Design Et the Wondrous
Sulla natura dell’ornamento
di Patrizia Catalano
Da tempi immemorabili Il Centre Pompidou colleziona e organizza mostre legate al mondo del design, educando e sensibilizzando anche i più digiuni i materia alla cultura del progetto. Al Centre Pompidou x West Bund Museum Gallery di Shanghai è di scena fino al prossimo 28 febbraio Design & the Wondrous, una mostra che si interroga sulla relazione che si è venuta a creare tra la decorazione e le nuove tecnologie di produzione digitale. Un’indagine che si muove sul confine tra il mondo immaginifico delle forme e quegli oggetti che, grazie alle nuove modalità di produzione e a una nuova sensibilità per la sostenibilità ambientale, andranno a definire i futuri scenari dell’abitare. In mostra, circa un centinaio di pezzi in cui si sancisce la relazione tra il polo francese e quello cinese del Pompidou, dove i molti cinesi esposti, spesso poco conosciuti in Europa, sembrano rimarcare un nuovo atteggiamento nei confronti del design da parte del mondo Orientale, decisamente più contemporaneo e aggiornato.
Punti focali di ricerca portati avanti dalla curatrice, la relazione tra arte e artigianato, l’utilizzo delle nuove tecnologie per la produzione e la laison tra passato e contemporaneo.
E al centro la decorazione, o meglio, il nuovo concetto di decorazione che si declina in un design organico e vegetale bandito per decenni dalla storia (razionale e spigolosa) del design del Novecento. In questa raccolta di pezzi, di cui una parte prodotti per l’esposizione, ci sono infatti molteplici riferimenti alle culture estetiche passate: dalla tradizione sei-settecentesca della Wunderkammer, all’idea di decorativismo e artigianato espresso
Natura e Ornamento, Frattali, Arabeschi, Ornamento e digitale, Design e Meraviglia, la Camera delle Curiosità, sono le sei sezioni in cui si suddivide il percorso a delineare, almeno nelle intenzioni, un manifesto del design del primo secolo di questo millennio dove la parte del leone è costituita da una empatia con il mondo naturale. Dalla capacità che il mondo del design avrà, grazie ai suoi autori, all’utilizzo di materiali vecchi e nuovi, alle nuove strumentazioni digitali, di riportare l’uomo e il suo habitat a uno stato di ritrovata naturalità.
Quello che sembra totalmente mancare in questa ricca rappresentazione è il piglio autoriale di autodeterminazione dei designer.
Contrariamente alle realtà movimentiste radicali della seconda metà del Novecento, i vari Memphis, Alchimia, Superstudio, qui ci troviamo di fronte a una scelta dettata più da una sorta di dichiarazione formalista che culturale.
Manca, sembra, una relazione reale con la cultura in corso. I movimenti del Novecento si chiamavano appunto ‘movimenti’, ed esprimevano, attraverso il sovvertimento dei principi allora in corso, il valore del ‘nuovo’.
Ciò che invece sembra segnare la cultura del design contemporaneo è una sorta di virtuosismo atonico che teme l’emozionalità. L’eleganza, la composizione, l’eco sostenibilità diagnosticano un design corretto, anche ricercato formalmente, ma privo di quello spirito progressista e dissacrante del design sperimentale del secolo scorso.