Totem e Tabù.
Liberi nella fantasia oltre la forma
di Luca Violo
Totem e Tabù è una mostra che di primo acchito ti disorienta tanto è stridente la dissonanza delle varie opere che la compongono. Ma l’originalità di questo ‘working in progress’ nasce proprio dal fragile equilibrio che rende inaspettata la lettura di ogni singolo manufatto artistico.
Il clima è decisamente retrò, nel senso migliore del termine, ovvero quando le mostre d’arte contemporanea avevano un valore in sé di contenuti in ciò che esponevano che gli spunti di riflessione divenivano la sostanza stessa dell’evento espositivo, tant’è è vero che invece di essere fisicamente presenti in un palazzo neoclassico di gusto piermariniano, sembra di essere catapultati, con una macchina del tempo, in uno spazio espositivo del Village newyorkese anni ’60, o magari un evento di rottura di un Documenta di Kassel degli anni ’70. Quello che regna sovrana è una fantasia ironica e irriverente che sovverte lo status quo di una ricerca artistica che si è arenata da decenni nelle paludi melmose di un astratto concettualismo che ha oramai perso tutta la sua potenza di rottura: è questo il tabù di fondo, oltre al valore simbolico che evocano gli oggetti esposti, che traspare da un evento espositivo che esce finalmente da uno schema di pruriginosa autoreferenzialità, oramai esangue nel suo tirannico e vuoto potere.
I totem che si appalesano nei minimali spazi della sede milanese della casa d’aste Wannenes, sono giocosamente confusi, apparentemente disposti alla rinfusa, ma sottendono una progettazione assai precisa e mirata a cogliere e sottolineare i percorsi creativi di ogni singolo partecipante.
Ipnotica l’istallazione luminosa Kepler di Angela Ardisson, un monolite sferico che tanto ricorda lo sgomento emotivo degli astronauti di 2001 Odissea nello spazio - che oltre ad essere un’ennesima prova del genio di Stanley Kubrick - è un film tanto visionario e proiettato nell’eterno futuro della mente e dello spirito, che ancora abbaglia per il suo intatto valore creativo e filosofico. Appartenente ad un conoscitore rabdomantico ed errante lo Studiolo di Maurizio Barberis, che conserva in sé opere d’arte all’infinito, metafora di un collezionismo che aspira a ricreare una galassia di musei ideali che in fondo, altro non sono, che ossessioni totemiche disperse nelle galassie della memoria, summa effimera ma necessaria di babeliche biblioteche borghesiane.
Una evocazione al tempo, lontano e sempre lo stesso, nella Mappa Stellare di Alfonso Femia, che oltre ad evocare il Disco di Nebra, ricorda alla contemporaneità che si evolve nel movimento tra passato e futuro, che le emozioni umane, così come le stelle e l’Universo, sono uguali e diverse ogni istante, uniche e passeggere, eterne e caduche.
Le figure nel Museo di Storia Innaturale di Dario Gribaudo, sono raffinati esercizi di stile sulla indeterminatezza della forma, dove l’umanistica necessità della verosimiglianza si scontra con calembour plastico e creativo, che dà luogo a figure apparentemente realistiche. Trittico di Duccio Grassi è un sinuoso sistema modulare che pare scaturire dalla meraviglia dei Giardini pensili di Babilonia o da quello persiano di Dario il Grande, quel “giardino del paradiso” che nella dicitura biblica diviene il Giardino dell’Eden, recinto di piacere e pace spirituale.
Antica e modernissima La Pirogue di Davide Valoppi, che naviga per far luce nel mare delle nostre angosce e gioie più profonde, così come sottile e in bilico tra la verità e la ragione dell’innocenza che ci ammalia e che si sedimenta nella memoria nel Vello d’Oro e nelle Utopie e Gloria di Alberto Vannetti.
Steve Piccolo con l’ installazione sonora Udire l’udire rompere il silenzio, coglie la moderna amnesia al godimento del silenzio, spesso visto come inutile sospensione, invece che come consapevole scelta alla riflessione, che sfugge al rumore delle convenzioni.
La bellezza è nella natura intrinseca delle cose, nella luce, nello scorrere del tempo che si rifrange su una dimenticata sedia d’acciaio e plastica azzurrina, che tanto ricorda l’infanzia estiva e balneare di intere generazioni, non ancora così remote, e forse anche quella di Mariano Martin con il video Botox. Historias de una hombra. La dimensione del movimento e dell’utilità del container, come mezzo di trasporto e fonte d’ispirazione della ricerca di Lot-Ek nel video High Sears, che racconta con intatto stupore fanciullesco il piacere per l’avventura - intesa come un eterno percorso di ricerca e superamento dei propri limiti fisici e spirituali - il viaggio di Ada Tolla e Giuseppe Lignano nel dicembre 2019 dalla Giamaica agli Stati Uniti a bordo della Cape Akritas, un enorme nave cargo di ‘shipping containers’. L’alchimia tra moderno e contemporaneo, tra storia millenaria della manualità della ceramica e un filo di rame frutto della progettazione robotica, è infine, il tema centrale del video Ceramics Cu di Álvaro Catalán de Ocón, che egli ha applicato nella realizzazione di un vaso ‘modernamente antico’ nella famosa Escuela de Arte Ceramica “Francisco Alcántara” di Madrid. Una forma che oltrepassa il tempo con la forza della fantasia dell’arte, che da sempre, è eterna.