Alone

Brevi considerazioni su una primitiva condizione dello spirito

by Maurizio Barberis

“ ….to move along the edge of the hills, rising or setting, would be stand alone.......”
                                                                                                                   

-La Fotografia. La camera intesa come monade, estensione protetica della vita spirituale dell’artista, del suo intelletto e della sua anima, chiamata da remoti eterei a condividere con altri milioni di esseri l’esperienza della vita comune, quest’abitacolo incomprensibile che si apre solo dietro la spinta dell’ebrezza e del farmaco. Esseri viventi, macchine biologiche e organiche o frammenti di meteoriti, esseri cosmici che appartengono all’universo chirurgico della monade eterna, di quell’anima universale che si prospetta come un luogo di estrema pazienza e di molte sorprese.

- La Sensazione Cosmica. L’anima universale si frappone tra l’essere e Dio, ne accentua la solitudine attraverso l’infinita lontananza dall’oggetto del nostro desiderio, l’immortalità, la banca del cosmo segreto che detiene il potere d’emissione dei buoni del tesoro della Vita Eterna. Solitudine dell’individuo che si affanna assieme ad altri miliardi di individui a superare la barriera dell’universo, sciogliendosi dentro di esso come una goccia d’acqua si scioglie nel mare. Sensazione del divino, percezione dell’essere supremo, che si concede solo all’umana speranza, da sideree distanze, poiché qualcuno o qualcosa ha inserito nel nostro piccolo cervello un granello di senape che spasima all’idea del ritorno.
 Quest’ansia è dunque, nel nostro patrimonio genetico, una beffa o un’opportunità?


- La Percezione del Vuoto. La solitudine dell’essere vivente di fronte alla sensazione di un immenso vuoto, privo di vita, o perlomeno privo di forme di vita per noi comprensibili, dove l’organico sembra non avere compagnia. La solitudine dunque, oltre che un fatto percettivo (la gabbia dei sensi) e quindi esistenziale, è anche e soprattutto un fatto connotativo, che nasce dalla sublime constatazione di un cosmo vuoto, un abisso ostile, e di come a questo luogo tremendo abbiamo dato il nome di Dio.


- La ricerca. Ci aspettiamo cenni dallo spazio, frammenti pulsanti di intelligenze sorelle, che ci inviino bacini e baciotti da galassie sperdute, piccoli omini gialli monopedi pieni di tentacolini pulsanti, prova evidente del darwinismo sfrenato, del superbo senso dell’umorismo del divino creatore. La scienza ha affinato questa disciplina delle speranze, occhi telescopici scrutano galassie lontane, affondano negli orridi buchi neri prodromi dell’antimateria, prova evidente dell’esistenza di Dio, affidando
a minuscoli razzetti pieni di ogni umana delizia, la testimonianza concreta dell’esistenza di intelligenze superiori su questo nostro sperduto pianeta.

Ma ciò nonostante il cosmo insiste nel suo rumoroso silenzio.


- Le origini della vita. Nessun altro essere organico sembra volerci rassicurare da mondi lontani sulla necessità della vita in questo Universo, attraverso la ripetizione, attraverso una costante che decida una volta per tutte che, laddove ne esistano
 le premesse, esulti il germe e prosperi l’ameba, pronti nei millenni a fornire la prova, inconfutabile, di una necessità immanente al cosmo, che non abbisogna di alcun piano divino, che rompa l’idea di unicità che ci portiamo appresso.
 Insomma per dirla breve, se la vita esiste solo su questo pianeta, e se in tutto l’infinito universo non si è mai ripetuta questa strana alchimia che ha generato forme di vita dotate di pensiero e autodeterminazione (libero arbitrio), beh, forse dovremmo fare
i conti con la scomoda idea che questo comporti un qualche destino di cui noi siamo inconsapevolmente protagonisti. Aloneness come silenzio di Dio?

- L’incomprensione. Pochi sembrano comprendere, in virtù delle considerazioni di cui sopra, l’importanza fondamentale di ogni più piccolo frammento di vita, la preziosità di ogni piccola manifestazione organica, anche la più umile, che solo su questo pianeta, sino a prova contraria, di fronte a miliardi di mondi, manifesta la sua presenza. Abbiamo solo questo, e se prima di scatenare l’ennesima guerra fratricida, gli uomini di buona volontà e anche quelli di cattiva, volgessero gli occhi al cielo, e scrutando le miriadi di stelle che aprono il cosmo sulla loro testa, riflettessero su questa semplice ed elementare verità, forse la maschia volontà di potenza, sempre omicida, che li anima, lascerebbe il passo a un desiderio più femminile di vita e durata.


- Il Paradiso Perduto. Ogni nostro sforzo sembra invece votato alla distruzione paranoica di tutte le forme di vita, e, tranne quelle che riteniamo di immediata utilità per la nostra personale sopravvivenza, ogni altra ci appare ostile e meritoria di immediato annichilimento. Senza renderci conto che questo nostro sublime egoismo ci allontana ogni giorno, ogni ora, ogni secondo, dal tanto agognato Paradiso Perduto, laddove solo la conciliazione e l’armonia di ogni forma di vita potrebbe farci tornare. Non è il sesso e l’amore che Adamo ha scoperto mangiando la mela, bensì l’orrida violenza, amica e sodale di tutte le forme di devastazione e di ingiustizia che hanno oscurato il cielo del nostro pianeta.                                                I preti mentono, a qualsiasi parrocchia appartengano.

