La periferia come centro capovolto

di Luca Violo

La marginalità al senso di comunità indennitaria è ciò rende la periferia un avamposto della sofferenza sociale. Il disagio economico rappresenta l’antitesi ad una bellezza estetica che è appannaggio solo di una élite che concentra a sé la volontà di rappresentazione del potere. Ogni periferia è determinata da questa tensione che produce un disagio spesso insanabile perché determinato da un perenne scontro di classe.

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Dopo secoli dove l’arte era stata lo specchio del potere sacro e profano, il XX secolo ha rappresentato uno strappo a questo status quo, con la figura dell’artista che si afferma come soggetto intellettualmente indipendente, a cui è dato il permesso di essere libero di esprimere il sentimento del proprio tempo.

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Questo libero arbitrio nell’architettura moderna è stato usato per affermare lo stridente paradigma che la periferia in quanto marginale è destinata alla disarmonia, ad un quotidiano squallore, che ha spesso generato contemporanee aberrazioni che precludono a priori ogni diritto etico, sociale e in questo caso estetico. 

Il Bello è un diritto non un privilegio, e soprattutto nella progettazione di una superficie fisica dove si vive sia l’intimità degli affetti familiari che la comunione dei rapporti sociali, dovrebbe essere compito dell’architetto di ideare uno spazio che genera quel l’equilibrio delle proporzioni che chiamiamo bellezza. 

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Le periferie, hanno però una tensione morale di commovente intensità capace di trasformare la marginalità in un sentimento di appartenenza di infinite potenzialità, che le rendono il centro capovolto di deflagrate città dell’anima.  

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