“Allegoria d’autunno”
di Silvio Fuso
Una città deserta, non più raggiungibile (tanto meno visitabile) senza abitanti, un "corpo spirituale" di bellezza e armonia. Questa la Venezia di D'Annunzio prefigurata nel discorso di chiusura della prima Biennale d’Arte, la celebre "Allegoria dell'autunno". Un'iperbole del Vate d'Italia o forse una speranza... una fuga nel sogno, per chiudere gli occhi a una veglia più triste che tragica dove tenebre dickensiane, lugubri silenzi, sono subito seguiti, o preceduti da un bailamme che definire turistico fa rimpiangere un sabato pomeriggio all'ipermercato. Arte e cultura a Venezia, davvero bisogna parlarne? E se Andrea Gritti ci sentisse? O il perfido Aretino con i suoi menù pittorico-sessual-alimentari? Per provarci, comunque, lasciamo da parte le meraviglie sedimentate da una storia irripetibile, niente musei quindi, né chiese o palazzi, non le grandi Scuole,ilGhetto, le biblioteche. E neppure l'università buona per la politica e la sociologia.
Arte dunque,arte da fare e da mostrare…
Circa 130 anni fa un grande sindaco, Riccardo Selvatico (un intellettuale, autore tra l'altro di sapide commedie dialettali) e un eletto gruppo di amici "pensarono" la Biennale. Se ne è scritto fin troppo, e non ho nulla da aggiungere a storie ormai acquisite, ma voglio credere che questi "veneziani" già vedessero avanti, che immaginassero la sorte residuale della vecchia Dominante e che avessero trovato il modo di riscattarla.
La Biennale non poteva contrastare il destino della magica città nel tempo, ma è riuscita a riportarla virtualmente al centro del mondo, arbiter elegantiarum di ogni contemporaneità, adeguandosi magistralmente ai cambiamenti (le guerre, il cinema, la nascita del Lido) ai nuovi e ai vecchi linguaggi, facendo, negli ultimi anni dell'architettura il correttore di tendenza dell'arte e l'approdo glamour di un nuovo pubblico. Tutto bene. Ma attenzione agli effetti indesiderati, in primis alla pressione internazionale e cosmopolita dell'imponente offerta artistica sulla città, poi agli inevitabili quanto impietosi confronti tra il meglio del mondo intero e le proposte locali (pubblico, privato, gallerie e musei) e il relativo, scontatissimo esito. E nessuna opera di un artista veneziano si è mai potuta sottrarre alla caccia al tesoro nella ricerca delle influenze, delle soggezioni, quando non, addirittura, dei plagi.
Lentamente, inesorabilmente, l'Ente Autonomo prima, la Fondazione poi, si sono conquistati una posizione dominante, divenendo asse portante e riferimento ultimo dell'attività d'arte a Venezia, occupandone tutti gli spazi, le modalità. Essere un "evento collaterale"della Biennale, quale traguardo!
Una cinica considerazione finale: se consideriamo il tenore e l'etica (non quella politicamente corretta, no, quella vera) della scena artistica contemporanea dovremo forse rallegrarci, noi veneziani, della grande alla protettrice della Biennale al cui riparo possiamo ancora dirci protagonisti!