Quinto Paesaggio
Tra paesaggio e museo: dagli edifici-schermi alla cura della città
di Diego Repetto
Attraverso un’esperienza avviata nel 2020 durante la pandemia con la piattaforma web Riavviaitalia, la webradio indipendente Radio Antidoto e la casa editrice D Editore, coinvolgendo artisti, performers, musicisti, docenti e ricercatori universitari, scrittori, giornalisti, critici e direttori museali e di festival, si è sviluppato un format di innovazione culturale che attraverso sperimentazioni di soluzioni diverse, artsitiche, musicali, scientifiche e di performing media, ha inteso dimostrare come si possano reinventare le espressioni creative di prossimità sociale, in un contesto di difficoltà per gli spettacoli dal vivo e gli spazi museali ed espositivi, traducendo questa crisi pandemica in un'opportunità per rilanciare il cambiamento.
Il processo creativo all’interno del concetto di Quinto Paesaggio, termine ideato nel 2018 da Diego Repetto con la collaborazione del LABLANDSCAPE (CIRIAF-SSTAM) dell’Università degli Studi di Perugia e sviluppato insieme al PhD del Politecnico di Torino Fabrizio Aimar, si ritrova attraverso la nozione di ‘centralità dell’immagine’, del suo impatto mediatico come creatrice di processi ‘virtuosi’ di valorizzazione del paesaggio.
Una particolarità di ‘Quinto Paesaggio’ è il manifesto visivo che si ispira a un’operazione mai realizzata di Walter De Maria (1935-2013), tra l’altro immagine di copertina del libro edito da D Editore e curato da Daniele Menichini e Diego Repetto, dal titolo Quinto Paesaggio. Concerti di idee in azione. In Germania, ad Hannover, lo scultore statunitense, uno dei principali esponenti della Land Art, ideò un progetto ambizioso con cento elefanti. L’intento era di far diventare questi enormi animali delle presenze concrete in città, sculture viventi, ma al tempo stesso oniriche per l’assurdità stessa della decontestualizzazione, tanto che disse: «gli elefanti avrebbero abitato la città». Grazie all’atto creativo si introduce nel paesaggio un nuovo contributo, caratterizzato da insolite dinamiche percettive tra lo spettatore e l’autore.
Una particolarità di ‘Quinto Paesaggio’ è il manifesto visivo che si ispira a un’operazione mai realizzata di Walter De Maria (1935-2013). In Germania, ad Hannover, lo scultore statunitense, uno dei principali esponenti della Land Art, ideò un progetto ambizioso con cento elefanti. L’intento era di far diventare questi enormi animali delle presenze concrete in città, sculture viventi, ma al tempo stesso oniriche per l’assurdità stessa della de-contestualizzazione, tanto che disse: «gli elefanti avrebbero abitato la città». Grazie all’atto creativo si introduce nel paesaggio un nuovo contributo, caratterizzato da insolite dinamiche percettive tra lo spettatore e l’autore.
Diventa quindi necessario disegnare nuovi spazi per l’arte e la cultura, lasciando che sia proprio l’arte a dargli forma. Il principio è quello di far sì che sia il contenuto, anzi la scintilla che nasce dall’incontro del contenuto e di chi lo fruisce a determinare, a costruire, gli spazi della cultura. Giulia Pellegri e Michela Scaglione, hanno analizzato come, durante il lockdown, l’esperienza comune ha portato globalmente le città all’interno delle case e come si sia riaffermata la dimensione del “focolare” (primordiale spazio protettivo). Emergono qui due aspetti: la mancanza di spazio personale e una necessaria condivisione dello spazio familiare. Così facendo, i quartieri, le facciate, i balconi diventano nuovi luoghi da riscoprire, da cui sviluppare una nuova comunicazione percettiva nella città e tramite la città: una città che trasforma gli edifici in schermi per la proiezione di opere artistiche trans-mediali.
Il concetto di video mapping si evolve concentrandosi esclusivamente sulla capacità di potenza espressiva delle immagini, a prescindere dalle dimensioni e dalla composizione geometrica degli “edifici-schermo”, e sulla massima espressione di condivisione emotiva dove più facciate simultaneamente diventano schermi dinamici. Queste operazioni si concentrano principalmente sulla città trasformandola in un palcoscenico dinamico e interattivo. Ciò genera una nuova grammatica del paesaggio umano e culturale, coniugando l’arte con la sperimentazione scientifica, tecnologica e percettiva. Si scardina il concetto tradizionale di esposizione museale e di spettacolo dal vivo, esportandoli da uno spazio chiuso a uno aperto e rendendoli fruibili visivamente a tutti. Se escludiamo la possibilità tecnica di riprodurre l’aurea derivante dell’esperienza dal vivo, come si può creare un evento/mostra che possa offrire sensazioni e percezioni alternative in grado di non far rimpiangere l’incontro con l’originale?