 - La morte. Nella morte il significato della vita. Fatalmente continuiamo a interrogarci sul nostro destino al di là della fisica, sulle ragioni morali della nostre banali esistenze. La morte incombe, come una domanda a cui bisogna dare risposta, senza poter procrastinare l’incontro con la Sfinge che eternamente ci pone la sacra questione. Solo chi potrà rispondere avrà dunque il dono dell’immortalità. Siamo forse solo animali morenti, votati all’oblio totale, al buio assoluto, all’assenza di spazio e di tempo. O forse la morte racchiude un enigma più grande, un sacro mistero, che l’uomo, più di ogni altro essere organico, si illude di penetrare, attraverso i riti, le gestualità arcaiche delle magie perpendicolari e parallele che ogni religione degna di questo nome impone ai suoi più fedeli devoti.

Una perdita di libertà morale che si giustifica solo in virtù di un sogno di vita eterna, un soffio di immortalità.

- Residui. Frammenti quindi, residui di pensieri che vagano come Eidola disperse nel vento dei nostri incubi notturni, che si fanno largo nelle ore silenziose del sogno che scandisce il cammino dell’anima nel buio infernale della psiche, misterioso luogo che generazioni di addetti ai lavori, su nostra diretta delega morale, hanno scandagliato per riportarci brandelli di piccole verità che assieme non ricompongono mai un disegno convincente, una prospettiva Illuminante, ma che ci possono comunque servire come viatico per una vita migliore.


- La notte. Le ore notturne sono le più fertili al cammino dell’anima verso l’intelligenza di mondi negati alla ragione, all’intelletto performante che brillante di razionalità ci guida nelle ore solari, opponendo ragione alle sicure insidie della materia. Si apre qui una via di speranza che passa attraversa le bocche infernali che solo l’anima è in grado di conoscere, ché lei sola ci può condurre verso ciò che invano cerchiamo nel buio dei templi. L’immenso baratro che si spalanca dentro di noi è solo l’eco distorto di ciò che ci sta sopra. Solo la notte sembra renderne ragione, protetta dal sole zenitale e dalla canicola di Sirio, suggerendoci che il sopra è come il sotto e come ciò che sta in alto possa trovare ospitalità dentro gli abissi della nostra psiche.


- Geografie. Non possediamo una geografia comprensibile di tutto questo, non abbiamo mappe, sentieri tracciati, strade sicure già percorse e segnate, che ci diano la certezza dell’accesso. Le nostre mappe si spingono solo dove il sole può illuminare, dove discipline come l’astrofisica e la psicanalisi ci consentono di arrivare senza troppi problemi. Ma c’è un oltre, una zona buia o poco illuminata che ci sfugge, e che la ragione, l’io erculeo di junghiana memoria, non può penetrare. Solo i maghi, gli stregoni e i poeti, e perché no, i fotografi, i frequentatori dell’ombra, posseggono parole e strategie, sacre cartografie per tracciare un cammino che non può essere altrimenti percorso:

“.....vivere dentro un paesaggio, sassoso, senza colori, senza alberi, sotto un cielo di un indefinito color ocra che sembra rispecchiare il tono dominante delle colline che si dispongono ad anello attorno a me. I giorni scorrono tutti uguali, senza soluzione di continuità, senza eventi che ne interrompano l’attonita malinconia, nell’attesa. Attesa di chi, di che cosa, non è dato sapere, l’attesa è l’unica speranza a cui mi aggrappo, qualcosa deve pur accadere, qualcosa che mi faccia capire che il tempo esiste ancora, come la vita. Uno sguardo, ecco cosa sono ormai, uno sguardo che scruta l’orizzonte, un orizzonte sempre eguale, sempre distante, sempre irraggiungibile, identicamente luminoso, accordato al colore del cielo.
Quando scende la sera un buio senza stelle invade il paesaggio. Non mi resta che coricarmi, nella vana speranza di un sonno senza sogni, aspettando così, in questa meravigliosa condizione anestetizzata, il sorgere dell’alba e del dolore.

E invece sogno, faccio sempre lo stesso sogno, tutte le notti, da un tempo ormai immemorabile. Sogno di vivere in un paese lontano, molto lontano, dove si parla una lingua che non è la mia, che non contiene il ricordo di mia madre, del suono della sua voce. Cieli azzurri, tanti alberi, molto verde, il rosso dei tetti di una bella città, costruita con la pietra e il mattone, belle architetture, armoniose, emergono dal nulla della mia mente, chiese maestose e palazzi sontuosi, abitati da un popolo di strane creature, silenziose ma partecipi.
L’occhio gioisce perché l’uomo del sogno è un artista, un essere sensibile ai misteri e ai tormenti della bellezza, forse anche un poeta. Il giorno è pieno di incontri, di cose interessanti che continuano a accadere. Una curiosa inquietudine mette a disagio l’uomo, che non capisce da dove venga, non ne capisce il senso. Tutto sembra così perfetto. Ma anche nel mio sogno il sole tramonta, e l’uomo, stanco, si corica sotto un cielo stellato. E come chiude gli occhi, ecco mi sveglio, come ogni mattina, da un tempo immemorabile. La luce glabra del mio cielo invade già la stanza. Esco dalla mia piccola casa di pietra, mi siedo sulla soglia e incomincio a scrutare l’orizzonte, chiuso tra i sassi delle colline rocciose, senza vita. La luce si alterna al buio e il buio alla luce, infinite volte per infiniti giorni e infinite notti....”