscitivo. Eftimio. E’così, e per esserne certi basta rileggere alcune delle dichiarazioni dei protagonisti di quegli anni tormentati, che, di fatto purtroppo hanno prodotto come risultato più immediato un’immersione profonda, un sonno letale dell’arte stessa, che si è infranta sulle banane autoctone di un altro grande italiano che qui non vorrei nominare. Così, per esempio, potremmo citare la citazione di Gino De Dominicis fatta dal Curatore “…Il disegno, la pittura, la scultura, non sono forme di espressione tradizionali, ma originarie. Quindi anche del futuro…”.

Gino De Dominicis, Con Titolo, 1984, galleria Nazionale d’Arte Moderna

Gino De Dominicis, Con Titolo, 1984, galleria Nazionale d’Arte Moderna

 Carmine. Dunque mi stai dicendo, amico Eftimio, che la voluta e insistita proletarizzazione della pittura, attraverso l’abusato ricorso allo strumento autoreferenziale del citazionismo ‘pop’, travestito da manierismo, ha prodotto come risultato, nel tempo, un inabissamento delle ragioni più schiette del fare Arte? Eftimio. Pressappoco. Ma qui entra in gioco un’altra figura che completa la squadra dei giocatori in campo in quei meravigliosi anni Ottanta, quella del ‘Grande Gallerista’, più mercante che connoisseur, più esperto di intrattenimenti mondani che frequentatore di Musei d’Arte, figura chiave, trait d’union tra l’imprescindibile necessità di storicizzazione dell’Artista e la sua canonizzazione nel mercato dell’arte. Naturalmente qui non si parla più di Storia, ma si entra nel Mito e il racconto si fa agiografico, dettato dalla necessaria beatificazione del Santo Autore Italiano.

Luigi Ontani, ShivAshrvad, 1976, Collezione D’Ercole, Roma

Luigi Ontani, ShivAshrvad, 1976, Collezione D’Ercole, Roma

Carmine. Sento nelle tue parole una certa amarezza e pur comprendendone le ragioni, certo dettate dagli sviluppi che l’arte ha avuto nei decenni successivi, non mi sento di condividerle fino in fondo. Questa pur bella mostra va compresa e difesa nelle nobili ragioni del suo Curatore, che con sguardo magnanimo ha esteso il paradigma dell’arte pittorica anche laddove forse poteva sembrare, ad uno sguardo involuto, eccessivo indulgere. Eftimio. Parli certamente dell’inclusione in mostra di un’opera monumentale come quella dello Studio Azzurro, ‘Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg)’ nata e progettata in un contesto, quello di Palazzo Fortuny, col contributo di curatori come Silvio Fuso e Sandro Mescola, che certamente, in quel momento, non avevano in mente i destini della pittura, bensì un nuovo risorgimento dell’arte video-programmata. Carmine. Ma, infine, ciò che abbiamo detto della pittura all’inizio, la sua natura di matrice di tutte le arti, giustifica ampiamente la necessaria inclusione di quest’opera in una mostra dedicata alla rinascita e alla prematura, spero non definitiva, scomparsa della pittura stessa. Come Araba Fenice. (Dialogo liberamente ispirato al “Carmine o della pittura” di Cesare Brandi, Roma 1945)

 Salvo, Paesaggio con rovine, 1984, collezione Giovanni Michelagnoli, Venezia

 Salvo, Paesaggio con rovine, 1984, collezione Giovanni Michelagnoli, Venezia