Dell’immagine
7. Paralipomeni
I° Dell’Intenzione
di Maurizio Barberis
1. Quali sono i presupposti di una riflessione sulla natura dell’immagine ? Poter distinguere, per esempio, l'immagine dal sistema dell'arte, essendo l'immagine, intesa come superficie densa di significati semantici, solo una tra le possibili forme attraverso cui l'arte si può manifestare. Ma non l'unica essendo al contrario parte di un sistema più complesso, che pone al suo centro il problema della rappresentazione ma non quello dell’immagine, in quanto l’immagine riveste valori che spesso vanno al di là delle intenzioni dell’autore. E’ il caso di Duchamp e dei Readymade, laddove l’oggetto casualmente disposto al centro della scena artistica acquista un’autonomia di valore che cozza con la precisa volontà dell’autore, o del riduzionismo minimalista dei Donald Judd o Robert Morris, laddove anche la forma più elementare tende a caricarsi di significati (immagini) prodotti dalla memoria sensibile di chi guarda.
Possiamo affermare come l'immagine sia lo specifico medium che serve al senso della vista, come il suono è il medium del senso dell'udito? Suono e immagine, attraverso i rispettivi parametri gestaltici dialogano producendo un territorio terzo, una zona d’ombra, dove l’immagine diviene immaginazione, prospettando nessi e contiguità che, superata la dimensione del caso, si radicano nella consapevolezza di un istinto globalizzante. Si può parlare, per esempio, attraverso metafore sinestetiche, di immagine riferendosi al potere evocativo del suono come il Suono Giallo di Kandinskj, o ancora meglio le composizioni cromatiche del Prometeo di Skrjabin.
2. Dovremmo introdurre, inoltre, alcune variabili di ordine percettivo all'interno dell’analisi dell'immagine, per sostenere che la simulazione della Realtà, attraverso la costruzione di mondi paralleli, ne costituisce la caratteristica principale, ridimensionando l'idea di immagine come semplice rappresentazione, fenomenicamente determinata e scindere quindi la forma della rappresentazione dall’idea di Imago. Esemplare a questo proposito la vexata quaestio della prospettiva, dove dominante è la posizione del Panowskij, laddove questi ritiene la prospettiva una forma puramente convenzionale, linguistica, risultato di un'elaborazione simbolico-matematica della materia visiva. A lui si oppone chi ritiene il micro-spazio individuato dal punto di vista geometrico l'unica possibile traduzione dello sguardo 'fisso', e la realtà fenomenica interpretabile solo come immagine prospettica, quindi come rappresentazione del mondo reale, o meglio, di una corretta visione del mondo reale. Di fatto secoli di produzioni di immagini iconograficamente perfette ci hanno dimostrato che la prospettiva è una convenzione, giusta o sbagliata, per prefigurare un mondo con un solo punto di vista, quello della relazione stretta tra immagine, memoria e immaginazione attiva. Ciò che rappresentiamo è sempre, di fatto, la nostra personale visione, che, assoggettata ad alcuni canoni estetici, può essere o meno condivisa da una parte specifica del sodalizio umano, quella giunta al nostro stesso grado evolutivo. La prospettiva rappresenta la visione scientificamente e dogmaticamente definita dal mondo occidentale, che pone l’uomo al centro di un universo racchiuso in un pugno di regole matematiche.
3. Allo stesso modo si pone la questione del colore e delle convenzioni che hanno come obiettivo l'analisi della sue manifestazioni. Si potrebbe dire che il colore è la variabile debole dell'immagine, in particolar modo in relazione ai cambiamenti di luce dovuti alle variabili ambientali. Oppure, al contrario, il colore, per via delle sue qualità simboliche, può essere letto come lo schema forte, fondante, dell'immagine (vedi a questo proposito la lettura che Gombrich dà delle relazioni cromatiche all'interno dell'opera pittorica di John Constable, nel suo volume Arte e Illusione). Qualcosa di simile all' illusione che può derivare sia dalla lettura che dalla rappresentazione di configurazioni che si pongono essenzialmente come forme cangianti, come per esempio le nuvole, (Damisch e le nuvole del Correggio a Parma, p.es.), prive, nella loro cangianza, di continuità semantica, ma al stesso tempo facilmente identificabili attraverso il loro valore archetipale.
Forma e configurazione: possiamo aver chiara la 'forma' delle nuvole, mentre non esiste alcuna possibilità di chiarire, di delimitare in modo univoco la loro 'configurazione'. Quest'ultima questione pone, dal punto di vista dell'immagine, una condizione assolutamente anomala, poiché, per definizione, noi riteniamo di poter considerare immagine tutto quello che ci permette di determinare con chiarezza i confini di un'oggetto.
4. Esiste un’ulteriore considerazione che possiamo fare, in virtù della sovrapposizione delle nozioni di rappresentazione e immagine. L'immagine, come rappresentazione, è qualcosa che permette di contrastare l'indefinitezza del visivo, del sensoriale, attraverso configurazioni che fissino la realtà fenomenica e ne consentano una lettura non ambigua. Il tempo si caratterizza come perdita, mentre la memoria viene percepita attraverso il valore di una cattiva ritenzione della datità fenomenica. Ci troviamo così di fronte a due questioni: da un lato la perdita di configurazione che il flusso temporale comporta, la necessità di trattenere la forma al di là delle modificazioni che questa subisce, dall'altro il problema della funzione della memoria, che a causa dei suoi meccanismi inibitori e deformatori, trasforma questo supporto del pensiero in una condizione imprecisa e parziale, in una Imago, appunto.
L'immagine-rappresentazione diventa notazione, ritenzione del flusso visivo. La necessità della rappresentazione e la sua condizione di immagine, intesa in senso più ampio di quello unicamente visivo, nascono dal bisogno di archiviare gli stimoli visivi che si succedono temporalmente di fronte ai nostri occhi. L'immagine diviene scrittura attraverso la sua vocazione notazionale. La prima immagine, la prima icona o il primo segno, sono certamente una forma di linguaggio, scrittura ieratica che ostenta un imprescindibile rapporto con il mondo magico e divino, che consente di trattenere lo sguardo oltre la sfuggevolezza materiale dell'oggetto, di dare concretezza all’impermanenza delle forme.
Si suppone cioè che l'immagine duri più a lungo del suo referente.