Durante il festival urbano di light art, urban light e video-mapping prodotto da Luci Ombre RGB Light Experience 2020 è stata prodotta una mostra itinerante, in cui diciotto opere site specific hanno ridisegnato le superfici architettoniche urbane dei quartieri Pigneto e Torpignattara (Roma Est), l’Acquedotto Alessandrino del Parco Sangalli e la sopraelevata della Tangenziale Est di Kenzo Tange, dando vita a nuovi immaginari che hanno messo al centro un diverso rapporto fra uomo e contesto ambientale, e trasformato quella parte di città in un vero e proprio museo a cielo aperto. Sono stati attrezzati due camion che hanno portato ogni giorno in un sito diverso, dei quattro selezionati, tutte le opere in programma, rendendole fruibili a tutti. Si è creato un evento in phygital, cioè tra il fisico (in presenza) e il digitale (in streaming). Aspetto particolare è stata per alcune opere la creazione di colonne sonore, che hanno intensificato ulteriormente il dialogo surreale e immersivo con il contesto urbano, fatto anche del traffico veicolare cittadino. In questa occasione Diego Repetto insieme a Gianni Maroccolo, ha celebrato il genio di Yves Klein, Yves Le Monochrome, che trovò la sua massima espressione artistica nel colore blu, con un’opera di animazione audio-video dal titolo Y.K. L’atra metà del cielo. L’opera proiettata nei luoghi urbani scelti, come sfondo al festival di light art romano, raffigura la continuazione del “salto nel vuoto” di Klein, proseguendo idealmente l’immagine simbolo del Nouveau Réalisme facendolo volare nel cielo blu.
Ad accompagnare il “salto” del pittore francese è la sonata per soli bassi saturi liberamente ispirata alla Symphonie Monotone di Yves Klein, realizzata da Gianni Maroccolo, che durante la performance ha avvolto letteralmente lo spazio urbano integrandosi perfettamente con il traffico quotidiano, tramutato quest’ultimo in un bordone. Ogni artista, intervenendo sulle architetture, le ha rese altro rispetto all’immaginario quotidiano. Il pubblico ha così esplorato un patrimonio materiale, in alcuni casi storico e/o funzionale e in altri esteticamente discutibile, rinnovato dall’immaterialità dell’arte. Un’azione effimera che trasforma l’ovvio in un inedito paesaggio urbano museale temporaneo, perfettamente in linea con il concetto di Quinto Paesaggio.
Il Quinto Paesaggio fa “parlare” i territori, creando le condizioni abilitanti, ludiche e partecipative, per mettersi in sintonia con il genius loci. Ciò è ascrivibile al concetto di innovazione adattiva di Carlo Infante: strategia evolutiva che riguarda l'adattamento dell’innovazione digitale alla crescita di una consapevolezza d’uso dei nuovi media da parte dei cittadini senzienti. Tutte le varie operazioni riferite alla Spatial Augmented Reality, in cui l’ambiente fisico dell’utente è aumentato con la proiezione di immagini e suoni, incentrando l’evento sul racconto e l’approfondimento dell’opera d’arte attraverso un percorso in diversi spazi urbani all’aperto, generano un elevato benessere sociale aprendo il territorio a diversi scenari positivi di cura culturale, educativa, sociale e ambientale.
( Mi permetto una critica a chiosa di questo pur interessante intervento: l’arte contemporanea non è un linguaggio così universalmente accettato e accettabile. Richiede preparazione, cultura e una predisposizione naturale per linguaggi carichi spesso di una certa arbitrarietà autoreferenziale. Per questo sono stati creati dei luoghi cornice, Gallerie o Kunsthalle, che, primum, ci lasciano il margine di scelta, vado o non vado, forma elementare di libertà e, deinde, ci consentono di differenziare le distopie estetizzanti degli autori dal nostro banale ma concreto vissuto. La cornice, ovvero la galleria o non so cos’altro, mi dice sempre che sto assistendo ad una ’illusion comique’. Tutto il resto ha un vago sapore autistico, poiché parte dal presupposto che ciò che sto rappresentando o mettendo in scena debba o possa essere parte di una realtà universalmente accettata. Ma infine mi chiedo, se a un Povero Cristo a Torpignatara piace Raffaello e detesta o non capisce o, peggio ancora, non vuol proprio capire, De Maria e l’arte concettuale, che facciamo? M.B.)